L'art. 28 c.p.a. disciplina il particolare caso in cui un soggetto, terzo rispetto ad un giudizio già instaurato, venga chiamato ad intervenire ovvero intenda volontariamente parteciparvi

La disciplina dell'intervento del terzo nel codice del processo amministrativo

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L'istituto dell'intervento del terzo all'interno di un giudizio amministrativo già instaurato risulta essere un fondamentale strumento di tutela per colui che, non chiamato ab origine a partecipare al giudizio, dimostri un interesse a prenderne parte, sia nel caso in cui la decisione lo interessi in maniera diretta, sia laddove l'interesse sia di tipo indiretto, derivante da un mero interesse di fatto all'accoglimento o rigetto della domanda giudiziale.

Per meglio comprendere l'istituto, è bene partire dall'analisi dell'art. 28 c.p.a., rubricato "intervento":

"1. Se il giudizio non è stato promosso contro alcuna delle parti nei cui confronti la sentenza deve essere pronunciata, queste possono intervenirvi, senza pregiudizio del diritto di difesa.

2. Chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova.

3. Il giudice, anche su istanza di parte, quando ritiene opportuno che il processo si svolga nei confronti di un terzo, ne ordina l'intervento".

Omettendo l'analisi del caso in cui il terzo abbia un interesse diretto alla decisione (primo comma), e del caso in cui sia il giudice a richiedere l'intervento del terzo in giudizio (terzo comma), di particolare interesse in questa sede è la previsione contenuta al secondo comma, che permette ad un soggetto terzo di partecipare al giudizio ove provi un interesse di fatto verso la decisione.

Requisiti per intervenire

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In primo luogo è bene precisare come il terzo che intenda partecipare volontariamente al giudizio ex art. 28, 2 c.p.a. non potrà né intaccare l'oggetto del processo, né interferire con il suo naturale andamento.

In altre parole, il terzo intervenuto ai sensi del secondo comma, sarà costretto ad accettare lo stato e il grado in cui il giudizio di trova, non potendone inoltre ampliare il thema decidendum.

Tanto detto, quali sono quindi i requisiti necessari per ritenere ammissibile l'intervento di un terzo in un giudizio amministrativo"

A questa domanda ha avuto modo di rispondere la giurisprudenza, creando un indirizzo consolidato ben sintetizzato nella sentenza n. 5596/2017, emessa dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato.

In primo luogo, l'interveniente, non già parte del giudizio e non decaduto dall'esercizio delle relative azioni, può agire, a seconda del proprio interesse di fatto, unicamente in supporto (intervento adesivo dipendente ad adiuvandum) ovvero in opposizione (intervento adesivo dipendente ad opponendum) rispetto al ricorso proposto, non potendo far valere al contempo alcun interesse diretto e personale alla definizione del giudizio.

Ma l'aspetto su cui porre maggiormente l'attenzione è certamente il tipo di interesse che l'interveniente deve dimostrare in relazione al giudizio.

Sono due i requisiti che devono essere soddisfatti per rendere ammissibile un intervento ex art. 28,2 c.p.a.:

  • il primo, di tipo negativo, che consiste nella diversità tra l'interesse fatto valere dal terzo rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale. Vale a dire che la posizione dell' interventore è meramente accessoria rispetto a quella del ricorrente, essendo il suo interesse sì collegato a quello fatto valere dal ricorrente principale, ma comunque tale da non poter essere oggetto di autonoma impugnazione;
  • il secondo, di tipo positivo, comporta che il terzo possa effettivamente ottenere un vantaggio - mediato ed indiretto - dall'accoglimento o rigetto del ricorso principale.

Il Giudice, nel valutare l'interesse alla partecipazione al giudizio del terzo, dovrà esaminare le argomentazioni dallo stesso proposte e valutare, in astratto, il collegamento tra l'interesse manifestato e la causa petendi, a prescindere da quale potrebbe essere la decisione finale.

A questo punto è necessario compiere una ulteriore precisazione circa l'impossibilità per il terzo di agire autonomamente in giudizio per veder soddisfatto il proprio interesse.

Come abbiamo appena precisato, per poter intervenire nel processo è necessario che il terzo si limiti a sostenere una delle due posizione e che l'interesse vantato non possa essere fatto oggetto di autonoma impugnazione.

Ebbene, il motivo è evidente: il Legislatore hanno inteso evitare che il titolare di un interesse direttamente tutelabile in giudizio possa, attraverso l'intervento in un procedimento giudiziario già instaurato, eludere i perentori termini di impugnazione ed introdurre nuove domande, intaccando il corretto andamento del giudizio.

Sul punto, il T.A.R Milano, con sentenza n. 31/2019 ha avuto modo di precisare come " la ratio dell'art. 28, comma 2 c.p.a., è quella di evitare che il termine per ricorrere in giudizio da chi sia titolare di una legittimazione autonoma a impugnare sia aggirato attraverso un altro giudizio, così approfittando di un processo già instaurato da altri per introdurre le domande che si sarebbero potute diligentemente proporre mediante l'attivazione tempestiva della tutela giurisdizionale. […] l'intervento del cointeressato è quindi ammesso nei limiti della domanda già proposta".

Termine per il deposito dell' atto di intervento

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Ai sensi dell'art. 50 c.p.a., affinché l'intervento non sia considerato inammissibile è necessario che l'atto venga notificato alle altre parti del giudizio, nonché depositato presso la segreteria del giudice adito entro trenta giorni dalla notifica e comunque nel rispetto dei termini previsti dall'art. 45 c.p.a., e cioè entro trenta giorni dall'udienza fissata per la discussione.

Inammissibilità dell'intervento per medesima quaestio iuris. Il caso dell'Adunanza Plenaria n. 23/2016

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Interessante risulta la decisione presa dai giudici di Palazzo Spada in relazione all'intervento volontario proposto in forza di un appello la cui definizione presuppone la risoluzione della medesima quaestio iuris sottoposta all'Adunanza Plenaria.

Ebbene, i giudici hanno disposto l'inammissibilità dell'intervento volontario ex art. 28,2 c.p.a., sia perché non è stata ravvisata l'identità tra i petitum, ma anche poiché la domanda di intervento non era riconducibile ai casi disciplinati dall'art. 28 c.p.a., dal momento che il mero fatto di essere parte in un giudizio avente ad oggetto analoghe questioni giuridiche non è ex se sufficiente a giustificare un intervento adesivo all'interno di un altro procedimento giudiziario.

Diversamente opinando, si finirebbe per introdurre nel nostro ordinamento una nuova nozione di "interesse" del tutto atipica e dalla difficile comparazione con i requisiti di ammissibilità dell'intervento del terzo, che porterebbe inoltre ad ammettere una illegittima interferenza tra giudizi, con la conseguenza che la decisione del primo giudice finirebbe per vincolare la decisione del secondo.

Pertanto, del tutto esclusa è la possibilità per un terzo di intervenire all'interno di un altro procedimento, qualunque sia il suo grado, per sostenere la tesi di una o dell'altra parte, ponendo come ragione a sostegno di tale richiesta l'essere parte di altro giudizio con una simile quaestio iuris.

La conversione dell'intervento del terzo in ricorso autonomo

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In ultimo, è giusto il caso di segnalare come l'intervento del terzo in un giudizio, ove ne sussistano i presupposti, potrà essere convertito in un autonomo giudizio.

Ma quando potrà avvenire"

In primo luogo sarà necessario che il terzo interveniente abbia un interesse personale che può essere fatto valere in un autonomo giudizio, nonché che la domanda di intervento venga presentata nei termini di proposizione di un autonomo ricorso.

In altre parole, ove il terzo abbia presentato la domanda di intervento nei termini per proporre un autonomo ricorso, il Giudice, valutata la non accessorietà dell'interesse sotteso, potrà disporre la riqualificazione della domanda in un atto di assunzione in proprio del ricorso.

Tale principio, in linea con la teoria civilistica della conversione del negozio ex art. 1424 c.c., risulta cristallizzato all'interno dell'art. 32, comma 2 c.p.a. e consente, ove ne ricorrano i presupposti e senza che questo comporti una modifica della domanda giudiziale, di riqualificare l'azione sulla base del reale contenuto della domanda, senza fermarsi al nomen iuris utilizzato dalla parte.


Avv. Lorenzo Cottardo


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