L'interprete e il traduttore sono ausiliari del giudice, che possono essere nominati quando sia necessario tradurre in italiano dichiarazioni o documenti

La regola dell'uso della lingua italiana nel processo civile

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L'interprete e il traduttore rivestono, nel processo civile, il ruolo di ausiliari del giudice, che agiscono sotto la direzione di quest'ultimo per garantire la comprensione di dichiarazioni orali e documenti alle parti e al giudice stesso.

In linea generale, infatti, vige la regola secondo cui tutti gli atti processuali in senso stretto (ad esempio, atti di costituzione, memorie, istanze ed eccezioni in udienza, etc.) devono essere compiuti in lingua italiana (art. 122 c.p.c., primo comma).

Alcuni atti, però, come quelli meramente istruttori, possono essere compiuti in lingua straniera, come ad esempio una dichiarazione testimoniale da parte di un cittadino che non conosca la nostra lingua.

Parimenti, possono essere utilizzati come prove documenti redatti in una lingua diversa dall'italiano (si pensi, ad esempio, a documenti tecnici come contratti, manuali etc.).

In tutti questi casi, per poter essere validamente assunti nel processo, le dichiarazioni orali e i documenti devono essere resi comprensibili alle parti e al giudice, ed è proprio questo il compito dell'interprete e del traduttore nel processo civile.

L'interprete come ausiliario del giudice (art. 122 c.p.c.)

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A norma del secondo comma dell'art. 122 c.p.c., il giudice ha la facoltà di nominare un interprete ogni qual volta deve essere sentito chi non conosce la lingua italiana. La nomina è fatta con apposita ordinanza.

Si tratta di una scelta rimessa alla discrezionalità del giudice, che potrebbe anche non accogliere la richiesta di nomina proveniente da una delle parti, qualora, ad esempio, sia egli stesso in grado di comprendere la lingua in cui si esprime la persona da escutere.

Quale ausiliario del giudice, l'interprete è tenuto, in via preliminare all'espletamento del suo incarico, a prestare giuramento di adempiere fedelmente al suo ufficio, a pena di nullità dell'atto cui la traduzione si riferisce, rilevabile dalla parte interessata nella prima difesa utile.

Eccezioni particolari alle regole sopra esposte sono previste a tutela del bilinguismo e delle minoranze linguistiche nelle regioni della Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, in virtù delle prerogative in termini di autonomia politica proprie di queste Regioni.

Altre minoranze linguistiche, specificate nella l. 482/99, vengono tutelate in attuazione dell'art. 6 della Costituzione, nel senso che è ammesso l'uso della relativa lingua nei procedimenti davanti al giudice di pace.

Il giuramento del traduttore (art. 123 c.p.c.)

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La nomina del traduttore, invece, si riferisce ai casi in cui occorre procedere all'esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana. In tali ipotesi, il giudice ha facoltà di nominare un traduttore, che, al pari dell'interprete, presta il giuramento prima di adempiere al proprio incarico.

Come detto, i documenti prodotti in lingua straniera possono essere ammessi nel processo a fini istruttori, mentre per gli atti processuali veri e propri vige la regola della redazione in lingua italiana a pena di nullità.

La differenza tra l'incarico del traduttore e quello dell'interprete si sostanzia, dunque, nel fatto che quest'ultimo ha il compito di tradurre dichiarazioni rese in forma orale, mentre il primo si occupa della traduzione di testi scritti o altro tipo di documenti (es. registrazioni su nastro, dischi o altri supporti).

Valore probatorio della traduzione dell'interprete e del traduttore

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Il ricorso all'opera dell'interprete o del traduttore può essere evitato quando le parti concordino sul significato da attribuire alla dichiarazione resa in lingua straniera o al testo contenuto in un documento prodotto a fini istruttori.

In definitiva, i tratti essenziali della disciplina finora esposta risiedono nella discrezionalità del giudice in merito alla necessità di nominare tali ausiliari, anche ove specificamente richiesto dalla parte, fermo restando che l'eventuale mancata nomina deve trovare valida giustificazione, ad esempio nella conoscenza della lingua da parte del giudice o nel fatto che egli ritenga superflua la prova ai fini del processo. In ogni caso, infine, l'opera resa dall'ausiliario (interprete o traduttore) rimane liberamente valutabile dal giudice.


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