Con l'ordinanza n. 11611 del 3 maggio 2025, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha chiarito un punto centrale nella determinazione dell'assegno di mantenimento in sede di separazione: il giudice non può limitarsi a esaminare il reddito fiscale dell'onerato, ma è tenuto a verificare concretamente il tenore di vita matrimoniale e le risorse economiche reali delle parti, anche attraverso strumenti istruttori officiosi.
Il principio affermato dalla Suprema Corte
Il giudice di merito, chiamato a decidere sulla misura dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge cui non sia stata addebitata la separazione, deve prendere come riferimento imprescindibile lo stile di vita goduto durante la convivenza matrimoniale. Tale standard rappresenta la base per valutare sia le esigenze del richiedente che le capacità economiche dell'obbligato.
A tale scopo, la Corte ha precisato che non è sufficiente attenersi ai redditi risultanti dalle dichiarazioni fiscali, ma occorre considerare ogni elemento economicamente rilevante, come:
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La disponibilità di beni patrimoniali, mobiliari o immobiliari;
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Il livello di vita condotto dal nucleo familiare;
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Eventuali redditi non dichiarati, individuabili tramite indagini tributarie o consulenze tecniche.
Il caso concreto
Nel caso esaminato, la Corte d'appello aveva respinto l'addebito della separazione alla moglie, riconoscendole un assegno mensile di 800 euro, ritenendo che le sue condizioni economiche fossero peggiorate dopo la fine della convivenza e che il tenore di vita fosse stato sostenuto principalmente dal marito. Tuttavia, la Corte di merito non aveva descritto né ricostruito concretamente lo stile di vita condotto dalla coppia durante il matrimonio, né aveva confrontato in modo dettagliato le condizioni economiche della donna prima e dopo la separazione.
La Cassazione ha accolto il ricorso del marito, ritenendo che la valutazione fosse carente sotto il profilo motivazionale, in quanto fondata su presupposti generici e non verificati nel merito.
Gli obblighi del giudice nella quantificazione dell'assegno
L'art. 156, comma 2, c.c. dispone che l'assegno di mantenimento deve essere commisurato alle necessità del coniuge richiedente, al tenore di vita goduto e alle possibilità economiche dell'obbligato, da valutarsi nel loro complesso. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (ex multis, Cass. n. 9115/2007; Cass. n. 15326/2006; Cass. n. 14840/2006) ha più volte ribadito che non si deve fare riferimento soltanto ai redditi dichiarati, ma anche:
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Alla composizione del patrimonio;
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Alla capacità lavorativa residua;
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Alla provenienza delle risorse economiche durante il matrimonio (ad es., incarichi professionali revocati all'ex coniuge dopo la separazione).
In questo senso, è legittimo anche l'utilizzo di presunzioni logiche e di mezzi istruttori d'ufficio, come le indagini della Guardia di Finanza, per far emergere la reale situazione reddituale delle parti (Cass. n. 10135/2005).
La ricostruzione attendibile delle condizioni economiche
Non è richiesto al giudice di operare una ricostruzione contabile puntuale, ma piuttosto una valutazione ragionevole e attendibile delle condizioni economico-patrimoniali delle parti (Cass. n. 25618/2007; Cass. n. 19291/2005). L'obiettivo è garantire l'equità dell'assegno rispetto alle esigenze del coniuge economicamente più debole e alle potenzialità dell'altro, tutelando così l'equilibrio economico post-separazione.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 11611/2025, riafferma un principio chiave in tema di separazione personale: la quantificazione dell'assegno di mantenimento richiede l'analisi concreta del tenore di vita matrimoniale e delle reali condizioni economiche delle parti, anche oltre i dati ufficiali o dichiarati.
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