Evoluzione normativa e giurisprudenziale nel diritto penale e nel amministrativo punitivo del dogma dell'intangibilità del giudicato

Il principio di intangibilità del giudicato nel diritto penale

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Il giudicato nel diritto penale è disciplinato dal titolo I del Libro X del c.p.p. agli artt. 648 e ss. ed è volto a tutelare il soggetto dal rischio di riaperture del processo che lo sottoporrebbero al continuo intervento del potere giurisdizionale.

Tale principio è consacrato non solo in materia penale, ma anche in campo civile e amministrativo, nonché riconosciuto anche a livello sovranazionale e convenzionale.

Nonostante l'indubbia importanza della stabilità del giudicato, che durante il regime fascista trova la sua maggiore espressione, con l'avvento della Costituzione e la conseguente centralità dei diritti della persona, lo stesso ha subito un processo di progressiva "flessibilizzazione" a favore della tutela della libertà personale.

La flessibilizzazione del giudicato

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Questo cambiamento di prospettiva è avvenuto in modo più pregnante a partire dagli anni '80 sia ad opera del legislatore, attraverso una serie di interventi normativi di natura sostanziale e processuale, sia ad opera di numerose pronunce giurisprudenziali.

Riguardo alle norme di natura sostanziale introdotte in merito, significativi appaiono l'art. 2 comma 2 e 3 c.p. in tema di successione delle leggi penali, e l'art. 3 c.p. sull'obbligatorietà della legge penale. In materia di successione delle leggi penali l'art. 2 comma 2 c.p. dispone che la legge successivamente abrogata travolge il giudicato, l'art. 2 comma 3 c.p. invece riguarda l'ipotesi di conversione delle pene detentive in pene pecuniarie con evidenti ricadute in termini di giudicato; infine l'art. 3 c.p. dispone l'obbligatorietà della legge penale salvo le eccezioni derivanti da diritto pubblico interno e dal diritto internazionale.

Sotto il profilo processuale occorre da subito considerare le norme in merito introdotte dal codice di procedura penale del 1988 e da successivi interventi modificativi: l'art. 625 c.p.p. con riguardo al ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, la rescissione introdotta dal 2014 e poi modificata a seguito della L. 103/2017, l'art. 630 c.p.p. cosi come modificato dalla Corte Cost. n.113/2011, gli articoli 664 fino al 669 c.p.p. in tema di revocazione, infine l'art. 30 commi 3 e 4 della L. 87/1953.

Il ruolo decisivo della giurisprudenza sull'erosione del dogma del giudicato penale

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Nello stesso senso, anche i plurimi interventi giurisprudenziali sono stati fondamentali nel contribuire al processo di "erosione" del giudicato penale.

Prima fra tutte occorre ricordare la sentenza della Corte Costituzionale n.113/2011 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna che consentisse attraverso la riapertura del processo ai sensi dell'art. 46 Cedu di conformarsi alle sentenze della Corte di Strasburgo. La Corte ha previsto dunque un nuovo caso di "revisione atipica" per colmare lo "iato" (ovvero la frattura) tra verità processuale e verità sostanziale

Appare utile altresì sulla stessa scia menzionare le due note sentenze delle Sezioni Unite del 2014, "Ercolano" n. 18821/2014 e "Gatto" n.42858/2014 che, a seguito della famosa sentenza della Corte di Giustizia Europea "Scoppola" del 2009, hanno contribuito al processo di "flessibilizzazione" del giudicato.

La sentenza "Ercolano"

Con riferimento al caso in cui la declaratoria di incostituzionalità investa una norma non incriminatrice che incide sul trattamento sanzionatorio nella sentenza, le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che in uno Stato democratico e di diritto, la decisione deve essere sempre legittima, dal momento in cui viene pronunciata fino all'ultimo giorno di esecuzione della sentenza da parte del condannato, e che un "impedimento formale" non può ostacolare tale principio in conformità all'art. 25 comma 2, Cost. sulla legalità, all'art. 13 Cost sulla libertà personale, all'art. 27 comma 3, Cost. sulla finalità rieducativa della pena. La Suprema Corte nella medesima sentenza ha altresì disposto che il rimedio sia la revocazione della sentenza di cui all'art. 630 c.p.p., così come disposto dall'art. 30 comma 4 della L. 87/1953 e non la revoca di cui all'art. 673 che invece è strettamente attinente alle ipotesi di abrogazione e di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice.

Le Sezioni Unite dunque hanno ritenuto non percorribile la strada del procedimento di revisione di cui all'art. 630 c.p.p. in quanto non si rende necessaria una riapertura del processo funzionale a un nuovo giudizio di cognizione sul merito, ma occorre semplicemente incidere sul titolo esecutivo. In sede di esecuzione, non potendo trovare applicazione neanche il rimedio di cui all'art. 673 c.p.p., in quanto prende in considerazione i fenomeni di depenalizzazione e di incostituzionalità di una norma incriminatrice, deve farsi invece applicazione dell'art. 30 della L.87 del 1953, dal perimetro operativo più ampio rispetto a quello dell'art. 673 c.p.p.

La sentenza "Gatto"

Nella medesima direzione operano le Sezioni Unite "Gatto" summenzionate, dove hanno convenuto per l'illegittimità costituzionale anche della circostanza aggravanti, in quanto incidenti negativamente sul reo. Nel caso specifico è stata oggetto di illegittimità l'aggravante della clandestinità di cui all'art. 61 comma 11 bis c.p.

La valorizzazione del principio della lex mitior

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Infine anche la valorizzazione del principio della retroattività della lex mitior, ovvero della legge più favorevole, ha operato in modo significativo sull'intangibilità del giudicato penale.

Al fine di comprendere meglio la portata di tale incidenza, occorre a tal proposito considerare il quadro giuridico di riferimento.

Il nostro ordinamento contempla all'art. 2 commi 2 e 4 c.p. rispettivamente le ipotesi di abolitio criminis e di abrogatio sine abolitio.

Nella prima ipotesi, è espressamente previsto che la legge penale abrogata travolge il giudicato, nel secondo caso invece si tratta di successione di leggi e non di abrogazione, rimane fermo il limite del giudicato. Se l'art 2 c.p. prevede espressamente il principio di irretroattività sfavorevole, consacrato a livello costituzionale anche dall'art. 25 comma 2 Cost come corollario del principio di legalità; diversamente, il principio di retroattività favorevole non trova nel nostro ordinamento espresso riconoscimento.

La rivalutazione della retroattività della lex mitior

Se questo è il quadro di riferimento, occorre considerare che sia a livello nazionale che sovranazionale il principio di retroattività della lex mitor ha subito negli ultimi anni una forte rivalutazione.

A livello nazionale, è intervenuta la Corte Costituzionale con le sentenze nn. 393 e 394 del 2006 che hanno disposto che, pur non essendoci una norma che esplicitamente disciplina il principio di retroattività favorevole e non essendo possibile ricondurlo all'art. 25 comma 2 Cost., si può rinvenire il suo riferimento costituzionale nel principio di ragionevolezza di cui all'art 3 Cost., nonché di offensività, di tutela della libertà personale art. 13 Cost, del finalismo rieducativo della pena di cui all'art. 27 comma 3 Cost., e di proporzionalità.

Anche a livello sovranazionale, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza "Berlusconi e altri" del 3 maggio del 2005, ha conferito esplicito riconoscimento al principio della retroattività più favorevole, nell'art. 49 comma 1, della Carta di Nizza, rubricato "Principi della legalità e della proporzionalità" della pena.

Giova considerare che tale rivalutazione del principio di retroattività favorevole a sfavore dell'intangibilità del giudicato, ha sollevato critiche in termini di perdita di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici.

Ci si è chiesti se dunque tale principio abbia acquisito, in virtù delle suesposte pronunce, la medesima valenza del principio di irretroattività sfavorevole.

Retroattività favorevole e irretroattività sfavorevole

La Corte Costituzionale ha stabilito, in merito nella sentenza n. 236/2011, che il principio di retroattività favorevole non ha la medesima "forza" dei principi di irretroattività sfavorevole, in quanto laddove sia necessario esso deve essere bilanciato con le peculiarità dell'ordinamento giuridico, nonché con il margine di apprezzamento del caso concreto. Nella stessa direzione sembra andare la Corte Edu che nella sentenza del 12 gennaio del 2016 "Gourrè Patte c. Andorra" non ha specificato l'autonomia del principio in questione, ma ha spostato l'attenzione sui rimedi interni dello Stato e sul principio di legalità di cui all'art. 7 Cedu.

In materia penale dunque il giudicato è debole, e cede il passo tutte le volte in cui dal momento della decisione fino all'ultimo momento di esecuzione della sentenza, intervengano delle sopravvenienze favorevoli per il condannato.

L'intangibilità del giudicato nel diritto amministrativo punitivo

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Per quanto concerne il principio dell'intangibilità nel diritto amministrativo punitivo, giova dapprima specificare cosa si intende per diritto amministrativo punitivo e quali garanzie sostanziali e processuali operano.

Il diritto amministrativo punitivo può essere considerato una branca autonoma e diversa rispetto al diritto amministrativo ordinario e trova la sua principale fonte nella Cedu.

A partire dalla nota sentenza "Engel e altri c. Paesi Bassi" del 23 settembre del 1987, la Corte di Strasburgo ha infatti elaborato la cd. concezione autonomistica del reato e delle pene, in base alla quale considera in modo autonomo rispetto agli Stati membri e sulla base di specifici criteri se la sanzione sia penale o meno. In particolare, in disparte la qualificazione giuridica data dagli Stati nazionali, ed al fine di evitare la c.d. "truffa delle etichette" che considera una sanzione penale solo in virtù di una valutazione formale, i criteri elaborati dalla Corte Edu sono principalmente due e sono alternativi fra loro:

  • il criterio finalistico o teleologico, in base al quale si deve considerare se il fine della sanzione è punitivo, sanzionatorio o afflittivo e non invece riparatorio, ripristinatorio e risarcitorio;
  • il criterio della gravità della sanzione, in base al quale tanto è più grave la sanzione anche pecuniaria, tanto più si tratta di una norma penale.

Nel nostro ordinamento, numerose sanzioni amministrative sono state considerate penali da parte della Corte EDU: come nel caso della confisca urbanistica, la confisca per equivalente, numerose sanzioni in tema di illeciti stradali ecc.

Oggetto e tutele del diritto amministrativo punitivo

Quindi il diritto amministrativo punitivo comprende tutte le sanzioni considerate penali da parte della Corte Edu e ad esso si dovrebbero applicare i medesimi principi convenzionali in termini norme sostanziali, art. 7 Cedu principio di legalità convenzionale, e processuali artt. 6 riguardo al giusto processo e 13 in termini di effettività della tutela giurisdizionale.

Con specifico riguardo al secondo profilo giova considerare che il procedimento amministrativo deve essere quanto più simile a quello penale, pertanto l'amministrazione dovrebbe garantire simili standard di tutela di quelli concessi dal giudice penale; ed altresì che il controllo del giudice penale deve essere più pregnante in quanto volto a colmare il vulnus dato da una procedura formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale.

Inoltre l'estensione delle grazie processuali comporterebbe altresì l'applicazione del c.d. giudicato "debole", ovvero il giudicato sarebbe sempre modificabile in caso di sopravvenienze favorevoli al condannato.

Le sopravvenienze nel diritto amministrativo nazionale e sovranazionale

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Effettuate le dovute premesse contenutistiche, prima di rispondere al quesito in ordine all'intangibilità del giudicato amministrativo punitivo occorre considerare la valenza del giudicato nel diritto amministrativo "ordinario".

Appare utile da subito evidenziare che, mentre nel diritto penale il giudicato è diventato debole per le ragioni suesposte, in materia di diritto amministrativo e di diritto civile il principio del giudicato è "forte" in quanto le sopravvenienze incidono su di esso solo in casi eccezionali. Ciò in virtù del fatto che viene meno l'esigenza di contemperamento con la tutela della libertà personale, tipica del diritto penale.

Occorre distinguere le sopravvenienze del giudicato del diritto nazionale da quelle del diritto sovranazionale e Cedu.

  • Nel caso di sopravvenienze nel diritto nazionale, se il giudicato è sul rapporto, ovvero è istantaneo in quanto è stato attribuito all'interessato il bene della vita, allora le sopravvenienze non avranno alcun effetto su di esso che rimarrà intangibile. Diversamente nel caso in cui si tratti del c.d. "giudicato a formazione progressiva" o "giudicato elastico", per il quale è necessario un intervento della pubblica amministrazione affinché venga conferita la spettanza del bene o l'intervento del giudice dell'ottemperanza che deve dare esecuzione alla sentenza, allora le sopravvenienze incidono sul giudicato come se si tratti di successione fra norme.
  • In ambito sovranazionale, anche la Corte di Giustizia considera adeguatamente l'importanza della certezza e della stabilità dei rapporti giuridici del giudicato e non ne impone la revoca se non nel caso in cui vi siano degli strumenti interni agli Stati nazionali disposti in tal senso. Con riguardo alle sopravvenienze sovranazionali sul giudicato pertanto valgono le stesse considerazioni esposte in ambito nazionale con l'aggiunta di alcuni temperamenti. In primo luogo nel caso di aiuti finanziari la sentenza "Lucchini" della Corte di Giustizia del 18 luglio 2007 (C-11905) in materia di ripartizione delle competenze tra gli Stati membri dell'unione e l'Unione in materia di aiuti di Stato, ha statuito che il giudicato viene sempre travolto nel caso in cui si tratti del giudicato a formazione progressiva, l'Adunanza Plenaria n.11/2016 ha disposto che è compito del giudice dell'ottemperanza quello di eseguire la sentenza compatibilmente con le sentenze della Corte di Giustizia, nonché di fare il possibile per prevenire eventuali contrasti con il diritto sovranazionale; infine la tutela del diritto sovranazionale per il principio di equivalenza deve essere almeno paria quella nazionale.
  • Per quanto riguarda il principio di intangibilità del giudicato a seguito di interventi convenzionali, si dovranno esperire prima tutti i normali mezzi di impugnazione, e ricorrere infine alla Corte di Cassazione, in quanto le norme Cedu sono norme interposte che si collocano fra la Costituzione e la legge, ed entrano a far parte nel nostro ordinamento in virtù dell'art. 117 Cost.

Diritto amministrativo punitivo: quale giudicato?

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Analizzato il giudicato anche nel diritto amministrativo "ordinario" si deve adesso rispondere al quesito se applicare al diritto amministrativo punitivo la disciplina del giudicato del diritto amministrativo da ultimo esposta, oppure applicare le garanzie in termini sostanziali e processuali inizialmente esaminate della normativa penale sul c.d. giudicato debole.

Giova a tal proposito considerare che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 43/2017, ha disposto che nel caso in cui la sanzione amministrativa sia stata considerata in base ai criteri "Engel" come sostanzialmente penale, il giudicato amministrativo rimane intangibile. La Corte pertanto fa salvi i principi di certezza del diritto e della stabilità dei rapporti giuridici anche nel caso del diritto amministrativo punitivo, in quanto afferma la differenza fra le due qualificazioni della sanzione: nel diritto interno come amministrativa e nel diritto convenzionale come penale. Non è possibile estendere, a parere della Consulta, i rimedi interni propri del diritto penale nei confronti di una norma che ha diversa qualificazione nel diritto Cedu, dove i medesimi diritti non sono invece specificamente contemplati. Il giudicato amministrativo pertanto resta salvo e non viene "travolto" dalla diversa qualificazione penale operata dai giudici di Strasburgo.

Occorre specificare, infine, che la Corte di Cassazione non ha sempre accolto tale tesi nelle successive pronunce e che perplessità rimangono riguardo a tale scelta della Corte Costituzionale, che sembra essere distonica rispetto all'orientamento precedente volto a dare pieno riconoscimento e tutela ai criteri "Engel".

Giudicato debole e giudicato forte

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Per concludere, mentre negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva erosione del principio dell'intangibilità del giudicato in materia penale volta a favorire la tutela della libertà personale, tale da considerarlo debole in quanto sempre modificabile in melius fino all'ultimo giorno di esecuzione della sentenza di condanna, diversamente, nel diritto amministrativo punitivo considerato una branca autonoma e diversa dal diritto amministrativo ordinario, in quanto in virtù dei criteri "Engel" considera autonomamente dagli Stati membri le sanzioni come penali o amministrative, la disciplina del giudicato è soggetta al diritto amministrativo ordinario e quindi ad un giudicato "forte", modificabile solo nelle ipotesi eccezionali suesposte.


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