La successione delle leggi penali nel tempo, ex art. 25 Cost. e art. 2 codice penale, è importante per delimitare l'efficacia delle norme e il principio di irretroattività della legge penale

Disciplina della successione di leggi penali nel tempo

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La delimitazione dell'efficacia nel tempo delle norme penali è operata, all'interno del nostro ordinamento, da una pluralità di previsioni normative: innanzitutto dall'articolo 25, co.2, Cost., a tenore del quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso; poi dall'articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile che sancisce la generale irretroattività della legge ed infine dalla minuziosa disciplina contenuta nell'art. 2 c.p. volta ad enunciare i criteri di risoluzione dei vari problemi che si pongono con riguardo al tema della successione delle leggi penali nel tempo.

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Nel fenomeno ordinario della successione diretta di leggi penali nel tempo rientrano tre vicende normative, distinte tra loro in ragione del tipo di effetti che la nuova norma produce sulla pregressa disciplina del fatto: incriminazione; abolizione; modificazione. Ciascuna di queste vicende normative è presidiata da una specifica regola: per l'incriminazione opera la regola della irretroattività; per la abolizione quella della retroattività; per la modificazione quella della circoscritta e limitata retroattività della legge più favorevole. Secondo la dottrina i tre criteri costituiscono espressione di un costante principio unificatore, per effetto del quale al consociato è assicurato il trattamento penale più mite tra quelli stabiliti dalla legge a partire dal momento della commissione del fatto e sino alla sentenza irrevocabile.

La norma codicistica, oltre a sancire al primo comma il principio di irretroattività delle norme penali incriminatrici, in termini pressoché coincidenti con il disposto costituzionale sopracitato, prevede al secondo comma l'operatività del principio di retroattività della successiva norma penale abolitiva, al cui funzionamento non osta l'eventuale giudicato di condanna intervenuto in applicazione della previsione incriminatrice vigente al momento del fatto; al terzo comma, così come introdotto dall'art. 14 della lelle n. 85 del 2006, prevede invece che, qualora vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore dispone esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, così derogando alla regola, attualmente posta nel successivo quarto comma, che individua nel giudicato di condanna un limite alla retroattività della disposizione successiva più favorevole ma non abolitiva; infine al quarto comma, relativo all'ipotesi di successione di leggi solo modificative, prevede l'applicazione della legge più favorevole anche se è entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto, fermo, in questa diversa ipotesi, lo sbarramento costituito dall'intervenuto giudicato.

È evidente dunque il complesso contenuto del disposto di cui all'art. 2 c.p. che, oltre a prevedere il generale principio della irretroattività delle norme penali incriminatrici, prevede altresì il principio della retroattività, modulandone la forza operativa a seconda che venga in rilievo con riguardo a norma abolitiva o solo modificativa più favorevole.

È certamente pacifico che nell'ordinamento penale italiano il tema dell'efficacia nel tempo della legge è dominato dal principio di irretroattività; ciò significa che la legge non può ricollegare conseguenze o effetti giuridici sfavorevoli a fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

Il principio di irretroattività, illustrato in questi termini, rappresenta un canone ricavabile dal più generale principio di legalità e il suo fondamento ultimo risiede nella certezza del diritto e nell'implementazione delle funzioni del sistema penale.

Irretroattività della legge penale: profili problematici

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Una questione molto dibattuta in materia di delimitazione della nozione di "legge penale" ai fini della irretroattività, anche se risolta tendenzialmente nel senso della esclusione della sfera di disciplina del principio più volte menzionato, è stato il dibattito relativo alle norme processuali penali.

La soluzione negativa, secondo la quale le norme processuali, dal punto di vista temporale, soggiacciano al principio del tempus regit actum, si è posta principalmente sulla base del dettato letterale riguardante il principio di irretroattività, che non contiene, nella sua formulazione, alcun riferimento alla materia processuale penalistica, facendo riferimento, per l'appunto, alla sola legge penale.

Tuttavia, il dato letterale non sembra affatto escludere drasticamente la praticabilità del ricorso all'applicazione del principio in ogni caso di variazione di una norma penale non sostanziale, ciò soprattutto a fronte di interventi normativi che incidano su istituti che, ancorché riconducibili alla materia processuale, risultino maggiormente collegati al tema dello status libertatis individuale.

Nei successivi commi, l'art. 2 c.p., disciplina invece il principio cd. della retroattività favorevole che si esprime nei termini di una "retroattività forte" nella ipotesi in cui la legge successiva comporti l'abolizione, totale o parziale, di una fattispecie di reato. In tali ipotesi, la forza operativa del suddetto principio si estende a tutti i fatti posti in essere anteriormente alla sua entrata in vigore e travolge anche l'eventuale giudicato di condanna.

Ricorre, invece, una "retroattività debole" nella ipotesi in cui la nuova e più favorevole legge non abbia inciso sulla rilevanza penale del fatto, che permane immutata, ma abbia solo modificato la sua disciplina, tale da poter affermare che la nuova norma risultante dalle modifiche è più favorevole di quella preesistente e sotto la cui vigenza è stato commesso il fatto.

In tali evenienze, la lex mitior spiega effetti solo su quei fatti per i quali non sia intervenuta una decisione irrevocabile, con la sola eccezione delle norme che abbiano sostituito la pena detentiva con quella pecuniaria, per le quali, secondo quanto disposto dal comma 3 dell'articolo 2, opera una retroattività "forte", cioè idonea a travolgere anche il giudicato.

È opinione diffusa in dottrina e giurisprudenza, come sopra accennato, che esulino dall'ambito applicativo della disciplina di cui all'art. 2 c.p. le leggi di carattere processuale, operando, in tale ipotesi, il contrapposto principio del tempus regit actum, secondo il quale l'atto processuale soggiace alle norme vigenti al momento in cui viene compiuto, indipendentemente dal contenuto più o meno favorevole nei confronti del reo.

Tale principio, in altre parole, comporta che gli atti già compiuti conservino la loro efficacia nonostante sia intervenuta una modifica legislativa che, inoltre, trova immediata applicazione per gli atti da compiere ancorché connessi a quelli compiuti sotto la vigenza della disciplina precedente.

Si giunge a tale conclusione attraverso l'analisi esegetica del dato letterale delle disposizioni contenute negli artt. 2 c.p. e 25, co.2, Cost., le quali prevedono che nessuno può essere punito per un fatto non previsto dalla legge come reato nel momento in cui lo ha commesso, limitando evidentemente l'ambito applicativo alle sole leggi di diritto sostanziale.

Modifica norme esecuzione pene detentive e misure alternative alla detenzione

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Tale assunto emerge, con particolare rilievo, in materia di esecuzione della pena detentiva, precipuamente nell'ipotesi di modifiche legislative che, incidendo per l'appunto sulla disciplina dell'ordinamento penitenziario, comportino una variazione peggiorativa del trattamento carcerario del soggetto che sia stato condannato per fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della norma peggiorativa.

La questione è stata oggetto di recenti considerazioni, specialmente riguardo l'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, recante la disciplina dei cd. reati ostativi, ossia di quei reati che non consentono la possibilità di concedere ai condannati per tali reati i principali benefici penitenziari, nonché di accedere alle cd. misure alternative alla detenzione.

Si tratta di un istituto originariamente previsto per i reati di stampo mafioso ma che ha, col tempo, subito un notevole incremento, tanto da ricomprendervi nel novero numerosi reati che non attengono alla sfera della criminalità organizzata ma che comunque sono ritenuti di importante allarme sociale.

È questo ad esempio il caso della legge n. 3/2019, la cd. legge "spazzacorrotti", che, modificando l'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, ha ricompreso tra i reati ostativi alla sospensione dell'esecuzione ex art. 656, co.5, c.p.p. anche taluni reati contro la pubblica amministrazione.

La citata legge n.3/2019, tuttavia, non ha previsto alcuna disposizione sulla disciplina intertemporale, sicché è stata revocata in dubbio l'applicabilità del principio di irretroattività alla nuova disciplina dal contenuto peggiorativo, tanto da rendere necessaria la rimessione della questione alla Corte Costituzionale che, con la recente sentenza n.32/2020, si è espressa sul punto.

L'incertezza circa l'applicabilità del principio di irretroattività deriva, oltre che dal silenzio del legislatore, anche dal carattere non sostanziale della novella legislativa richiamata che, afferendo alla materia dell'esecuzione penale, rientra certamente tra le leggi di carattere processuale le quali, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, sfuggono alle garanzie ricavabili dal combinato disposto degli artt. 2 c.p. e 25, co.2, Cost, rimanendo invece soggetta al contrapposto principio tempus regit actum.

Inoltre, con specifico riguardo alla disciplina delle misure alternative alla detenzione, vi è giurisprudenza che esplicitamente prevede tale soluzione negativa; infatti, una nota sentenza delle Sezioni Unite del 2006 ha previsto che tali disposizioni, proprio in quanto non riguardano l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma concernono solamente le modalità esecutive della pena irrogata, non hanno carattere sostanziale e quindi soggiacciono al principio tempus regit actum.

Laddove si ritenesse di poter estendere tale principio anche alle novità introdotte con la legge "spazzacorrotti", si dovrebbe sostenere l'applicabilità immediata e retroattiva delle nuove disposizioni peggiorative anche ai fatti commessi prima della entrata in vigore della citata legge.

Questo comporterebbe che la pena per uno di tali reati non potrà più essere sospesa e che l'accesso a misure alternative alla detenzione potrà eventualmente essere possibile solo a seguito dell'accoglimento, da parte del magistrato di sorveglianza, dell'istanza proposta dal condannato durante l'esecuzione della pena.

In realtà la soluzione applicativa non può prescindere da un esame comparatistico con gli approdi giurisprudenziali cui è giunta la Corte europea dei diritti dell'uomo. Si segnala a tal proposito la sentenza Del Rio Prada c. Spagna nella quale la Grande Camera della Corte europea ha esplicitamente esteso il principio di irretroattività di cui all'art. 7 CEDU ad una modifica delle regole di esecuzione della pena, censurando il mutamento giurisprudenziale che aveva riguardato la determinazione della base per calcolare il momento della liberazione anticipata nelle ipotesi di cumulo delle pene, determinando un prolungamento retroattivo della pena per il ricorrente.

Sulla scia di tale pronuncia, anche all'interno del nostro ordinamento si sono susseguite alcune decisioni che, distaccandosi dal consolidato orientamento giurisprudenziale, hanno abbracciato un'interpretazione convenzionalmente orientata, escludendo dunque la retroattività della nuova disciplina peggiorativa.

È opportuno osservare che accogliere o rifiutare la posizione che propende per l'estensibilità del principio dell'irretroattività, così come enunciato dagli artt. 2 c.p. e 25, co.2, Cost, ad una disciplina quale quella della legge "spazzacorrotti" che ha un contenuto nettamente peggiorativo, ha importanti ripercussioni pratiche: se infatti si riconosce, da un lato, il carattere non sostanziale della legge in questione che, come detto, escluderebbe l'applicabilità del principio di irretroattività, è pur vero che la novella legislativa ha una prorompente incidenza sulla libertà personale, sicché si potrebbero configurare profili di illegittimità costituzionale.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2020

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Come si è anticipato, a far chiarezza sul delicato punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, investita della questione, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione legislativa per contrarietà all'art. 25, co.2, Cost., se interpretata nel senso dell'applicazione delle modifiche introdotto anche ai condannati per fatti commessi prima della sua entrata in vigore, con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena.

La sentenza ha inoltre chiarito che l'osservanza del principio tempus regit actum continua a costituire la regola per tutte le norme di carattere processuale e dunque, nel caso che ci occupa, delle norme che regolano la materia dell'esecuzione della pena, ad eccezione di tutte quelle disposizioni che, apportando modifiche alla normativa previgente, non si limitino ad incidere sulle modalità esecutive della pena ma comportino una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato.

In conclusione, a prescindere dalle qualificazioni formali fornite dal legislatore al singolo istituto, la distinzione tra disposizioni normative di mera esecuzione della pena e norme che invece soggiacciono al principio della irretroattività penale, deve sempre essere guidata dall'elemento della incidenza sulla libertà personale.


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