- La legge sull'aborto
- L'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione
- Un autonomo diritto di risarcimento del danno per il nascituro?
- Qual è l'ostacolo "insormontabile"?
- Riflessioni conclusive
La legge sull'aborto
La legge 22 maggio 1978 n. 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria di gravidanza - riconosce la possibilità legale di ricorrere all'aborto. Punto di partenza è l'articolo 6 della Legge, a norma del quale dopo il novantesimo giorno, può essere praticata l'interruzione volontaria di gravidanza:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Dunque l'aborto è una facoltà concessa dalla legge alla gestante, in presenza di tassative condizioni.
L'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione
Un autonomo diritto di risarcimento del danno per il nascituro?
Qual è l'ostacolo "insormontabile"?
Cosa osta alla possibilità di configurare un autonomo diritto al risarcimento del danno in capo al figlio, una volta nato non sano?
Una volta esclusa ogni responsabilità, commissiva o anche omissiva, del medico nel danneggiamento del feto, quale sarebbe l'interesse alla base della pretesa: il diritto a non nascere se non sano! Il danno sarebbe legato alla stessa vita del bambino e l'assenza di danno alla sua morte, non essendoci altra alternativa. Il nostro ordinamento contempla e tutela il diritto alla vita, ma non il diritto a "non nascere se non sano."
Alla base della pretesa risarcitoria verrebbe posto l'errore del medico che non abbia evitato la nascita indesiderata, a causa di gravi malformazioni del feto che è una situazione totalmente diversa con la responsabilità del medico che si configura quando abbia - egli stesso - direttamente cagionato tale malformazione.
Riflessioni conclusive
Si è visto come la L. 194/1978, pur condizionandolo alla sussistenza di taluni presupposti, riconosca la possibilità di ricorrere legalmente all'aborto, facoltà rientrante in quella sfera di autodeterminazione della donna a tutela della sua salute, non solo della sua vita.
Ora, al di là delle proprie convinzioni personali, favorevoli o meno all'aborto, è senz'altro espressione di un Paese civile che tale facoltà venga riconosciuta e rimessa all'autodeterminazione della gestante. Ricca di spunti di riflessione è senz'altro anche la seconda tematica trattata dalla Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza de qua.
Una sentenza ben argomentata, con richiami alla giurisprudenza d'oltralpe e d'oltreoceano.
A ben vedere si comprende il motivo del diniego del riconoscimento in capo al nascituro di una pretesa risarcitoria.
Il "diritto a non nascere se non sano" è un assunto aberrante. La vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragione dell'integrità psico-fisica? Non è vero che una vita con "disabilità" equivalga ad una vita "indegna". Riconoscere il risarcimento del danno al nascituro "disabile" in questo caso equivarrebbe affermare che la vita di un bambino disabile sia da considerare un danno e l'alternativa sarebbe appunto, in una logica consequenziale, la non nascita.
Più che al riconoscimento di una pretesa risarcitoria, la direzione da prendere dovrebbe essere quella di abbattere le barriere architettoniche e mentali, che pregiudicano una corretta inclusione sociale, forse dovuta anche ad una nostra scarsa capacità di comprensione ed empatia verso persone che hanno ampiamente dimostrato che, in tutti i campi e in ogni attività, non ci sono limiti che tengano.
Antonia De Santis
P. Avv del Foro di Nocera Inferiore
email: antonia.desantis90@gmail.com