Cassazione, sequestrate le somme sul conto della titolare del RdC se il profitto deriva da reato conseguente a omessa comunicazione della variazione reddituale

Omessa variazione dei redditi e sequestro somme conto corrente

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Sequestro del conto corrente per la beneficiaria del reddito di cittadinanza che non comunica le variazioni reddituali. Le SU hanno infatti chiarito che se il profitto che deriva da reato è costituito da denaro, la confisca viene eseguita sui soldi comunque presenti nel patrimonio fino alla concorrenza del valore del profitto illecitamente percepito, senza che rilevi che sullo stesso siano presenti anche aiuti per la nascita, la maternità e i lavoratori in difficoltà. Queste le precisazioni della Cassazione contenute nella sentenza n. 41183/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Il GIP, con decreto dispone il sequestro preventivo della somma di € 6.973,25, in relazione al reato previsto dall'art. 7, comma 2 del dl 4/2019, che contiene "Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza

e di pensioni" convertito dalla legge n. 26/2019. L'articolo violato dispone in particolare che "L'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, e' punita con la reclusione da uno a tre anni."

La destinataria della misura si rivolge al Tribunale per chiedere il riesame della decisione, ma questo la respinge in quanto le somme a credito presenti sui conti intestati all'indagata sono confiscabili anche se sono presenti somme diverse da quelle accreditate a titolo di reddito di cittadinanza. Il Tribunale inoltre esclude che l'indagata non fosse consapevole dell'obbligo di comunicare le proprie variazioni reddituali richieste per il riconoscimento del reddito di cittadinanza.

Per l'indagata le somme INPS non sono sequestrabili perché lecite

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L'indagata ricorre in Cassazione, lamentando la violazione di legge processuale e l'assenza di coerenza, completezza e ragionevolezza della decisione. Quanto accreditatole sulla Poste Pay evolution sono somme INPS erogate per la maternità e la nascita della figlia, somme quindi tutte di provenienza lecita, come risultante dalla documentazione prodotta in sede di riesame. Dati che però il Tribunale ha ignorato, senza considerare che i sussidi in favore della maternità sono impignorabili così come il fatto che le somme accreditate sul conto sono aiuti pubblici per i lavoratori in difficoltà. Poiché inoltre dette somme sono state accreditate sul conto dopo la commissione del reato che le è stato contestato, per l'indagata non si può disporre il sequestro strumentale alla confisca delle stesse. Provvedimento di cui ha peraltro richiesto la revoca stante la dimostrata provenienza lecita e l'estraneità al reato.

Sequestrabili le somme comunque rinvenute nel patrimonio dell'indagata

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Per la Cassazione però il ricorso è inammissibile. Il Tribunale non ha omesso di considerare quanto richiesto dall'indagata a proposito delle somme pervenute alla stessa dopo il reato contestato di provenienza lecita perché erogate dall'INPS.

Il fatto è che il Tribunale ha ritenuto irrilevanti queste circostanze perché il denaro ha natura fungibile e poi perché sui conti sono pervenute altre somme, erogate anche a titolo di reddito da lavoro. In questo modo il Tribunale non ha fatto che adeguarsi all'orientamento delle SU che proprio per risolvere il contrasto giurisprudenziale sorto sulla qualificazione delle somme a credito presenti su un conto corrente hanno precisato che "qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l'ablazione del denaro comunque rinvenuto del patrimonio del soggetto fino alla concorrenza del valore del profitto medesimo e deve essere qualificato come confisca diretta e non per equivalente".

Rilievi generici poi quelli sollevati dall'indagata sull'inconsapevolezza dell'obbligo di comunicare le variazioni reddituali in caso di percezione del reddito di cittadinanza, le quali vertono, non sulla legittimità del provvedimento che impone il vincolo reale, ma sulla fase esecutiva dello stesso, da sottoporre al GIP, non al Giudice per il riesame, che deve verificare la legittimità dell'atto non la sua attuazione concreta e neppure alla Cassazione, che non può eseguire accertamenti sulla provenienza delle somme sottoposte a sequestro e sulla opposizione allo stesso.

La Cassazione precisa infatti che:

  • se la controversia riguarda i beni da sottoporre a vincolo, ma non riguardano la richiesta di restituzione derivante dalla sproporzione tra quantum oggetto di sequestro e beni vincolati allora competente è il Giudice dell'esecuzione;
  • se invece dette contestazioni si traducono in sostanza in una richiesta di restituzione parziale allora spetta al PM decidere e in caso di mancato accoglimento, costui deve trasmettere la richiesta con parere al GIP, il cui provvedimento è impugnabile davanti al Tribunale del riesame.

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