Cosa sono le micro transazioni, framework legale in Italia e nell'eurozona. Art. 110, comma 5 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS)

L'industria videoludica

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La crescita a cui si è assistito negli ultimi anni dell'industria videoludica, ha visto in parallelo l'aumento dei budget necessari alla creazione di nuovi titoli che, ad oggi, contano produzioni milionarie, al pari di quelle cinematografiche.
Per sostenere tali costi, sempre più case di sviluppo rivolgono la propria attenzione alle micro transazioni, che permettono di continuare ad ottenere introiti anche successivamente alla pubblicazione di un gioco.

I videogiochi

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Videogiochi: una parola che forse richiamerà alla mente del lettore una serie di immagini; una simpatica pallina gialla inseguita da fantasmi in un labirinto, un pingue idraulico italiano o, perché no, un bambino petulante che chiede lo smart phone ai propri genitori al tavolo di un ristorante.

L'immagine che, invece, non verrà subito richiamata alla mente è quella di un vero e proprio gigante economico.

I videogiochi sono il primo mercato dell'intrattenimento con 2.75 miliardi di utenti attivi e con un valore complessivo di 179 miliardi di dollari che sta eclissando, sia in termini di crescita che di ricavi, realtà ben più blasonate come le produzioni di Hollywood od i servizi di streaming quali ad esempio Netflix o Amazon Prime.

All'interno di questa realtà le microtransazioni hanno un ruolo di primo piano assoluto in quanto, pur avendo fatto il loro debutto solo nel 2006, sono già portatrici del 70% circa dei ricavi del mercato dei videogiochi nel suo complesso.

Microtransazioni: cosa sono e perché sono importanti

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Le microtransazioni sono definite come un modello di business nel quale l'utente può acquistare beni virtuali che danno accesso a funzionalità e contenuti extra tramite micro pagamenti.

Le microtransazioni si presentano in una vasta gamma di forme, sia in termini di tecnologie impiegate che di modalità d'uso.

Una configurazione che ha velocemente guadagnato fama o, sarebbe più corretto dire, infamia, è quella delle loot boxes, o, nella loro espressione più tecnica, Random Chances Purchases (RCP), ossia acquisti a probabilità randomica.

Richiamando la definizione appena fornita, la caratteristica distintiva di questa pratica è di non consentire all'utente di comperare uno specifico bene virtuale, ma bensì di poter esclusivamente acquistare un "contenitore" digitale all'interno del quale verranno generati diversi oggetti virtuali, ciascuno con una specifica probabilità associata.

Il principio alla base delle loot boxes sta nel loro costo molto contenuto, con il prezzo di una singola scatola solitamente non superiore ad 1 o 2 euro.

L'idea di base è quella di spingere l'utente a compiere molteplici acquisti finché l'oggetto desiderato non verrà estratto, spendendo nel processo cifre spesso molto ingenti.

Questa pratica si è rivelata estremamente efficace: i ricavi generati solamente dalle loot boxes si stima toccheranno i 50 miliardi di dollari nel 2022

Le ragioni di questo grande successo sono non banali e poggiano nelle neuroscienze; per farsi un'idea generale basti sapere questo: il nostro cervello risponde in maniera molto più violenta e potente a risultati e ricompense aleatorie ed imprevedibili.

La randomicità della ricompensa è proprio il fattore chiave di come il framework legale italiano regoli questa pratica; l'art. 110, comma 5 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) [1] recita:

"Si considerano apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici per il gioco d'azzardo quelli che hanno insita la scommessa o che consentono vincite puramente aleatorie di un qualsiasi premio in denaro o in natura o vincite di valore superiore ai limiti fissati al comma 6, escluse le macchine vidimatrici per i giochi gestiti dallo Stato e gli apparecchi di cui al comma 6."

È dunque questo concetto di pura aleatorietà la ragione per cui le loot boxes non vengono considerate come gioco d'azzardo nel nostro Paese:

Le loot boxes garantiscono infatti sempre una ricompensa, quindi una vincita latu sensu; questa può essere più o meno rara e dunque più o meno desiderabile, ma rimane il fatto che, di fronte a denaro sborsato, l'acquisizione di un oggetto virtuale sia garantita e le probabilità associate ad ogni oggetto virtuale siano disponibili al consumatore.

Pertanto, ad oggi, le loot boxes sono considerate e regolate come un acquisto consapevole.

A ciò va aggiunto che i premi ottenuti non sono mai liquidi, né hanno alcun valore al di fuori dell'ambiente di gioco, e resta esclusa ogni possibile forma di cash-out tipico delle scommesse e del gioco d'azzardo.

Dunque, capitolo chiuso? Non esattamente: gli organi legali preposti di Belgio e Olanda nel 2018 si sono espressi definendo le loot boxes come una forma di gioco d'azzardo.

Quello che è importante sottolineare è come le definizioni legali nazionali di gioco d'azzardo in Belgio e in Olanda non siano particolarmente diverse da quelle di altri Stati membri dell'UE, Italia inclusa.

La differenza fondamentale che ha portato le due autorità a regolamentare diversamente le loot boxes sta in una diversa interpretazione del requisito del premio ricompensa.

Il framework legale

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Belgio: Secondo la valutazione della Belgian Gaming Commission (Kansspelcommissie, 2018), la ricompensa che può essere ottenuta da un'attività di gioco d'azzardo non deve necessariamente essere di valore monetario.

È sufficiente che abbia valore per il giocatore, che può ad esempio derivare dalla scarsità di un oggetto virtuale. Non è quindi necessario che la ricompensa di una loot box sia tramutabile in denaro del mondo reale.

Secondo questa interpretazione, anche le loot boxes di tipo E-I ossia oggetti virtuali isolati, che seppur acquistati con denaro reale non possono essere né scambiati né venduti, sono da considerarsi come gioco d'azzardo secondo la definizione giuridica nazionale.

Olanda: nel Paese, il fatto che la ricompensa abbia un valore individuale per il giocatore non è sufficiente per soddisfare la definizione nazionale di gioco d'azzardo (Kansspelautoriteit, 2018); è invece sufficiente e necessario che la proprietà del bene virtuale sia in potenza trasferibile da un giocatore all'altro ed è irrilevante se il passaggio di proprietà del bene virtuale avvenga legalmente o se tale scambio sia proibito dai termini e dalle condizioni dell'editore del gioco.

Dunque, due definizioni di gioco d'azzardo in linea con il nostro ordinamento e ben due possibili interpretazioni, almeno in teoria, perfettamente armonizzabili all'interno dell'ordinamento italiano che permetterebbero di considerare, e regolamentare le loot boxes come gioco d'azzardo.

Al caso belga ed a quello olandese si aggiungono la Slovenia, che deve ancora esprimersi in materia, e UK e USA che hanno espresso intenzione di rivalutare in ottica più stringente microtransazioni e loot boxes in particolare.[2]

Va considerato inoltre come i videogiochi abbiano una percentuale consistente della propria utenza composta da minori che sono, ovviamente, una categoria di consumatori particolarmente tutelata.

In particolar modo l'art. 31 comma (a) del codice del codice del consumo recita:

"La televendita non deve esortare i minorenni a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi. La televendita non deve arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni e deve rispettare i seguenti criteri a loro tutela:

a) non esortare i minorenni ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l'inesperienza o la credulità."

In questo contesto non sarebbe pertanto sorprendente se anche il nostro Paese adottasse una configurazione legale che vede e regola le loot boxes come gioco d'azzardo.

Conclusioni

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I videogiochi, fin dalla loro comparsa, sono stati subito catalizzatore di critiche diffuse e variegate di generare dipendenza, passando per l'originare comportamenti antisociali fino alla più attuale accusa di stimolare atteggiamenti violenti nei propri utenti.

In ultima analisi della corruzione delle giovani menti e in nome della salvaguardia delle stesse è sempre stato in qualche modo richiesto da alcune parti che venissero regolati-limitati rigidamente.

Ad oggi, tuttavia, non è ancora stato portato sul banco di prova alcuno studio o dato statistico inoppugnabile.

Che le microtransazioni, e le loot boxes in particolare, siano strumenti particolarmente potenti è un dato di fatto come lo è il loro far leva su meccanismi psicologici che portano gli utenti verso una classica coazione a ripetere.

Una tutela dei soggetti più esposti è senza dubbio auspicabile, ma una tutela consapevole.

Legiferare su una questione di cui non si ha una comprensione e conoscenza abbastanza profonda può generare effetti inutili o controproducenti, con produttori illogicamente penalizzati e categorie fragili comunque ancora esposte agli stessi rischi iniziali.

Dott. Giacomo Alessandro Accursio

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[1] ART.110 DEL T.U.L.P.S. di cui al R.D. 18 giugno 1931 n.773 - Allegato

[2] Loot boxes in online games and their effect on consumers, in particular young consumers (europa.eu)


Foto: 123rf.com
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