Secondo l'art. 2050 del codice civile chiunque provoca danni ad altri a causa dello svolgimento di attività pericolose è tenuto al risarcimento

La responsabilità oggettiva (o aggravata)

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Il nostro ordinamento prevede, come regola di carattere generale, che chiunque cagioni un danno ingiusto a un altro soggetto abbia l'obbligo di risarcire il danno patito da quest'ultimo.

È questo il contenuto della norma stabilita dall'art. 2043 c.c., che individua la c.d. responsabilità extracontrattuale (o aquiliana, o da atto illecito). In determinati casi, previsti normativamente, questa regola subisce una variazione, o meglio un aggravamento.

La responsabilità civile e il conseguente obbligo di risarcimento del danno, in tali particolari casi, non vengono più correlati alla colpa del soggetto agente, ma rispondono a un diverso criterio di collegamento: sono i casi di responsabilità oggettiva e di responsabilità indiretta, individuati dagli artt. 2047 ss. del codice civile.

La responsabilità ex art. 2050 c.c.

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Un particolare caso di responsabilità oggettiva è quello previsto dall'art. 2050 cod.civ., che individua la responsabilità per l'esercizio di attività pericolose.

In base a tale norma, "chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno".

È una norma che trova la sua ragion d'essere nella volontà di richiamare ad una maggiore attenzione chiunque eserciti attività che presentino un intrinseco carattere di pericolosità.

Inversione dell'onere della prova

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Il carattere oggettivo della responsabilità individuata dalla norma in esame risiede nel fatto che, provato il danno e il nesso causale con l'attività esercitata, il danneggiato non è tenuto a dimostrare la colpa di colui che esercita l'attività pericolosa, né quest'ultimo può liberarsi semplicemente provando di essersi attenuto ad ogni disposizione normativa e ai canoni di diligenza nella condotta.

In questo caso, infatti, la colpa è presunta e tale presunzione può essere superata solo con la dimostrazione di avere adottato ogni misura idonea ad evitare il danno. Si verifica, in sostanza, l'inversione dell'onere della prova.

Proprio la difficoltà di fornire una simile prova porta a ritenere la responsabilità configurata da tale norma come oggettiva o, quanto meno, aggravata rispetto a quella prevista dall'art. 2043 c.c.

In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che la responsabilità di chi esercita l'attività pericolosa può essere esclusa per il fatto del terzo (o del danneggiato stesso, che può anche essere un dipendente) solo se la rilevanza di quest'ultimo sia idonea ad escludere il nesso causale tra l'attività pericolosa e l'evento (cfr. Cass. civ. n. 15113/16).

Quali sono le attività pericolose

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Quanto all'individuazione di quali siano le attività pericolose cui fa riferimento l'art. 2050 c.c., è pacifico che tale novero non comprenda solo quelle attività così definite dalla normativa vigente, ma qualunque tipo di attività che comporti la rilevante possibilità del verificarsi di eventi dannosi.

A titolo di esempio, possono pertanto indicarsi le attività inerenti alla produzione e distribuzione di gas ed energia elettrica ad alta tensione, le attività che comportano l'impiego di armi o esplosivi, l'attività edile in particolari casi (es. scavi di grandi proporzioni), la caccia, determinate attività sportive (es. equitazione), ecc.

Il trattamento dei dati personali

In particolare, va segnalato che, per espresso richiamo normativo, rientrava tra le attività pericolose anche il trattamento di dati personali.

Il vecchio art. 15 del codice della privacy (d.lgs. 196/03) prevedeva, infatti, che "chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile".

Tale articolo è ora stato abrogato, in virtù dell'adeguamento del codice al Regolamento europeo per la protezione dei dati personali n. 679 del 2016 (c.d. regolamento GDPR).

L'art. 82 del GDPR, tuttavia, assicura una tutela simile, disponendo che "chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del presente regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento", con ciò individuando più precisamente i soggetti tenuti al risarcimento del danno.


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