La puntata n. 18 di Frammenti è un inno alla televisione in cammino ed alla lettura di Tiziano Terzani

di Paolo M. Storani - Mi ero fermato a contemplare, magnificandole, le figure straordinarie di Sergio Endrigo e di Vittorio De Sica. A Giorgio Terruzzi, ch'è stato virtualmente il mio Virgilio per la rivisitazione del film-capolavoro «Miracolo a Milano», con le scene girate nella sua Lambrate, chiedo una precisazione.

«Cosa intendi quando scrivi, a proposito del campo di rugby di Lambrate, che vi siete 'saccagnati'? Intendi forse 'malmenati, pestati' oppure 'inzaccherati, insudiciati'; per inzaccherato intendo sporco di fango».

E Giorgio mi risponde così: «intendo segnati, segni sul corpo causa partite».

Come i segni sulle reliquie di Pasolini, in acronimo PPP, che è andato a vedere, in pellegrinaggio silenzioso, Domenico Iannacone.

Come Ettore di Bergamo ch'è andato a guarire all'Ospedale di Palermo o come Tiziano Terzani alle prese con il problema a tutti comune della mortalità.

Certamente le nostre sono storie minime, ma sono pur sempre le…

Short Stories di Studio Cataldi.

Frammenti: le Short Stories di Studio Cataldi - puntata n. 18

Con Domenico Iannacone, la faccia buona che non giudica

Ricordo la puntata «Arrivederci Roma» della serie «I Dieci Comandamenti» di Domenico Iannacone che per me è come uno di casa, potrebbe sedersi sul divano accanto a me per rimirarla.

Per «rimirare» intendo guardare di nuovo, ma anche contemplare, guardare con rafforzata attenzione l'empatia che zampilla.

Chi cerca di scoprire l'essenza di Napoli deve obbligatoriamente riguardarsi «L'altro mare», ove, Domenico, hai descritto la città meravigliosamente povera e dignitosa che ho visto io aggirandomi bambino per la Campania dei miei nonni.

Quell'intreccio che segna le traiettorie della vita e del destino, in una miriade di cerimonie, liete e funebri, matrimoni, cresime, comunioni ed addii fusi in un mix che ti entra dentro e non ti lascia più.

Proprio come la tv che fai tu, Domenico Iannacone, con le tue «scarp de' tenis» che potrebbero piacere a Stefano Lampertico, che fa il giornale di strada sul web ed ora ha preso Giorgio Terruzzi per sostituire Gianni Mura.

Ti poni di lato, con rispetto assoluto, e lasci parlare i personaggi che, poi, siamo noi tutti, protagonisti del silenzio e del brusio.

Il flusso della vita.

Possiedi il «principio di ogni filosofia»: «il meravigliarsi» dice Platone, mentre deduce dal fatto che il giovane Teeteto si meraviglia la sua attitudine al filosofare (Max Pohlenz, La Stoa, ed. Bompiani, 2005).

E, poi, il flusso della morte nel brivido lungo la schiena che coglie chi - come te, Domenico, - ha davanti a sé «i reperti dell'omicidio di Pier Paolo Pasolini deposti su un telo di lino come fosse un sudario. Gli oggetti che diventano corpo, reliquie laiche del poeta ucciso e oltraggiato. La canottiera intrisa di sangue e segatura, il fango dell'Idroscalo di Ostia incrostato sulle sue scarpe».

In fondo, «noi siamo il combustibile della vita», come sostiene in una bella pagina del suo «Fine pena: ora», edito da Sellerio nel 2015, il giudice Elvio Fassone; agitandoci in mille modi incarniamo il fluire del tempo.

Anche questa sarebbe una short story per te, con la corrispondenza continua e regolare per decenni - ventisei anni per la precisione - tra lo sconforto di Salvatore nella casa circondariale dell'ergastolo ed il giudice che lo ha condannato.

E' il rispetto reciproco tra il Presidente della Corte d'Assise che celebra il maxi processo alla mafia catanese ed uno degli imputati, divenuto galeotto a vita.

Chiamiamolo pure con un azzardo un rapporto di fiducia.

«I Dieci Comandamenti» è televisione, senza accentazioni, perché aggiungere di qualità? Dai retta, «Ianna», non serve.

Noi siamo gente in cammino insieme a te, gente randagia, e «questo tempo sospeso finirà. Avremo tempo - come dici tu - di ricominciare a camminare».

Sì, hai ragione anche in questo: «il nostro sguardo incrocerà nuovi gesti di amore».

E ciò anche se ora siamo imbevuti di una retorica ormai insopportabile: «andrà tutto bene»; talmente bene che sono sino ad ora decedute… soltanto 160 mila persone nel mondo, ruspe per le sepolture in Paesi civili come gli Stati Uniti ed il Brasile, ove il Sindaco Bruno Covas ha dato ordine di aumentare da 4 a 13 i miniescavatori al lavoro.

In Italia ed in Spagna è andata talmente bene che i morti sono rispettivamente 23.227 da noi e più di ventimila nella nostra consorella.

Ettore, da Bergamo a Palermo per battere il virus

Come il magazziniere bergamasco in pensione, Ettore Consonni, 61enne.

Diventa paonazzo circa un mese fa per l'assenza di ossigeno.

L'ambulanza va a sirene… spietate, direbbe una mia amica.

Oltretutto, quando il Covid-19 colpisce il malcapitato Ettore non vi sono posti di terapia intensiva in Lombardia.

Un aereo militare lo aviotrasporta all'Ospedale Civico di… Palermo!

Morirà o vivrà in Sicilia.

23 giorni di combattimento con il virus ed Ettore si risveglia con un casco astronautico in testa.

Sente parlare la lingua (sottolineo lingua, non dialetto: avete letto il grande Camilleri?) siciliana.

Sulle prime pensa a qualche rianimatore trasferito nel… profondo Nord; invece, si trovava a Palermo, con «medici ed infermieri… davvero speciali».

«Ianna», è una microstoria per te.

Con Terzani alla ricerca della malattia di tutti, la mortalità

L'orrendo rituale del bollettino quotidiano officiato - chissà poi perché - dal Capo della Protezione Civile Angelo Borrelli finalmente è stato interrotto oppure ridotto, a quanto pare, a due tragiche comparsate per settimana.

Uno come me che ha partecipato a tante autopsie - barricandosi prima e dopo con il Vix nel naso, spruzzato nelle cappelle degli ospedali - inorridisce all'imputazione della morte ad una causa specifica, così a braccio.

Non mi voglio di certo con ciò ficcarmi dentro la polemica su «è morto per» ovvero «è morto con», dibattito che proprio non mi riguarda.

Ma - stando ai si dice - le autopsie (ove fossi stato decisore politico, ne avrei disposto a tappeto, se non altro per capire qualcosa del misterioso Coronavirus) non si potrebbero fare per timori di contagio; come se un medico legale o un anatomo patologo fosse un perfetto sprovveduto o come se non corresse lo stesso rischio di contagio in qualunque altra occasione di rilievo autoptico.

Ripenso tra me e me ad una frase letta in un libro che giudico fondamentale.

Di nessuno si scrive: «è morto perché è nato».

Mi sono ricordato di questa riga scritta da Tiziano Terzani all'interno del volume «Un altro giro di giostra», edito da TEA, gruppo editoriale Mauri Spagnol, prima edizione dell'aprile 2008.

La ragione del libro: il viaggio, che ha contrassegnato tutta la splendida carriera di Tiziano, inviato di guerra per il settimanale tedesco Der Spiegel, non era più in cerca di una cura per il cancro, ma per quella malattia ch'è di tutti: la mortalità.

In fondo, se ricordate i primi giorni della forzosa clausura da Covid-19, in parte condizionati dalla nostra paura ed in parte in totale balia mediatica, forse più di ammalarci avevamo una gran paura di morire.

E di farlo in solitudine.

E di finire dentro uno di quei carri militari che tutti abbiamo visto con orrore per le vie di Bergamo.

L'istantanea del Covid-19 per me è quell'immagine.

«Facevo di tutto per mantenere la routine che mi ero imposto come segno del mio non mollare».

Espone il grande narratore Terzani alle prese con il suo viaggio interiore: «Ci sono ammalati che smettono di lavarsi i denti, di pettinarsi, come se niente più valesse la pena o come se quel corpo, causa di tutti i malanni, non potesse essere più amato e diventasse oggetto di disprezzo e di odio».

«Quello, anche se a volte stentavo a riconoscerlo, era dopo tutto il solo corpo che avevo e tenerlo in esercizio era il meglio che potessi fare».

E così, tra una seduta di chemio e l'iniezione nella pancia, lunghissime passeggiate a Central Park.

Così mi tocca chiudere menzionando la dedica di Gad Lerner: «per il tanto che mi ha fatto pensare e per il bene che mi ha trasmesso, gli dico grazie».

Riparleremo dell'immensa figura di Tiziano Terzani e anche di Gad, il libanese apolide.

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