Per la Cassazione, inviare una pec a più soggetti non integra diffamazione aggravata ma semplice

Diffamazione semplice e aggravata

Inviare una pec a più soggetti non integra diffamazione aggravata. E' quanto afferma la sentenza n. 31179/2023 (sotto allegata) della quinta sezione penale della Cassazione.

Nella vicenda, a ricorrere è un imputato del reato di cui all'art. 595, comma 3, c.p., contestando, tra le altre doglianze, l'insussistenza della contestata aggravante, posto che nel caso di posta elettronica non certificata è necessario l'invio ad un numero indeterminato di soggetti, il che, nella specie, non è avvenuto, essendo stata la mail inviata ad un numero circoscritto di soggetti, appartenenti ad una determinata categoria, tanto alla luce della differenza tra posta elettronica certificata e non, operata dalla giurisprudenza di legittimità.

Per la S.C., la doglianza è fondata.

Non vi è alcun dubbio come, nel caso in esame, affermano i giudici di Piazza Cavour, la mail fosse stata indirizzata ad un numero circoscritto di soggetti (ossia gli operatori di un Centro commerciale), per cui non può individuarsi nè la diffamazione aggravata dal mezzo della stampa nè dal mezzo di pubblicità; che la mail, infatti, fosse stata veicolata tramite internet non toglie nulla al fatto che essa fosse destinata ad un numero determinato e circoscritto di soggetti, non potendosi confondere il mezzo utilizzato per trasmettere la comunicazione con la diffusività della stessa, nè con l'uso dello strumento informatico.

Non vi è dubbio, infatti, proseguono dalla S.C. "che internet sia uno strumento idoneo a veicolare messaggi ad un numero indeterminato di persone, come avviene nel caso della pubblicazione su un sito internet accessibile ad un numero indeterminato di utenti, oppure nel caso di trasmissione di una notizia o di un messaggio su una bacheca facebook o su altri social network, trattandosi, in tali casi, di modalità di trasmissione di notizie accessibili ad una platea indeterminata di fruitori".

Al contrario, "l'invio di un messaggio a singole caselle di posta elettronica riservate, in quanto intestate a singoli utenti, non implica affatto alcuna automatica diffusione ad un numero indeterminato di soggetti, non più di quanto una lettera sia suscettibile di essere letta da soggetti diversi dal destinatario".
Il Collegio non ignora i precedenti arresti sul tema (cfr., Cass. n. 44980/2012; Cass. n. 29221/2011; Cass. n. 34831/2020), tuttavia afferma la S.C., "la possibilità che la riservatezza della posta elettronica possa essere violata non significa affatto la trasformazione del mezzo in un veicolo di pubblicità in tutti i casi in cui esso venga usato, posto che proprio le potenzialità del mezzo stesso consentono di individuarne una qualificazione come sistema di pubblicità (siti web e social network, facebook, ecc.) ed un uso esclusivamente privato, non potendo una eventuale patologia incidere su tale distinzione".

Nel caso in esame appare evidente come la missiva diffamatoria fosse destinata ad un numero limitato di destinatari, nè vi è prova che le mail di tali destinatari fossero fisiologicamente fruibili da una platea indistinta di soggetti, con la conseguenza che deve escludersi la sussistenza della circostanza aggravante di cui al comma 3 dell'art. 595 c.p.

Ne consegue che la fattispecie debba essere inquadrata nella diffamazione semplice, reato di competenza del Giudice di pace, per cui la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado vanno entrambe annullate senza rinvio.

Scarica pdf Cass. n. 31179/2023

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