Non è necessario per integrare il reato contravvenzionale di rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale essere coinvolti nel fatto

di Annamaria Villafrate - La Cassazione con la sentenza n. 13731/2020 (sotto allegata) chiarisce che per integrare il reato contravvenzionale di cui all'art. 651 c.p, che punisce chi si rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità su richiesta del pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, non è necessario essere coinvolti nei fatti che hanno richiesto l'intervento delle forze dell'ordine. Deve quindi essere punita la donna che, dopo l'intervento dei vigili per una segnalazione di disturbo della quiete pubblica, crea confusione mettendosi a inveire contro i presenti e assumendo un atteggiamento di sfida nel momento in cui gli agenti chiedono le sue generalità.

Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale

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Il Tribunale assolve l'imputata dall'illecito penale di cui all'art 651 c.p. che punisce il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale, perché il fatto non costituisce reato. Alla donna è stato contestato di essersi opposta a fornire indicazioni sulla propria identità agli agenti di polizia locale, mentre costoro erano impegnati nell'esercizio delle loro funzioni, dopo essere stati chiamati per episodi di disturbo della quiete pubblica.

Nel corso di detti accertamenti l'imputata, estranea ai fatti, iniziava a inveire contro i presenti, da qui la richiesta da parte degli agenti di fornire le proprie generalità, a cui la donna si opponeva, allontanandosi per poi riprendere la sua attività di disturbo. Da qui la nuova richiesta di fornire i propri dati, a cui la donna si opponeva con atteggiamento di sfida.

Dall'analisi di quanto accaduto il Tribunale è giunto all'assoluzione perché ha rilevato l'insussistenza della necessità di tutelare l'ordine pubblico. L'imputata non era infatti direttamente interessata dai fatti che avevano reso necessario l'intervento degli agenti. Il fatto che la donna poi abbia iniziato a inveire contro i presunti è sintomatico della mancanza di consapevolezza d'intralciare il lavoro dei pubblici ufficiali.

Reato di cui all'art. 651 c.p.

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Ricorre in Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello ritenendo errata l'affermazione secondo cui nel caso di specie non era necessario tutelare l'ordine pubblico.

L'imputata con le sue invettive ha infatti contribuito a creare ancora più confusione rispetto a quella che ha reso necessario l'intervento degli agenti, tanto che gli stessi sono stati costretti a un certo punto a chiederle le generalità, a cui la donna si è opposta con atteggiamento di sfida. Atteggiamento omissivo colposo sufficiente di per sé a integrare il reato di cui all'art 651 c.p.

Reato rifiutare di fornire indicazioni sulla propria identità

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La Cassazione con sentenza n. 13731/2020 ritiene fondato il ricorso del Procuratore, tanto che annulla il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale per un nuovo giudizio.

La ratio della norma, spiga la Cassazione, è di consentire ai pubblici ufficiali d'identificare i soggetti coinvolti in situazioni che rivestono interesse generale per tutelare la quiete pubblica ed evitare intralci alla loro attività. Per integrare il reato è poi necessario che l'ufficiale stia esercitando le due funzioni, non rilevando che il soggetto a cui vengono chieste le generalità sia responsabile di un illecito penale o amministrativo, senza possibilità per il giudice di sindacare l'iniziativa del pubblico ufficiale relativamente alla causa che induce a richiedere dati relativi alla identità personale. Principi a cui non si è attenuto il Tribunale avendo escluso:

  • la sussistenza di esigenze di ordine pubblico;
  • la necessità dell'imputata di fornire le proprie generalità;
  • la legittimità della richiesta, avendo l'imputata in realtà commesso il reato contravvenzionale che richiede solo la colpa.

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