Cos'è il nonnismo per il codice penale militare e come invece lo definisce la Corte di Cassazione in una recente sentenza

Cos'è il nonnismo

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Il nonnismo è il cosiddetto bullismo da caserma, praticato negli ambienti militari da parte degli "anziani o nonni" nei confronti delle nuove reclute. La finalità del nonnismo, spesso giustificata con il fine di forgiare i nuovi arrivati alla vita militare, è tutt'altro che nobile. I nonni con la loro condotta infatti non perseguono altra finalità che quella di sminuire la personalità della recluta presa di mira, con offese, atti intimidatori, minacce, isolamento ed emarginazione. Prove fisiche ai limiti dell'impossibile, incursioni notturne e rituali sono le forme in cui più di frequente si manifesta questo fenomeno. Condotte che, ben lontane dall'insegnare o motivare i nuovi arrivati alla disciplina, integrano veri e propri reati.

Com'è punito il nonnismo

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Il nonnismo è infatti punito dai Codici penali Militari e di Guerra di cui al RD n. 303/1941. Le norme di riferimento per le condotte sopra descritte sono due in particolare: l'art. 195 e il 196 riunite nel capo IV intitolato "Dell'abuso di autorità."

L'art. 195 c.p.m.p punisce la - Violenza contro un inferiore -, così disponendo: "1. Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. 2. Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o tentato, nell'omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata."

L'art. 196 c.p.m.p invece punisce - La minaccia o ingiuria a un inferiore - "1. Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un inferiore in sua presenza, é punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. 2. Il militare, che offende il prestigio, l'onore o la dignità di un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni. 3. Le stesse pene si applicano al militare che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti all'inferiore. 4. La pena è aumentata se la minaccia è grave o se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell'articolo 339 del codice penale. 5. Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre a quindici anni."

Giurisdizione ordinaria o militare?

La definizione del nonnismo e le conseguenze giuridiche che scaturiscono da tale condotta attraverso l'esame delle due norme principali in cui tale fenomeno viene inquadrato sono fondamentali per comprendere il contenuto della recente sentenza della Cassazione n. 17091/2021 (sotto allegata).

La Cassazione si è infatti trovata a dover decidere un conflitto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice penale in una vicenda verificatasi all'interno di una caserma e che ha visto protagonisti due "nonni" con il grado di caporale del "Reparto corsi del Centro Addestramento Paracadutismo" di Pisa e una recluta. Ai due caporali è stata attribuita la responsabilità della morte della recluta, nei confronti della quale hanno posto in essere "atti di violenza e omettendo, dopo i gravi traumi in tal modo cagionatogli, di attivare i necessari soccorsi, così da potere evitare il decesso."

Per la giurisdizione penale militare i due caporali sono responsabili del reato di cui "all'art. 195 c.p.m.p commi 1 e 2, (in relazione all'articolo 575 c.p., n. 4 e articolo 61 c.p., n. 4), articolo 61 c.p., n. 5 c.p. e articolo 47 c.p.m.p., n. 2."

Per la giurisdizione panale ordinaria invece i due soggetti agenti sono responsabili di aver commesso il "reato previsto dall'articolo 110 c.p., articolo 575 c.p. e articolo 577 c.p., comma 1, n. 4) in relazione all'articolo 61 c.p., n. 1), per avere cagionato, agendo in concorso fra loro, la morte di (OMISSIS) nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di cui sopra, attraverso condotte di violenza poste in danno dell'allievo, la cui descrizione, di contro, escludeva ogni derivazione da cause inerenti al servizio e alla disciplina militare."

I fatti si sono verificati all'interno dell'area della caserma, vero però, come sostiene il giudice ordinario che ritiene di avere la giurisdizione sul caso, che:

  • "in capo agli imputati non esisteva un rapporto gerarchico funzionale e diretto rispetto alla persona offesa. Gli stessi non erano effettivi nel reparto di addestramento delle reclute
  • e al momento del fatto non erano in servizio, cosicché neppure indossavano la divisa. E anche (OMISSIS) si trovava in libera uscita e perciò portava gli abiti civili."

Il nonnismo non è sempre punibile dalla legge militare

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La Cassazione risolve il suddetto conflitto attribuendo la giurisdizione al Giudice ordinario, ossia al Gup del Tribunale di Pisa, per le seguenti ragioni.

Tralasciando le questioni meramente procedurali la Cassazione ricorda che l'art. 199 del c.p.m.p dispone che: "Le disposizioni dei capi terzo e quarto (artt. 195 e 196 sopra richiamati) non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto e' commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare o in luoghi militari."

Gli Ermellini si soffermano poi sul concetto di nonnismo ribadendo che al riguardo la giurisprudenza di legittimità si è espressa nel senso che: "in ambito militare, i comportamenti violenti connessi al fenomeno del cosiddetto "nonnismo" non sono costitutivi del reato di cui all'articolo 195 c.p.m.p. (violenza contro un inferiore) in quanto non sono posti in essere per motivazioni inerenti al servizio e alla disciplina militari, non rientrando siffatti comportamenti in questo ambito, né essendo essi tali da turbare l'ordinato svolgersi del rapporto gerarchico, alla cui sola tutela presiede la norma in esame. Le predette condotte possono essere perseguite a norma di altre disposizioni del codice penale militare di pace (come nel caso delle percosse di cui all'articolo 222) ovvero del codice penale ordinario (come nel caso della violenza privata prevista dall'articolo 610 c.p.), ricorrendone le rispettive condizioni, ma non possono integrare una delle figure di reato di cui al Capo terzo e al Capo quarto del Titolo terzo del Libro secondo del c.p.m.p., non incidendo sull'oggetto giuridico protetto dalle relative disposizioni."

Per la Cassazione, nel caso di specie in particolare, la caserma è stata solo il luogo in cui si sono svolti i fatti visto che "gli autori della condotta (destinatari di una licenza breve) e la vittima (appena rientrata dalla libera uscita), in assenza di precise relazioni funzionali dirette, per il tipo di collocazione delle rispettive figure nell'organigramma militare, non erano impegnati in attività di servizio e perciò si trovavano in caserma in abiti civili."

Per tutte le circostanze in cui si sono svolti i fatti e per la condotta tenuta dai due soggetti agenti quindi il reato deve essere qualificato come omicidio volontario e la giurisdizione deve essere riconosciuta al giudice ordinario.

Leggi anche Atti di "nonnismo" militare: il consenso di chi subisce non è una scriminante

Scarica pdf Cassazione penale n. 17091/2021

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