La Cassazione afferma che a fronte di una prova testimoniale di segno opposto prevale la confessione della parte


La confessione prevale sulla prova testimoniale di segno opposto. E' quanto si ricava dall'ordinanza n. 28255/2023 della seconda sezione civile della Cassazione (sotto allegata).

La vicenda ha ad oggetto un giudizio volto a dichiarare la risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare, concluso tra le parti all'esito dello scambio tra proposta e accettazione, per inadempimento della convenuta promittente alienante, la quale non era comparsa davanti al notaio per sottoscrivere il contratto definitivo. Nel corso del giudizio era assunta la prova per interpello di entrambe le parti e la prova testimoniale ammessa per l'attore. All'esito delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale, invece, la convenuta rinunciava all'assunzione della prova testimoniale ammessa in suo favore.


La questione approdava innanzi alla Suprema Corte, dove si lamentava violazione dell'art. 2733 c.c., comma 2, per avere la Corte distrettuale riconosciuto la prevalenza delle dichiarazioni testimoniali rese dal teste citato da parte attrice, rispetto alle dichiarazioni confessorie assorbenti rese dall'attore in sede di interrogatorio formale.

Per gli Ermellini, la censura è fondata, in quanto, nell'attribuire prevalenza all'esito delle ulteriori prove precostituite (peraltro non dirimenti) e costituende, come prodotte e richieste dal confitente, la Corte territoriale ha violato il principio della piena efficacia probante della confessione giudiziale, degradandone il suo valore di prova legale.

Ed infatti, affermano, "la perentoria dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale si pone in radicale e irrimediabile contrasto con il tenore delle altre prove utilizzate, che non hanno quindi avuto una valenza meramente specificativa di elementi non sufficientemente emersi in ordine ai fatti di causa" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 884 del 05/05/1967; Sez. 1, Sentenza n. 697 del 11/03/1966).
"Ai sensi dell'art. 2733 c.c., comma 2, la confessione resa in giudizio forma piena prova contro colui che l'ha resa, ove verta su diritti disponibili. Con l'effetto che l'autore di una confessione non può essere ammesso a provare per testi fatti contrari a quanto ha confessato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 607 del 17/01/2003; Sez. L, Sentenza n. 3975 del 20/03/2001; Sez. 3, Sentenza n. 3293 del 29/11/1973). Nè a fortiori tali prove - ove di fatto ammesse ed assunte - possono prevalere sul contenuto della discordante confessione resa.


Da qui l'accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte d'appello, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione: "In tema di valutazione della prova, a fronte della confessione giudiziale resa, non può essere data prevalenza ai fatti contrari, e non meramente specificativi, come emergenti dalle deposizioni testimoniali ammesse su istanza della stessa parte confitente e dalla prova documentale indiretta".

Scarica pdf Cass. n. 28255/2023

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