Bocciato il referendum sulle droghe: i quesiti riguardano una materia collegata all'esecuzione dei trattati, che sanzionano la coltivazione della cannabis

La Consulta boccia il referendum sulle droghe

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La Consulta con la sentenza n. 51/2022 (sotto allegata) boccia il referendum sulla droga finalizzato a modificare il regime sanzionatorio nei confronti di chi coltiva produce e traffica illecitamente sostanze stupefacenti e psicotrope e di chi si mette alla guida dopo aver assunto sostanze, perché contrasta l'art. 75 della Costituzione che disciplina proprio il referendum e le materie oggetto dei quesiti. Il quesito viola le normative comunitarie e internazionali, non è chiaro, non é coerente e non si presenta idoneo allo scopo da perseguire.

Il quesito referendario sulle droghe

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Il quesito referendario, da cui parte l'analisi della Consulta, contempla l'abrogazione delle seguenti disposizioni del DPR n. 309/1990 contente il Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza:

  • art. 73, comma 1, limitatamente all'inciso «coltiva»;
  • art. 73, comma 4, limitatamente alle parole «la reclusione da due a 6 anni e»;
  • art. 75, limitatamente alle parole «a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni.

Il quesito non è chiaro, è fuorviante e viola il diritto internazionale

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Dopo aver dato atto dell'iter del quesito referendario presso l'Ufficio centrale per il Referendum della Cassazione (che ha concluso per la legittimità del quesito con ordinanza del 10 gennaio 2022) e aver illustrato in quale quadro normativo si inseriscono le disposizioni che si vogliono abrogare, la Consulta spiega per quali ragioni il quesito formulato non è costituzionalmente legittimo.

Prima di tutto, la Corte ricorda che "la disciplina della cannabis - che costituirebbe il proprium del referendum in esame, secondo la memoria del Comitato promotore - è stata oggetto, in passato, di altre analoghe iniziative referendarie" e che "un particolare rilievo, in riferimento al referendum in esame, hanno i vincoli internazionali."

L'Italia nel corso degli anni ha ratificato infatti diverse Convenzioni Internazionali contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, individuando la coltivazione della cannabis tra le condotte che devono essere sanzionate penalmente. In ambito Europeo inoltre le sostanze psicoattive sono state incluse nella definizione di "sostanze stupefacenti."

Chiaro quindi che a livello internazionale e comunitario "la canapa indiana e i suoi derivati rientrano tra le sostanze stupefacenti, la cui coltivazione e detenzione deve essere qualificata come reato e che solo la loro destinazione al consumo personale rende possibile l'adozione delle misure amministrative riabilitative e di reinserimento sociale diverse dalla sanzione penale."

La Corte rileva inoltre che la motivazione addotta dal Comitato promotore, di voler depenalizzare solo la coltivazione rudimentale e casalinga, non è possibile in questi termini perché in realtà, per come è formulata la norma, l'abrogazione richiesta nel quesito finisce per" depenalizzare direttamente la coltivazione (quale ne sia l'estensione) delle piante della Tabella I, da cui si estraggono le sostanze stupefacenti qualificate come droghe cosiddette "pesanti" (papavero sonnifero e foglie di coca), e indirettamente altresì la coltivazione della pianta di cannabis della Tabella II, peraltro nella dimensione anche agricola e non solo domestica."

Il quesito pertanto non è chiaro né univoco e risulta quindi fuorviante per il corpo elettorale.

Per quanto riguarda poi la finalità di voler eliminare la pena della reclusione, attualmente prevista tra il minimo di due anni e il massimo di sei anni per determinate condotte, la Corte rileva come la normativa, dopo l'abrogazione referendaria, finirebbe per risultare assai contraddittoria, in quanto "la sanzione detentiva permarrebbe in riferimento ai medesimi fatti quando di lieve entità. Ciò ridonda in difetto di chiarezza giacché il quesito referendario chiederebbe all'elettore di operare una scelta illogica e contraddittoria: se eliminare, o no, la pena della reclusione per i fatti concernenti le droghe cosiddette "leggere", conservandola invece per le medesime condotte se di lieve entità."

Scarica pdf Corte Costituzionale n. 51/2022

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