Affidamento esclusivo: una motivazione non convincente. La Cassazione avalla un affidamento esclusivo deciso ultra petitum enunciando un principio di diritto fedele solo alla prassi

Affidamento esclusivo alla madre: vicenda e decisione

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L'ordinanza di Cassazione n. 27348/2022 (sotto allegata) affronta una situazione di grave incomunicabilità tra genitori separati, con pesante decisione del Tribunale di Milano, confermata dalla Corte d'Appello, di escludere il padre dall'affidamento. La restituzione della complessa vicenda è nell'ordinanza piuttosto approssimativa, in buona parte a causa della sede, che istituzionalmente non entra nelle questioni di merito. Anche se in questo caso la decisione è così strettamente agganciata alla corretta ricostruzione dei fatti da rendere impossibile una valutazione oggettiva del caso concreto in mancanza di essa. E' possibile, tuttavia, prendere posizione rispetto all'ordinanza sia ragionando sulla base di una ipotesi di lavoro - ovvero assumendo come provata la ricostruzione accreditata dei fatti - sia perché la Cassazione stessa nel pronunciarsi enuncia un principio di diritto, per definizione generale e generico, che può essere commentato senza rischio di equivoci.

Sul primo aspetto, la tesi del merito si fonda sulle difficoltà di gestione dei figli, attribuite per intero al padre e alle sue carenze personologiche, "gravemente pregiudizievoli e contrarie all'interesse dei due minori". Anche perché ciò li costringe ad una precoce adultizzazione, obbligandoli ad assumere decisioni che spetterebbero ai genitori. In definitiva, il rifiuto paterno di avere contatti con la madre, portato al punto di non risponderle qualsiasi fosse la via del contatti, anche la meno invadente, mantenuto anche dopo la sanzione al primo grado, viene ritenuto meritevole della esclusione dall'affidamento.

I motivi del reclamo

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Il reclamante oppone sette motivi, che sostanzialmente possono essere così riassunti per gli aspetti che qui interessano. Anzitutto non si sono mai verificate, in concreto, situazioni di disagio conseguenti alla asserita sua incuria. Le difficoltà di comunicazione tra padre e madre sono dovute alla opposizione e resistenza fatta dalla madre, che hanno reso estremamente difficoltoso l'interscambio. D'altra parte, sostiene il reclamante, il motivo centrale utilizzato dalla Corte d'appello per l'esclusione dall'affidamento si fonda su suoi presunti difetti caratteriali, segnalati dal coordinatore genitoriale, alle cui valutazioni era stato dato peso preponderante rispetto a quelle del consulente tecnico di ufficio, che aveva in precedenza esaminato il gruppo familiare, dalla cui relazione tali rilievi erano assenti. Non a caso il ricorrente aveva chiesto il rinnovo della consulenza di ufficio, non accolto dalla Corte d'Appello.

Altro argomento di forza del reclamo è il fatto che né al primo grado di giudizio né al secondo la madre aveva chiesto la sua esclusione dall'affidamento, continuando ancora a prospettare un affidamento condiviso

. Il che mette in dubbio l'effettiva validità delle doglianze. Infine, viene fatto notare il mancato ascolto dei figli minorenni, benché ultradodicenni. Ragione sufficiente per far invalidare l'intero procedimento.

Le tesi della Suprema Corte

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In effetti - assumendo per esatta la controversa ricostruzione dell'intera vicenda - i motivi del ricorso sono configurati in modo tale che la Corte li può respingere tutti utilizzando prevalentemente i classici argomenti della non ammissibilità.

Le obiezioni di merito, infatti, non possono essere riesaminate in sede di legittimità. E la maggior parte di quei motivi lo erano.

È, inoltre, risaputo che il giudice non è tenuto a seguire le indicazioni del consulente, benché da lui stesso nominato. Altrettanta libertà e discrezionalità gli vengono attribuite nello scegliere tra gli elementi di prova quelli ai quali dare peso e quelli da considerare secondari; o anche da non considerare affatto, in assenza di una specifica richiesta.

Quanto al mancato ascolto dei figli, di per sé l'obiezione più valida, la Cassazione oppone la falsità dell'argomento, risultando ad essa che in effetti i figli sono stati sentiti. Quanto, eventualmente, ad una loro seconda audizione, questa ancora una volta rientra nella discrezionalità del giudice. L'altro aspetto interessante della vicenda giudiziaria, sicuramente insolito, può essere visto nella richiesta di parte materna di un affidamento condiviso in entrambi i gradi di giudizio. Una posizione poco coerente con la totale mancanza di comunicazione tra i genitori da essa sostenuta e imputata al padre. Ma soprattutto è anomalo nel diritto di famiglia osservare che la decisione della Corte scavalca quanto a severità le richieste della stessa "parte lesa". Tuttavia, naturalmente da un punto di vista giuridico-formale ciò non crea difficoltà alcuna, rammentando che il giudice può benissimo decidere ultra petitum, sol che porti a giustificazione "l'interesse del minore".

Ed è proprio qui che, dopo avere saputo valutare il reclamo con argomenti incontestabili, la Corte si sbilancia nell'enunciare un principio di diritto che, per quanto certamente consolidato presso la medesima istituzione, continua a trovarsi in conflitto con le prescrizioni di legge, da un punto di vista assolutamente generale.

Si legge infatti: "In materia di affidamento dei figli minori, il giudice deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. L'individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di educare il figlio, che potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riferimento alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore".

Le obiezioni al "principio di diritto"

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Ebbene, è proprio qui che la Suprema Corte presta il fianco a critiche. Curiosamente, dopo avere visto respingere fermamente obiezioni anche abbastanza imbarazzanti sul piano psicologico - confermando la pericolosità di un genitore sulla base di elementi di fatto contraddittori, senza poter effettuare alcuna verifica in sede di legittimità, e superando l'istintiva diffidenza verso un provvedimento non richiesto dalla parte più interessata ad ottenerlo in nome di una rigorosa osservanza degli aspetti formali del diritto - è un vero peccato dover constatare che purtroppo si è operato affidandosi a criteri assai discutibili, e proprio sul piano della fedeltà alle norme in vigore. Il ragionamento, infatti, che viene sviluppato risente visibilmente e "tragicamente" della vecchia impostazione dell'affidamento esclusivo, che avrebbe dovuto essere abbandonata fin dall'ormai lontano 2006.

La domanda che il giudice fa a se stesso e, ove necessario, rivolge i suoi ausiliari attiene alla eventuale inidoneità di uno dei genitori; o meglio, se uno di essi possa rappresentare fonte di pregiudizio per i figli ove investito dell'affidamento. Al di fuori da questo intervento di pura verifica, non esiste, o meglio non dovrebbe esistere, ricerca del genitore più idoneo fra due idonei. Non esistono genitori da "privilegiare". Meno che mai dovrebbe procedersi a una sorta di "scommessa" per il futuro, cercando di indovinare quale potrà essere il migliore di loro due. Non si gioca ai dadi con la vita delle persone, meno che mai con quella di soggetti minorenni.

La normativa, emanata più di 15 anni fa dopo oltre un decennio di riflessioni, sceglie proprio la via di una partecipazione paritetica dei genitori alle responsabilità e alla cura dei figli. D'altra parte, guardare al passato, alle prestazioni di quei due soggetti nella vita all'interno della famiglia unita, è decisamente rischioso. Per non dire privo di senso. L'assetto precedente era totalmente diverso. Esistevano ruoli diversamente definiti, esistevano compiti distinti per l'uno come per l'altro genitore. Non ha senso proiettare ipotesi comportamentali all'interno di una vita familiare strutturata in modo del tutto differente, dopo la rottura del rapporto di coppia. Sconcerta anche, innegabilmente, il riferimento al diverso ambiente che ciascuno dei due "è in grado di offrire al minore". Un concetto intrinsecamente antisociale che, anche se probabilmente riferito a valori morali, evoca irresistibilmente "Il piccolo Lord". Insomma, non va bene comunque.

E l'osservazione più sconfortante è che in effetti si fa quasi sempre così. La Suprema Corte potrebbe richiamare a propria difesa una giurisprudenza praticamente costante nello stesso senso. Ma sarebbe una difesa? O un'aggravante?

Scarica pdf Cass. n. 27348/2022

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