L'Art. 416 bis c.p. tra "giurisprudenza creativa", "nuove mafie" e "mafie delocalizzate". Concretizzazione e prova del metodo mafioso nella legalità penale e convenzionale

Avv. Antonio Trapasso - La vicenda giudiziaria denominata "Mafia Capitale" (1) ha portato nuovamente parte della dottrina (2) ad interrogarsi sulla "reale" consistenza di uno degli elementi tipici della fattispecie di cui all'art. 416 bis c.p. (3), ovvero il " metodo mafioso". (4)

Il reato di associazione mafiosa nella giurisprudenza

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Guardando i repertori giurisprudenziali del reato di associazione mafiosa e la produzione scientifica intervenuta, è possibile dedurre parzialmente, una certa sedimentazione sul piano interpretativo e applicativo di tale fattispecie. (5) Ma a distanza di più di trent'anni dall'introduzione della disposizione in commento torna alla "ribalta" uno degli elementi cardine dell'associazione di tipo mafioso, ovvero il concetto di forza di intimidazione.

A tal punto , è necessario porre sotto la lente di ingrandimento quegli orientamenti giurisprudenziali succedutisi negli ultimi anni, al fine di comprendere se la fattispecie delittuosa dell'associazione mafiosa stia subendo una torsione applicativa in contrasto con i principi di legalità penale e convenzionale.

La giurisprudenza di legittimità ha posto in essere una tendenza ricostruttiva che ha di fatto finito con l'assecondare quel processo di progressiva dilatazione della fattispecie , fino al punto di rendere in alcuni casi "evanescente" la portata tipizzante degli estremi in parola.

Gli ultimi interventi giurisprudenziali si confrontano con un recente aspetto della criminalità organizzata , ossia l'espansione del potere criminale da Regioni che per storia e tradizione risultano essere tipicamente conviventi con il fenomeno mafioso e l'esportazione di tale "cultura criminale" verso Regioni tipicamente refrattarie a quest'ultimo , e diverse da quelle che hanno concretamente ispirato il legislatore del 1982 nella creazione della fattispecie.

Ciò che concretamente sembra cambiare sono le numerose e mutevoli modalità di infiltrazione mafiosa nelle aree del Paese non tradizionali (6), ove si riscontra un'attenzione sempre più imponente e spasmodica delle "mafie delocalizzate" alle attività economiche più redditizie.(7)

Si deve censurare la tendenza a estendere l'ambito applicativo delle associazioni mafiose a quelle forme di criminalità " nuove e atipiche " rispetto al modello tipo descritto dal legislatore e che non sono in grado di sprigionare "all'esterno" una forza intimidatrice scaturente dal mero vincolo associativo e non collegata a singoli , specifici e concreti atti di intimidazione , rispetto ai quali risulterebbe difficilmente comprensibile l'adattamento di quelle coordinate sociologiche che hanno dato vita alla disposizione. (8)

Le diverse posizioni esprimono differenti approcci ideologici culturali sul modo di coniugare modello processuale e scopi della giustizia penale. Tali approcci ermeneutici prediligono le esigenze di difesa sociale.(9) In simili evenienze " la scoperta della verità è una posta tanto alta da non sopportare intralci o remore".(10) Ne deriva che , secondo gli orientamenti in rassegna , l'attuazione della politica criminale come contrasto alle accese forme di delinquenza associata , può ammettere anche sul metodo probatorio (11) , soluzioni etichettabili come "doppio binario" , "regime differenziato" , "diritto modulare" , ossia deroghe legislative e giurisprudenziali , rispetto alla generalità dei casi , con chiare venature da sistema inquisitorio. (12)

Il diritto penale attuale , pieno di fattispecie contenenti elementi elastici , inconsistenti e per certi versi vaghi , può essere limitativo all'interno del processo penale , proprio perché queste fattispecie così congegnate ripropongono con prepotenza la signoria del giudice soprattutto in un apprezzamento valutativo a maglie larghe , rispetto al quale le garanzie del procedimento di acquisizione probatoria perdono ogni consistenza. (13)

Genesi storica dell'art. 416 bis c.p. e natura giuridica

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La disposizione legislativa introdotta con la legge 13 settembre 1982 , n. 646 risente di una tipizzazione del metodo mafioso fondata su parametri socio - criminologici , a loro volta derivati dalla elaborazione giurisprudenziale intervenuta in tema di misure di prevenzione.(14)

Concepito in un periodo di forte tensione soprattutto per l'ordine democratico dello Stato , che doveva fronteggiare le insidie e i pericoli derivanti dal fenomeno criminale siciliano , il delitto di associazione di stampo mafioso si caratterizza , rispetto all'associazione per delinquere comune , per l'adozione all'interno del modello tipico , di referenti descrittivi di natura extranormativa (15) , importati con prepotenza dallo studio dei fenomeni socio-criminologici. (16)

Insieme alle varie finalità , non coincidenti con l'associazione semplice , la "punta di diamante" che caratterizza la condotta punita nell'art. 416 bis c.p. è il metodo mafioso , ossia l'insieme delle modalità (17) con cui gli affiliati intendono raggiungere , o di fatto perseguono gli scopi tipici.

Così come concepito , la costruzione complessiva del 3° comma dell'art. 416 bis c.p. , evidenzia significative carenze di determinatezza concettuale (18) , confermate con regolarità crescente dalle ondivaghe , e per alcuni versi forzate , decisioni applicative.

Vaghezza della disposizione legislativa che ha evidenziato la spiccata "creatività della giurisprudenza" in sede di applicazione della legge penale. (19)

Una creatività interpretativa che ha dato luogo a fenomeni di supplenza giudiziaria che ha portato la magistratura a estenuanti prese di posizioni non legittimate dal dato normativo , che creano un vero e proprio "sottosistema penale d'eccezione". (20)

Analizzata la vaghezza di alcuni elementi della fattispecie , è necessario a questo punto soffermarsi sulla natura giuridica del delitto di associazione mafiosa. E' evidente che non si tratta di disquisizioni accademiche prive di significato ma , piuttosto , di un elemento predominante e per certi versi fondamentale ai fini di un ragionamento che incastoni la fattispecie all'interno di quei principi costituzionali e convenzionali che a fatica sono ormai diventati punto ineliminabile all'interno dell'universo penalistico.

Per una più consapevole lettura , il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. deve essere necessariamente posto in relazione con il preesistente delitto di associazione per delinquere di cui all'art. 416 c.p. (21)

In merito possono sinteticamente indicarsi due contrapposti orientamenti. Per una prima opinione , il delitto di associazione di tipo mafioso ha percorso le vie già segnate dal precedente art. 416 c.p. Viceversa , altro indirizzo interpretativo ha riscontrato la presenza di una nuova norma o ha evidenziato la parziale novità dell'art. 416 bis c.p.

Probabilmente la soluzione migliore è quella di ritenere che tra l'art. 416 c.p. e l'art. 416 bis c.p. , vi sia una frattura , un rapporto di indipendenza e non una vera e propria relazione di specialità. Tale assunto si ripercuote sulla natura giuridica del reato.

Quindi , non si tratta di cerchi concentrici in cui l'una fattispecie ingloba l'altra , ma di due cerchi che solo in piccolissima parte hanno degli elementi in comune ed entrano in contatto per una determinata porzione.(22)

L'avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti o per tutte le altre ipotesi previste , qualifica e presuppone l'attività delittuosa effettivamente realizzata dai componenti del sodalizio e nel contesto in cui opera l'associazione , con caratteristiche tali e dirette alla violenza e all'intimidazione generale e diffusa , causalmente diretta a determinare la situazione di condizionamento e di omertà , e quindi di controllo ampio e diffuso , di cui appunto gli associati si avvalgono.

Per tali motivi , l'associazione è stata definita un'associazione che "delinque" e la figura associativa che ne consegue a "struttura mista". (23)

Ma tale locuzione , per avere un senso compiuto , soprattutto alla luce delle recenti " decisioni creative" che da qui a poco verranno analizzate , deve essere riempita di contenuto.

Ai fini della natura giuridica è necessario stabilire se si tratta di reato di pericolo o di danno.

L'adesione all'uno o all'altro punto di vista non è privo di riflessi sul piano applicativo. Nella scelta l'interprete deve lasciarsi guidare da una precomprensione concepita come anticipata valutazione del risultato decisorio cui conduce la scelta di un determinato metodo interpretativo. (24)

In dottrina (25), sin dai primi commenti ci si è spinti al punto di optare per il reato di mero pericolo (26) , preoccupati soprattutto da esigenze di difesa sociale e di ordine politico-criminale. (27)

Anche a volerlo definire reato di pericolo , è necessario analizzare compiutamente se trattasi di reato di pericolo astratto o presunto ovvero di pericolo concreto. Data una risposta a tale interrogativo sarà necessario procedere ad analizzare l'ulteriore segmento di fattispecie tipica al fine di dare un "senso , un corpo e un'anima" agli elementi tipici ulteriori presenti nel 416 bis c.p. , che non esauriscono a tal punto il completamento della fattispecie tipica prevista dal legislatore.

I requisiti della forza di intimidazione e della conseguente condizione di assoggettamento ed omertà sono tali da configurare quale bene giuridico tutelato dalla norma un ordine pubblico di tipo "materiale" e non meramente ideale con diverso oggetto giuridico rispetto agli altri reati associativi.(28)

Potremmo definire l'associazione di stampo mafioso come reato di pericolo concreto con evento (danno) necessario.

Il primo passo che l'interprete deve compiere per verificare l'esistenza della fattispecie di cui all'art. 416 bis c.p. è quello di appurare che l'impianto organizzativo abbia quella predisposizione tipica a fungere da associazione mafiosa. La verifica della "mafiosità del programma associativo" deve essere preliminare per ogni ulteriore valutazione. Saggiata l'attitudine e l'essenza mafiosa della deliberazione programmatica , l'interprete deve volgere lo sguardo altrove per rinvenire il requisito richiesto dal 3° comma dell'art. 416 bis , virando in maniera preponderante l'interesse della sua decisione valutativa per saggiare "esistenza" e "contenuto" della carica intimidatrice. La descrizione dell'evento costituisce la premessa ineludibile di ogni giudizio causale.

Non è consentito aggirare la fattispecie tipica eclissando alcuni dei suoi elementi costitutivi , eliminando o riducendo l'essenza della carica intimidatoria e le relative declinazioni causali in punto di assoggettamento ed omertà , dando spazio solamente alla sussistenza del programma associativo e alla possibilità astratta di una sua possibile estrinsecazione nei confronti di soggetti e/o collettività indeterminate, anticipando eccessivamente la tutela penale così trasformando l'associazione mafiosa in un'associazione a delinquere comune ai soli fini della prova ma non del trattamento sanzionatorio , e di tutte le altre "implicazioni pratiche" e derogatrici derivanti dal processo penale.(29)

Solo attraverso una equilibrata configurazione dei rapporti tra potere legislativo e giudiziario il principio di legalità è in grado di assumere una dimensione "sostanziale".

I diversi gradi dell'offesa penalmente rilevante riflettono determinate scelte del legislatore : configurando reati di danno (o di lesione) , il legislatore punisce fatti che compromettono l'integrità dei beni (ad es. è il caso dell'associazione di stampo mafioso). Viceversa , configurando reati di pericolo , il legislatore intende anticipare la tutela penale reprimendo comportamenti che mettono in pericolo un numero indeterminato di persone.

Sono reati di pericolo astratto quei reati nei quali il legislatore , sulla base delle leggi di esperienza , ha presunto che una classe di comportamenti è , nella generalità dei casi , fonte di pericolo per uno o più beni giuridici. In tali casi , il pericolo non è elemento del fatto di reato e non deve essere accertato dal giudice in quanto già " vagliato" dal legislatore.

Nei reati di pericolo concreto l'accertamento del pericolo esige una prognosi ex ante a base totale. Il giudice deve , innanzitutto riportarsi idealmente al momento nel quale si è verificata l'azione o l'evento della cui pericolosità si tratta ; per formulare la prognosi deve utilizzare il massimo delle conoscenze (scientifiche e di situazioni di fatto) disponibili al momento del giudizio , che gli consentiranno di dire se , data quell'azione o quell'evento , era probabile (non semplicemente possibile) il verificarsi della lesione del bene tenendo conto di tutte le circostanze presenti al momento in cui si è compiuta l'azione o si è verificato l'evento. Alla stregua di tali criteri il giudice stabilirà se il bene giuridico , nel singolo caso concreto , ha corso il pericolo di essere leso. (30)

Nel primo segmento della verifica giudiziale , il giudice dovrà accertare in concreto se il bene giuridico è stato posto in pericolo dalla organizzazione criminale , compiendo una indagine sulla consistenza dell'organizzazione e sul programma associativo.

Successivamente , dovrà analizzare l'ulteriore segmento per l'integrazione della fattispecie tipica , ovvero verificare se la forza di intimidazione si sia realmente sprigionata all'esterno provocando in gruppi specifici o comunità (anche ristrette) , attraverso un percorso causale , l'assoggettamento e l'omertà previsti nella fattispecie tipica.

Preme ribadire ulteriormente che sul terreno applicativo lo svuotamento contenutistico e valoriale del diritto penale , già posto in essere dal legislatore in sede di formulazione della fattispecie associativa , viene aggravato dall'opera di una giurisprudenza creativa che annichilisce la fattispecie svuotandola di contenuto e addivenendo in alcuni casi di maquillage normativo a porre in stand-by i principi penalistici , attraverso una vera e propria applicazione analogica in malam partem dell'art. 416 bis c.p. , e con l'ulteriore aggravio di inevitabili forzature probatorie.

Pertanto , vengono in essere i principi di determinatezza e analogia che rappresentano due requisiti diversi (31) : l'uno attiene alla formulazione delle disposizioni penali e ricade , dunque , nella responsabilità del legislatore (32); l'altro attiene all'attività interpretativa e all'applicazione delle norme e ricade nella responsabilità degli interpreti (in primo luogo dei giudici).

" Se si vuole che il contraddittorio per la prova non sia apparente e se si ha di mira la fecondità logica della contestazione della pretesa punitiva , nonché della sua esposizione al controllo da parte di chi ne subisce le conseguenze del processo e della pena che ne può conseguire , presupposto epistemologico indefettibile è la presenza di alcuni corollari del principio di legalità : tassatività e materialità della fattispecie penale".(33)

Quindi , la natura giuridica può essere così sintetizzata : reato di pericolo concreto per ciò che attiene alla deliberazione del programma associativo e all'organizzazione criminale ; reato di danno per ciò che interessa l'esistenza del metodo mafioso e il relativo assoggettamento ed omertà che conseguono in chiave causale che vanno rispettivamente provate. Entrambi devono sussistere per l'integrazione della fattispecie penale.

La giurisprudenza sul metodo mafioso e il contrasto tra diversi orientamenti

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Negli ultimi anni si registra una crescente consapevolezza dell'espansione delle mafie in diverse zone dell'Italia settentrionale - dalla Lombardia al Piemonte , dalla Liguria all'Emilia Romagna - che tradizionalmente erano ritenute immuni dal fenomeno mafioso , che era stato per lungo tempo considerato "espressione" delle Regioni del Meridione.

I casi pratici affrontati dalla giurisprudenza negli ultimi anni , hanno riaccesso l'interesse per una fattispecie che aveva già riscontrato delle criticità sul tema della "partecipazione" all'associazione mafiosa e sul concorso esterno.

La giurisprudenza , sia di merito che di legittimità , è stata investita da un'ondata di procedimenti giudiziari che hanno interessato oltre che l'emergere di "nuove mafie" come quelle straniere (34) , anche l'esportazione di quei fenomeni criminali che hanno attraversato tutta la Penisola sino a renderla ormai una vera e propria questione nazionale. (35)

Il tema - gia' postosi in dottrina e giurisprudenza - e' quello della configurabilita' o meno (sempre nell'ottica dell'articolo 416 bis c.p.) della cd. mafia silente (36), tema che a sua volta nasce da un fenomeno, non nuovo, che e' quello della delocalizzazione di organizzazioni mafiose storicamente nate e sviluppatesi altrove. Le associazioni in questione nell'ambito del fenomeno di "colonizzazione" di territori una volta immuni da forme di manifestazione delinquenziale mafiosa ad opera di sodali che, per varie ragioni, in tali territori si trasferiscono, costituendovi nuove articolazioni, denominate appunto "locali" o "mandamenti", strettamente collegate alla casa madre, da cui mutuano le stesse regole organizzative della 'Ndrangheta o della mafia, comprese le forme di iniziazione e le denominazione dei diversi ruoli da attribuire agli appartenenti.

Si è assimilato il rapporto intercorrente tra la Calabria e le relative articolazioni territoriali ad una sorta di rapporto di franchising, "nell'ambito del quale la Calabria è proprietaria e depositaria del marchio "Ndrangheta", completo del suo bagaglio di arcaiche usanze e tradizioni, mescolate a foltissime spinte verso più moderni ed ambiziosi progetti di infiltrazione nella vita economica, amministrativa e politica.

Il problema attuale è quello di verificare se l'associazione mafiosa abbia "realmente" conseguito una capacita' di intimidazione autonoma nel nuovo ambiente in cui opera, oppure possa bastare anche soltanto che l'associazione in questione abbia conservato la forza di intimidazione e la capacita' di sopraffazione gia' acquisite dall'organizzazione madre o sia necessario altro , come ad esempio l'esteriorizzazione " in loco" di una forza di intimidazione reale , concreta ed effettiva e percepità all'esterno come forza prevaricatrice che interessa una moltitudine di persone o gruppi o comunità.

Ci si riferisce al tema della esteriorizzazione del metodo mafioso di cui all'art. 416 bis cod. pen., comma 3.

Tale problematica viene alla ribalta in quanto alcuni arresti giurisprudenziali , secondo letture interpretative non sempre coerenti con il tenore effettivo dei principi espressi da altre pronunce ribadiscono , riscontrata la sussistenza dei moduli organizzativi e strutturali tipici delle organizzazione mafiose, per configurare l'ipotesi di reato ex art. 416 bis cod. proc. pen., sarebbe poi indifferente l'accertamento di concreti atti intimidatori esplicativi del metodo mafioso posti in essere nel territorio in cui l'associazione finisce per operare.

Ciò in considerazione della natura di pericolo della figura criminosa e della conseguente indifferenza della realizzazione di reati-fine destinati a comprovare la capacità di intimidire i consociati tipicamente propria dell'azione mafiosa, potendo il gruppo derivato profittare della forza di intimidazione della casa madre, avente peso e valenza extraterritoriale , nonché della adeguatezza al fine anche della "mera potenzialità" , ascritta all'ente criminale, di sprigionare la carica intimidatrice destinata a piegare la volontà di quanti vengano in contatto con i consociati. (37)

La domanda , dunque, e' se anche nelle evenienze in cui tale "concretizzazione del metodo" manchi , debba applicarsi l'art. 416 bis c.p.

La risposta affermativa , ha sostenuto certa dottrina , consentirebbe di munire la norma incriminatrice di un'attitudine repressiva concreta e anticipata, tale da intervenire prima che il fatto della mera associazione (caratterizzata da organizzazione gerarchica, struttura prevalentemente familistica e rituali propri dei suoi antecedenti storici) si estrinsechi in atti percepiti o percepibili come violenti e/o intimidatori nel nuovo contesto territoriale.

In altre parole, l'accento e la prova stessa del reato dovrebbero spostarsi dal metodo mafioso concretamente manifestato (attraverso reati mezzo o reati fine) al mero fatto organizzativo e ai suoi rapporti con la casa madre, essendo l'organizzazione gia' di per se' potenzialmente idonea a creare condizioni di assoggettamento e di omertà.

Con l'ordinanza di rimessione num. 15807/2015 la II Sezione penale della Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite (rigettata dal Primo Presidente) (38) il seguente quesito di diritto : se, nel caso in cui un'associazione di stampo mafioso (nella specie la Ndrangheta) costituisca in Italia o all'estero una propria diramazione, sia sufficiente, ai fini della configurabilità della natura mafiosa di quest'ultima, il semplice collegamento con l'associazione principale, oppure se la suddetta diramazione debba esteriorizzare in loco gli elementi previsti dall'art. 416 bis c.p., comma 3″.

Alcuni orientamenti hanno ritenuto sufficiente, per integrare il connotato di mafiosità di un'organizzazione criminale, "la capacità potenziale, (39) anche se non attuale, di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una carica intimidatrice idonea a piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano in contatto con gli affiliati all'organismo criminale" (Cass., Sez. 1, n. 5888 del 10/01/2012, Garcea, Rv 252418).

In quest'ultima sentenza, dedicata a vicende cautelari sulla presunta costituzione in Liguria di consorterie in rapporto con la 'ndrangheta calabrese e che da questa avevano mutuato gli schemi, si afferma il principio che richiedere, per una presunta associazione qualificabile ex art. 416 bis c.p., "la realizzazione di concreti atti di violenza e di sopraffazione nel territorio in cui opera (…) viene a contraddire la struttura del reato di pericolo che si è inteso dare alla fattispecie in esame.

Peraltro il rilievo attribuito al dato ambientale (40) , a causa del quale le condizioni di assoggettamento e di omertà perderebbero gran parte della loro dipendenza eziologica dall'elemento della forza di intimidazione, può rendere più difficile riscontrare il livello di capacità intimidatrice raggiunto dalla associazione criminale (…).

In tale prospettiva l'assoggettamento e l'omertà, più che elementi strutturali qualificanti l'entità della intimidazione, sarebbero conseguenze della carica maturata dal sodalizio nel substrato civile della società. Ma la conseguenza, in tal caso, sarebbe quella della impossibilità di configurare l'esistenza di associazioni mafiose in regioni refrattarie, per una serie di ragioni storiche e culturali, a subire i metodi mafiosi propri, nella specie, della 'Ndrangheta. Sarebbero anche, le conseguenze, quelle di non poter configurare il metodo mafioso subito da un soggetto che effettivamente ne ha percepito il peso ma in un contesto generale, sia locale che personale, refrattario a condividerlo (…). In base a tali considerazioni, deve escludersi la necessità, per la configurazione della associazione qualificata, di atti esterni di intimidazione e violenza (…), per essere tra l'altro contraddistinta, l'associazione, dal perseguimento di finalità non necessariamente coincidenti con la commissione di reati, potendo le sue azioni (…) essere sostanzialmente neutre dal punto di vista criminale".

L'orientamento meno garantista che ha destato maggiori perplessità si rinviene nel processo c.d. Alba Chiara (41), ove la Cassazione ha così statutito : "pretendere che, in presenza di simile caratterizzazione delinquenziale, con confondibile marchio di origine, sia necessaria la prova della capacità intimidatrice o della condizione di assoggettamento od omertà è, certamente, un fuor d'opera. Ed infatti, l'immagine di una 'Ndrangheta cui possa inerire un metodo "non mafioso" rappresenterebbe un ossimoro, proprio in quanto il sistema mafioso costituisce l'in sè della 'Ndrangheta, mentre l'impatto oppressivo sull'ambiente circostante è assicurato dalla "fama conseguita" nel tempo da questa stessa consorteria. Il baricentro della prova deve, allora, spostarsi sui caratteri precipui della formazione associativa e, soprattutto, sul collegamento esistente - se esistente - con l'organizzazione di base (…) Il che induce a ritenere - anche alla luce di recenti acquisizioni investigative e giudiziarie - che non esistano distinte ed autonome espressioni 'ndranghetiste, posto che la 'ndrangheta è fenomeno criminale unitario, articolato in diramazioni territoriali, intese locali, dotate di sostanziale autonomia operativa, pur se collegate e coordinate da una struttura centralizzata".

Di diverso avviso un altro orientamento giurisprudenziale , nettamente da condividere e far proprio che gia' nel 2006 affermò che , "ai fini della consumazione del reato di cui all'articolo 416 bis c.p., e' necessario che l'associazione abbia conseguito in concreto, nell'ambiente nel quale essa opera, un'effettiva capacita' di intimidazione. Ne consegue che, in presenza di un'autonoma consorteria delinquenziale, che mutui il metodo mafioso da stili comportamentali in uso a clan operanti in altre aree geografiche, e' necessario accertare che tale associazione si sia radicata in loco con quelle peculiari connotazioni"(42). Nella motivazione della pronuncia si notò che, "nell'ipotesi in cui un'associazione mafiosa dirami sue articolazioni in aree territoriali diverse da quella d'origine, non per questo si formano altrettante, autonome, consorterie delinquenziali, si' che l'originario ceppo finisce col perdere la sua identita' per disarticolarsi in entita' autonome e distinte"; inoltre, si evidenziò che "la capacita' intimidatrice che, notoriamente, promana dal vincolo associativo ed ha il suo pendant nella paura di denunciare e, quindi, nella conseguente condizione di omerta' e soggezione (…), in tanto puo', efficacemente, dispiegarsi in quanto il contesto sociale sia tradizionalmente permeabile e realmente sensibile agli effetti della minaccia che scaturisca dalla mera notorieta' di un'appartenenza, anche indipendentemente dal compimento di specifici atti d'intimidazione. Salvo (…) che non risultino, in concreto, specifici indici di mafiosita', nel quadro di una sperimentata nuova impresa delinquenziale che intenda, autonomamente, riproporre in altre aree del Paese le stesse condizioni di assoggettamento e di omerta' che, come e' noto, costituiscono l'humus in cui alligna e prolifera la devianza mafiosa, concepita come stile di vita e strumento di sopraffazione, mai fine a se' stessa, ma sempre orientata e finalizzata al procacciamento di illeciti profitti e di facili arricchimenti".

Conclusivamente, si faceva presente che "il metodo mafioso, nel disegno normativo, e' sempre segno di esteriorizzazione, proprio per il fatto stesso di dover essere strumentale, sia pure nei limiti del mero profittamento della forza intimidatrice ("si avvalgono") ai fini della sua canalizzazione o finalizzazione per il perseguimento di uno degli obiettivi indicati dalla citata disposizione normativa. E', dunque, necessario che nella condotta positiva dei sodali e nel complessivo modo di essere del sodalizio vi siano chiari sintomi di mafiosita', connotati delle anzidette caratterizzazioni".(43)
Ancora , la giurisprudenza di legittimità (44) ha rilevato che "la tipicità del modello associativo delineato dall'art. 416 bis c.p. risiede proprio nel "metodo mafioso" (individuato nella forza intimidatrice del vincolo associativo, nella condizione di assoggettamento e di omertà), piuttosto che negli scopi (…), di talchè, in mancanza della prova di specifici atti di violenza, la forza intimidatrice mafiosa può essere desunta: a) sia da circostanze obiettive, atte a dimostrare la capacità attuale dell'associazione di incutere timore; b) sia dalla generale percezione collettiva dell'efficienza del gruppo criminale nell'esercizio della coercizione fisica (…) sì da realizzarsi l'assoggettamento omertoso dei consociati verso l'organizzazione che, per la sua fama negativa e per la capacità di lanciare avvertimenti, anche simbolici ed indiretti, si accredita come un centro di potere malavitoso temibile ed effettivo (…). Il metodo mafioso (…) deve necessariamente avere una sua "esteriorizzazione" quale forma di condotta positiva richiesta dalla norma con il termine "avvalersi"; questa (esteriorizzazione) può avere le più diverse manifestazioni (…), ma occorre pur sempre che l'intimidazione (in qualsiasi forma assunta) si traduca in atti specifici, riferibili ad uno o più soggetti, suscettibili di valutazione, al fine dell'affermazione, anche in unione con altri elementi che li corroborino, dell'esistenza della prova del metodo mafioso". (45)

Quindi , è un dato di fatto che i gruppi criminali cd. delocalizzati possono anche avere, della tradizionale associazione mafiosa, la struttura verticistica e familistica, i riti di affiliazione, l'omerta' interna, gli obiettivi (cioe' l'acquisizione in modo diretto o indiretto della gestione o comunque del controllo di attivita' economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per se' o per altri, o il fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a se' o ad altri in occasione di consultazioni elettorali), ma non anche il metodo. (46)

La sussunzione del metodo mafioso nella legalità costituzionale e convenzionale

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L'accennata necessità di una esteriorizzazione del metodo mafioso, che trascende da una mafiosità meramente potenziale, risponde ad evidenti esigenze di tutela del principio di materialità del fatto-reato desumibili dall'art. 25 Cost. e - ove non riaffermata - comporterebbe il richiamo a concezioni dei fenomeni criminali come quella di "mafia silente" di taglio politico-sociologico, non sempre mutuabili in ambito giuridico.

Pertanto , bisogna riaffermare con forza che non solo e non tanto le due fattispecie (416 c.p. e 416 bis c.p.) non delineano cerchi concentrici (essendo figure solo parzialmente sovrapponibili), quanto il fatto che l'art. 416 bis c.p. non e' mai reato di mero pericolo (neppure in assenza di reati fine o di reati cd. sentinella), ostandovi il rilievo che l'associazione necessariamente "si avvale" del metodo mafioso: in altre parole, all'enfatizzazione del dato teleologico , pur importantissimo in sede interpretativa, si deve contrapporre come limite insormontabile quello letterale del testo normativo, non senza considerare che proprio sul piano teleologico la valorizzazione del concetto di cd. mafia silente puo', quasi per una sorta di eterogenesi dei fini, correre il rischio di arretrare proprio quella soglia della repressione penale.

In alternativa ci troveremmo in presenza di quel vistoso fenomeno di " impoverimento sinergico " (47) per effetto del quale l'azione del giudice - perfettamente allineato alla povertà del testo legislativo - conduce al ribasso e alla minimizzazione l'obiettivo di banalizzare il giudizio in chiave garantista.

" Nonostante la rilevanza costituzionale del divieto di analogia (48) , il giudice penale non sempre resiste alla tentazione di superare il tenore testuale dell'enunciato normativo che , a torto o a ragione , si asserisce lacunoso sul piano della tutela. Nello svolgere la sua attività interpretativa egli è agevolato dall'incertezza derivante dal confine tra l'interpretazione analogica e quella estensiva , ritenuta per lo più consentita". (49)

" Che cosa vale la migliore legislazione , se il giudice ha il potere , seguendo il suo umore o la sua mera volontà , di liberarsi dai benéfici vincoli che la legge pone al suo arbitrio ?".(50)

Tale distinzione nella pratica sfuma o incontra difficoltà di vario genere. In particolare incontra difficoltà perché quasi sempre l'estensione per analogia avviene in maniera occulta. Questo accade perché si da troppa importanza al profilo teleologico che è ben legato a diversi paramentri non bene definiti (51): a quello che si usa definire spirito della legge , alle esigenze politiche e alle ideologie che ispirano la legislazione , alla coscienza sociale , alle convinzioni politiche del giudicante e via dicendo.

L'associazione di stampo mafioso viene estesa per analogia arrivando ad uno " scopo sanzionatorio " non previsto quando gli elementi di fattispecie vengono sfumati , eclissati , resi inutili dall'applicazione giurisprudenziale che riconduce nell'alveo di operatività della disposizione incriminatrice anche la potenzialità della forza intimidatrice e non , viceversa , il suo concreto "avvalersi".(52)

L'analogia in malam partem è sempre "in fieri"quando si attribuisce al giudice penale un ruolo creativo e si commina l'applicazione di una sanzione più grave rispetto a quella che andrebbe assegnata , quando i confini tra lecito ed illecito non risultano fissati in via preventiva ed astratta. (53)

Il carattere astratto e pubblicistico di alcuni reati di parte speciale , in modo particolare i reati associativi , attraverso determinate applicazioni "creative" , porta alla sostanziale vanificazione della concezione del bene giuridico concretamente e materialmente individuabile , sino a prefigurare un diritto penale basato non più sull'offesa di un bene o interesse , ma sulla violazione del dovere di obbedienza alla legge o dell'obbligo di fedeltà allo Stato. Tutto ciò si trasforma sul terreno della formulazione degli elementi costitutivi della fattispecie , nella violazione del principio di determinatezza e materialità della condotta , estremamente evidenti nei titoli dei reati contro la personalità dello Stato e contro l'ordine pubblico. (54)

L'idea del bene giuridico, nella sua funzione garantistica, si sposa con il danno sociale, con l'evento, con il sostanzialismo, con la giurisprudenza degli interessi (55), opponendosi a ogni forma di diritto penale delle irregolarità, della volontà, dell'autore.(56)

La presenza di elementi generici , elastici e indeterminati nella struttura della fattispecie vanifica il divieto di analogia , che può svolgere la sua funzione di garanzia solo quando le fattispecie incriminatrici rispettano i criteri di tassatività , certezza e determinatezza. Alcuni reati azzerano la garanzia dell'offensività del reato lasciando al giudice ampio spazio per confermare l'applicazione della norma alle esigenze repressive del potere politico.

C'è bisogno di fattispecie incriminatrici e di connesse interpretazioni all'interno del singolo caso concreto , che si caratterizzino per tipicità e solido impianto legislativo.

Nella letteratura penalistica il principio di legalità è associato a due funzioni fondamentali : una funzione di "certezza" e una funzione di "garanzia". La funzione di certezza assicura la prevedibilità e calcolabilità delle conseguenze delle azioni , valore particolarmente rilevante in una materia , come quella dei reati associativi , in cui le inevitabili conseguenze della trasgressione sono assai gravi. Ancor di più generalità della legge e relativa stabilità nel tempo assicurano un certo livello di uguaglianza tra i cittadini , quanto alle conseguenze penali delle loro azioni , nonché quella funzione di guida ex ante dei comportamenti dei consociati (funzione general - preventiva del diritto penale).

La funzione di "garanzia" consiste nel fatto che la legge è il risultato del procedimento legislativo ; a tale potestà del Parlamento c'è un argine rispetto alle tentazioni dell'esecutivo o di altri organi che sono totalmente privi di legittimazione democratica , come quello giudiziario.

Un diritto penale "certo" è infatti di per sé garanzia contro certi tipi di abusi , degli organi che decidono i casi concreti , e di prevedibilità delle decisioni e di calcolabilità delle conseguenze delle condotte poste in essere. (57)

Quindi , oltre alla garanzia " formale" esiste anche una garanzia "procedurale" riferita all'ambito dinamico di applicazione del caso concreto e che si attua all'interno del processo vietando ai giudici di estendere oltre misura il precetto legislativo. "I più subdoli attentati alla difesa possono consumarsi proprio al livello di diritto sostanziale , con la formulazione di ipotesi criminose evanescenti o definibili solo in base a paradigmi etici o morali , o ancora costruite sul cosiddetto modello di tipo d'autore".(58) Senza il principio di determinatezza e in modo particolare senza il divieto di analogia (59) , verrebbe negato il principio di "tipicità" dell'illecito penale. L'attività ermeneutica del giudice penale (60) cesserà la sua attività interpretativa per sconfinare in un terreno di delegittimazione ogni volta che , creata la "norma" questa " venga applicata a fatti eterogenei quanto a disvalore. (61)

" Solo le norme sono illegittime nel contenuto, non le disposizioni. Solo sulle norme e non sulle disposizioni è costruita la categoria del "diritto vivente". Solo le norme sono tassative o no (tassatività vs. determinatezza), dopo che si è interpretata la disposizione. Le disposizioni possono essere indeterminate prima facie, ma ciò non basta per sancire la non tassatività della norma". (62)

Non si possono punire allo stesso modo condotte che fuoriescano dal campo della "tipicità" che è propria della disposizione legislativa , per addivenire attraverso l'attività interpretativa alla creazione della "norma" , svuotata di quella forza di intimidazione e delle declinazioni causali in tema di assoggettamento ed omertà che sono "patrimonio tipico" della fattispecie prevista dal legislatore e omettendo dolosamente di considerare nei giusti contorni il termine " si avvalgono ".

"Se la pena intervenisse per sanzionare fatti che non offendono alcun bene giuridico , la sua funzione sarebbe ridotta o alla pura retribuzione della volontà di disobbedire o alla prevenzione di meri stati sintomatici di pericolosità sociale. (…) solo la repressione di un fatto offensivo evita che la pena scivoli verso i poli opposti della retribuzione o della prevenzione". (63)

Bisogna allontanarsi dagli schemi probatori ex ante del c.d. aumento del rischio , per convergere nel solco della causalità correttamente intesa , ossia da accertarsi ex post.(64)

Qualora si accerti l'esistenza di un'associazione che intenda compiere atti intimidatori o sfruttare una capacità di incutere timore di cui il sodalizio non è ancora dotato , si deve optare per la fattispecie dell'associazione per delinquere semplice.(65)

Il diritto penale come extrema ratio deve indurre l'interprete a prescegliere , tra le diverse interpretazioni possibili della norma penale , quella più restrittiva , in coerente applicazione del criterio del favor rei.

" Sottoporre il soggetto agente alla sanzione più grave senza alcuna prova della sua consapevole ribellione od indifferenza all'ordinamento tutto , equivale a scardinare fondamentali garanzie che lo Stato democratico offre al cittadino ed a strumentalizzare la persona umana , facendola retrocedere dalla posizione prioritaria che essa occupa e deve occupare nella scala dei valori costituzionalmente tutelati ". (66)

Ancora , il Giudice delle leggi (67) sostiene che " il principio di personalità della responsabilità penale potrebbe dirsi rispettato solo quando il precetto penale sia formulato in termini tali da garantire il collegamento pschico tra l'agente e il "nucleo significativo o fondante della fattispecie" , nel quale si risolve il disvalore del fatto incriminato , giustificando così la funzione della pena , che ne consegue ".

Ulteriore corollario del principio di colpevolezza è il principio di proporzionalità che è diretto non solo allo Stato attraverso la scelta dei mezzi e degli strumenti per raggiungere i propri fini , ma anche al giudice in sede applicativa. Se così non fosse , e quindi se il giudice non tenesse in considerazioni quei " valori " derivanti dall'universo penalistico complessivamente considerato e dall'elaborazione dinamica delle disposizioni costituzionali e convenzionali , attraverso la pena si produrrebbero danni all'individuo ed alla società sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni o valori offesi dalle predette incriminazioni.

Requisito indefettibile è rappresentato dalla conoscibilità della legge medesima. Ora, detta conoscibilità viene assicurata da due ulteriori condizioni: l'accessibilità (della norma) e la prevedibilità (68) , intesa nel senso di possibilità per i destinatari della "materia penale", appunto, di prevedere in anticipo che realizzando una data condotta infrangeranno un precetto penale. (69) In altre parole, solo se accessibile e prevedibile nelle sue dinamiche operative, la "materia penale"(70) potrà dirsi conoscibile e allinearsi in tal guisa allo standard convenzionale segnato dall'art. 7 CEDU.(71)

Per ritenere soddisfatto il canone della prevedibilità non sarebbe sufficiente che il soggetto si rappresenti la criminosità della propria condotta posta in essere , essendo altresì necessaria la prevedibilità dell'entità della pena. All'interno della prevedibilità , pertanto , rientra la corretta qualificazione giuridica della fattispecie.

Far rientrare alcuni comportamenti all'interno del paradigma normativo dell'art. 416 bis piuttosto che in altre fattispecie produrrebbe una disparità di trattamento sotto il profilo sanzionatorio , nonché sotto il profilo del trattamento giuridico complessivamente considerato. Il principio di colpevolezza e quello del finalismo rieducativo sono due facce della stessa medaglia. (72)

" Il precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione vale tanto per il legislatore quanto per il giudice penale , poiché se la finalità rieducativa venisse limitata alla sola fase esecutiva , rischierebbe grave compromissione ogniqualvolta specie e durata della sanzione non fossero calibrate alle necessità rieducative del soggetto". (73) La finalità repressiva non può annullare quella rieducativa.(74)

La tendenza di allargare eccessivamente i confini della fattispecie attira al suo interno intere classi di soggetti che a fatica potrebbero essere considerati mafiosi. La qualifica di "mafioso" diventerebbe "difficilmente preventivabile da chi si muova negli spazi di una condivisione o di una "contiguità" spesso ambigua e discontinua".(75)

Il maggior rigore necessario è la risultante di una concezione del diritto penale basato sui diritti e non sull'astratta potestà punitiva dello Stato.

E' inconcepibile che intere categorie di soggetti soggiacciano al sospetto di porsi al di fuori dell'ordinamento costituzionale e della legalità penale , arrivando al punto di non essere più destinatarie delle norme di garanzia e del principio di uguaglianza. (76)

"All'indeterminatezza della fattispecie incriminatrice corrisponde un'eguale indeterminatezza del "perimetro" processuale , ed è su tale perimetro che deve essere esercitata la funzione di giudizio con le regole ad essa sottese". (77)

La " concretizzazione " e la prova del metodo mafioso

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Le fattispecie associative , in quanto dirette a salvaguardare beni di consistenza superindividuale , danno vita a gravi difficoltà di "concretizzazione".(78)

Da abbandonare è l'idea di un metodo mafioso ridotto a mero oggetto di dolo specifico.

Il primo passo che l'interprete deve muovere per verificare l'esistenza o meno degli elementi costitutivi "scolpiti" nel 3° comma dell'art. 416 bis c.p. si indirizza alla verifica del contenuto della carica intimidatrice(79). L'accertamento di tale requisito , seppur complicato , deve essere appurato principalmente grazie all'impatto che la carica dell'associazione suscita nei destinatari e soprattutto dall'avvalersi (80) di tale forza.

Allo stesso tempo , bisognerà prendere in considerazione l'ipotesi che , nonostante gli episodi delittuosi posti in essere , con rapine , estorsioni , violenze , e così via , questi siano solo il frutto di un sodalizio che sia ancora acerbo e privo di quella "forza prevaricatrice" propria delle associazioni mafiose che deve radicarsi nella psiche di coloro che vengono a contatto con l'associazione.(81)

Assoggettamento ed omertà non devono costituire un dato pre-giuridico , di tipo sociologico e assimilabile per certi versi alla categoria del presupposto del reato.(82)

L'eventuale accertamento di concreti atti di intimidazione non è di per sé indicativo dell'esistenza di una associazione mafiosa (83) , ma lo è nella misura in cui essi appaiono ricollegabili ad una effettiva (84) capacità criminale del sodalizio , di cui gli affiliati siano consapevolmente in grado di poter disporre.(85) Ebbene , o l'organismo criminale non avrà ancora maturato una propria carica intimidatrice e , allora , lungi dall'essere considerato mafioso per il solo fatto della ripetizione di uno o più atti di violenza , minaccia , estorsioni , danneggiamenti , ecc. , potrà meritare semmai la qualifica di associazione per delinquere comune (86); oppure si tratta proprio di un sodalizio che ha tutti i crismi dell'art. 416 bis c.p. , in cui il ricorso a nuovi atti intimidativi appare casomai funzionale al rafforzamento della carica promanante dal vincolo associativo. (87)

Affinchè il metodo mafioso si configuri e sia integrato come elemento di fattispecie , è necessario che esista un perdurante e non occasionale o sporadico " clima di paura" che non si deve confondere in chiave psicologica con la soggezione (88) e , pertanto , senza desumerla da meri elementi episodici. Assoggettamento e omertà (89) sono effetti psicologici che si producono esclusivamente all'esterno della realtà associativa (90), mentre il cemento che lega gli appartenenti al gruppo è costituito dalla comune adesione a una specifica subcultura.(91) Gli elementi dell'assoggettamento e dell'omertà devono trovare una congrua realizzazione "esterna" con la finalità specifica ed indefettibile di caratterizzare le modalità operative della consorteria criminale.

Il programma criminoso ha solamente un ruolo "subalterno" , "descrittivo criminologico" rispetto al metodo mafioso. (92)

Si deve mettere in guardia dal rischio di trarre dalla astratta categoria criminologica "mafie" , conclusioni presuntive sul piano probatorio , in quanto il punto da cui deve partire l'interprete è l'esistenza della carica intimidatrice e non già il dato , necessariamente postergato , della ipotizzata mafiosità dell'organizzazione criminale.

A tal punto è superficiale parlare di "mafia silente" al fine di attrarre nell'ambito del reato quelle manifestazioni del metodo mafioso caratterizzate da un messaggio intimidatorio avente forma larvata o indiretta. Oppure , cosa ancora più grave , quando il metodo intimidatorio si sostanzia nell'assenza di messaggio e in una contestuale richiesta implicita e silente destinata ad ottenere una condotta attiva o passiva da parte del destinatario.

Detto ciò , urge una precisazione : le mafie storiche , rectius "radicate", hanno già conseguito all'interno del proprio territorio di riferimento quella necessaria forza di intimidazione e in determinati casi forme larvate o indirette di intimidazione , da vagliare in concreto e senza pregiudizi , possono senz'altro integrare il precetto legislativo. Insomma , esiste già una forza collaudata e temuta che suscita nella collettività o in gruppi specifici di individui quella "fama criminale" già cristallizzata in passato. (93) Ciò è avvenuto in base ad atti di violenza e prevaricazione pregressi (94) che si sono stratificati nel corso degli anni e diretti ad assoggettare segmenti di comunità al punto di farli diventare succubi o vittime di quei comportamenti attraverso un alone di intimidazione avvertito e diffuso. (95)

Tale dato esperienziale non può essere di supporto quando ci si trova difronte a consorterie operanti in territori lontani e diversi da quelli originari. (96) Sia perché la platea di assoggettati è differente , sia perché la forza intimidatrice non si è ancora manifestata creando quel clima di terrore e di paura derivante da tali comportamenti.(97)

L'esteriorizzazione non si deve riferire a singole vittime . L'intimidazione per essere diffusa deve essere ben conosciuta dalla "platea degli assoggettati" che la devono ricondurre ad una inflessibile organizzazione criminale. (98)

Il ricorso a concetti generici (quali alone permanente di intimidazione , assoggettamento ed omertà , ecc.) in sé oscillanti tra l'approccio sociologico e le suggestioni del "tipo d'autore" (99), contribuisce inevitabilmente ad accentuare il tasso di elasticità e vaghezza della fattispecie incriminatrice.

Ma la forza di intimidazione contro chi deve essere diretta? E soprattutto quanto deve essere consistente la platea degli assoggettati?

Il campione di riferimento deve essere significativo. La forza dirompente dell'associazione e in termini causali l'assoggettamento e l'omerta , devono investire "comunità di riferimento" , numerose entità operanti in un determinato settore della vita economica e/o sociale , ecc. Ci devono essere organizzazioni che mirano a smantellare comparti produttivi e/o economici creando situazioni di monopolio od oligopolio. Ma tali situazioni devono essere ingenerate da comportamenti intimidatori " consistenti" , che hanno come effetto quello di accaparrarsi fette di ricchezza di aree o settori della vita economica.

Nella vicenda "Mafia Capitale" si deve parlare , piuttosto , di metodo corruttivo , di soggezione economica , di metus che spinge all'accordo di corruzione , in un clima in cui i valori etico-morali vengono messi da parte in una visione particolaristica della cosa pubblica , e sostenuto da una fitta rete di relazioni interpersonali che nulla hanno a che fare con il metodo mafioso. Una perfetta simbiosi "economica-corruttiva-imprenditoriale" che risiede e convive nei soggetti coinvolti ove la forza intimidatrice viene sostituita da valutazioni utilitaristiche o di mera convenienza. Una soggezione "benevola" che a fatica , se non spingendo oltre il perimetro della legalità , integra i requisiti tipici dell'art. 416 bis.

Piuttosto , dovrebbe indagarsi sulla presenza di ripercussioni sulla cerchia di imprenditori coinvolti , per appurare se vi sia stata una vera e propria conventio ad excludendum , atta a piegare la volontà dei concorrenti , e percepita da questi come intimidazione reale ,effettiva ed escludente dagli affari criminali del sodalizio. (100) E' necessario domandarsi anche perché tra gli imprenditori nessuno si sia mai ribellato. Tutto ciò è possibile verificarlo solamente all'interno del contraddittorio dibattimentale. (101)

In tali casi , è d'obbligo sempre dimostrare il nesso causale tra la diffusa concezione di assoggettamento ed omertà , anche se ristretta ad un determinato ambito territoriale o settore economico , e una vera e propria "esteriorizzazione" del metodo mafioso che , ovviamente , deve essere "provato" come riconducibile agli imputati. (102) Non basta solo il clima di paura o l'impatto ambientale in termini di diffusa soggezione e omertà , ma quest'ultimo dato va collegato in termini causali a determinate forme di "avvalimento" della capacità intimidatrice da parte degli imputati.

Oppure , nei casi in cui si inquina la vita politica di determinate comunità , seppur piccole , attraverso la predisposizione di misure dirette ad accaparrarsi potere ed influenza all'interno delle assemblee legislative.

Ma in tal caso occorrerà verificare attraverso un meccanismo ex post, utilizzando gli elementi raccolti in sede di indagini e dalla verifica dibattimentale , che ci sia stata effettivamente l'intimidazione e che quest'ultima abbia raggiunto una penetrazione così consistente da determinare numerosissimi soggetti a porre in essere il risultato sperato dall'organizzazione , in chiave alternativa di elettorato attivo o passivo. (103)

Il metodo mafioso viene individuato attraverso la fissazione di tre parametri da considerare tutti necessari ed essenziali perché possa configurarsi il reato di cui all'art.416 bis , come si desume senza possibilità di dubbio dalla congiunzione "e" impiegata nel testo normativo. (104)

I connotati essenziali della fattispecie non possono essere spostati a oggetto di un giudizio di prevedibilità/possibilità.(105) Non ci deve essere una "proiezione futuristica" delle modalità di integrazione degli elementi costitutivi e in contrasto con i limiti di tipicità della norma. Gli effetti in termini causali dell'intimidazione si devono avvertire all'esterno.

Sostenere che "il baricentro della prova deve , allora , spostarsi sui caratteri precipui della formazione associativa e , soprattutto , sul collegamento esistente con l'organizzazione di base" , equivale a giungere direttamente sul versante soggettivo ove gli elementi di fattispecie diventano oggetto del dolo specifico.

In numerose sentenze (106) , la Cassazione ha rinvenuto l'esteriorizzazione del metodo mafioso dalla c.d. "fama criminale" dell'associazione. Per pervenire a tale "risultato" l'attenzione dei giudici , sia di merito che di legittimità , è virata sulla natura unitaria della Ndrangheta.

Sul versante concreto si tratta di vera e propria "rete a strascico" in quanto aggrappandosi al concetto di "unitarietà" fondata su consorzi o confederazioni , viene esteso il metodo mafioso a quelle associazioni che non lo avevano esteriorizzato.

In tale caso il metodo mafioso viene ritenuto "sussidiario ed eventuale" qualora non dovesse concretizzarsi la c.d. fama criminale dell'associazione. (107)

Si parte , quindi , da un fatto notorio "falsato" per giungere ad una massima di esperienza cucita su misura. (108)

Premesso che , la Ndrangheta non ha una conformazione unitaria al suo interno , il fatto notorio che diventa massima di esperienza è aggredibile in punto di sindacabilità della motivazione giudiziale. (109)

Nei processi di criminalità organizzata l'indizio di mafiosità diviene prima prova e poi generalizzazione consacrata nella massima di esperienza. Le conclusioni raggiunte all'interno di un processo divengono generalizzazioni valevoli nell'ambito di altri processi aventi come oggetto fatti simili ma basati su prove differenti. Con il passare del tempo e con le numerose pronunce la generalizzazione si sedimenta divenendo massima di esperienza , e utilizzata automaticamente al momento che il giudicante lo riterrà opportuno. L'unitarietà della Ndrangheta diventa massima di esperienza e quindi "patrimonio del giudice" e in secondo luogo delle parti che potranno e dovranno vagliarne la legittimità in punto di consistenza e affidabilità. Si tratta pur sempre di un controllo a posteriori che su un diritto fondamentale qual è la libertà personale deve portare l'interprete a vagliarne l'affidabilità " a più livelli ".(110)

Si tratta di vero e proprio "escamotage probatorio" (111), in cui ad una organizzazione che si appresta a collaudare la propria forza al suo interno , con riunioni , organizzazioni programmatiche , rituali , affiliazioni , pur tuttavia , non corrisponde una manifestazione esterna di questa forza che resta solamente "principio programmatico" delle numerose consorterie.

Enfatizzare la conoscenza mediatica del fenomeno "Ndrangheta" senza che siffatti fenomeni siano percepiti e recepiti , finisce col rivelarsi esercizio sterile e diretto a " segnalare soggettività pericolose ma non ancora la fattispecie di cui all'art. 416 bis c.p".(112)

La connotazione mafiosa di un'associazione inerisce al modo di esplicarsi dell'attività criminosa e non già al luogo di origine del fenomeno criminale e di conseguenza non assume un rilievo decisivo la circostanza di fatto che il sodalizio possa avere dei collegamenti con quelle che potrebbero definirsi "case madri". (113)

Non è sufficiente il mostrare di volersi avvalere (114) , il tentare di avvalersi della metodologia mafiosa , non essendo accettabile il richiamo alla "diffusività della forza di intimidazione come elemento inerente al programma (115) , e dunque virtuale , anziché effettuale , siccome manifestazione della condotta" (116)

Per qualificare l'associazione come mafiosa non è sufficiente che sia stato programmato di avvalersi della forza intimidatrice , ma è necessario che se ne sia avvalsa in concreto , cioè in maniera effettiva , nell'ambiente circostante , essendo la diffusività un carattere essenziale della forza intimidatrice. (117)

Nella prassi applicativa ci si è chiesti se quando il sodalizio non sia riconosciuto dalla casa madre viene meno automaticamente la sua caratteristica mafiosa. Al quesito si è data risposta negativa affermando che " quando una associazione criminosa dirama le sue articolazioni in aree territoriali diverse da quelle di origine, deve avere quelle caratteristiche esteriori che il metodo mafioso sottintende affinchè sia lo strumento per la realizzazione dei fini che la norma prevede e tale principio deve essere inteso nel senso che tale "esportazione" dal territorio di origine deve essersi realizzato in modo che sia percepibile anche in quei territori il metodo utilizzato come mafioso e quindi come strumento di soggezione e di perseguimento dei propri fini illeciti, ma deve escludersi che sia necessaria una sorta di validazione del metodo mafioso dalla casa madre. Per cui se una diramazione non è riconosciuta dalla casa madre o dalle filiali ufficiali non per questo deve escludersi la sua natura mafiosa.(118) I metodi sono mafiosi quando sono percepiti all'esterno come tali indipendentemente dalla circostanza che facciano parte della rete mafiosa "ufficiale" o "ufficiosa". Non ha quindi alcun rilievo come si colloca la compagine mafiosa in quella di origine(119) nè che venga o meno riconosciuta, ma solo che sia percepita come tale all'esterno.(120)

La dimostrazione della mafiosità non si può cogliere da imprecise ripetizioni di metodiche associative sviluppatesi altrove. Il metodo mafioso è strumentale per il perseguimento di uno degli obiettivi indicati dalla norma. (121) La fama criminale non basta. La capacità d'intimidazione non deve essere prerogativa di singoli associati (122) , ma elemento caratterizzante l'associazione in quanto tale. (123) La presenza, tra gli affiliati di un sodalizio criminale, di persone già condannate per delitti di mafia, non costituisce elemento decisivo per configurare il sodalizio come mafioso, se la caratura mafiosa del singolo soggetto non si sia trasmessa all'intera struttura associativa, non potendo essere accolta in astratto, in difetto di una concreta verifica, la regola "semel mafioso, semper mafioso". (124)

Fuoriesce dal perimetro della legalità penale e costituzionale quell'indirizzo interpretativo che avvalora la dimensione potenziale dell'intimidazione " dalla necessità di conformare il diritto vivente con l'obiettivo di adattare la fattispecie dell'art. 416 bis c.p. alle nuove esigenze di contrasto della criminalità organizzata nella sua dimensione inerte , "muta" , almeno in apparenza". (125)

Ma ancora più preoccupante , nonché di stampo inquisitorio , è quando si afferma che per interpretare la fattispecie con le nuove esigenze di contrasto connesse alla delocalizzazione diventa fondamentale valorizzare il collegamento con la mafia storica di riferimento. La valorizzazione del collegamento giustificherebbe "una attenuazione degli oneri probatori in materia di utilizzo (e percezione) della forza di intimidazione , dato che questa (…) può ritenersi insita nella stessa struttura della cellula madre , senza richiedere la prova di ulteriori ed autonome espressioni nel territorio colonizzato". (126)

Insomma , si vorrebbero far confluire nuovi modelli organizzativi criminali distanti dalla fattispecie tipica (127) , necessariamente nell'alveo di una norma che non può contenerli , attraverso un "salto" dal diritto sostanziale a quello processuale implicante un'opera di demolizione dei requisiti costitutivi del reato.(128) Ci si trova difronte alla c.d. "processualizzazione delle categorie sostanziali". (129)

D'altro canto, sempre all'interno dell'alternativa di fondo (metodo mafioso meramente potenziale o in atto), puo' obiettarsi che richiedere ancora oggi la prova di un'effettiva estrinsecazione del metodo mafioso potrebbe tradursi nel configurare la mafia solo all'interno di realta' territoriali storicamente o culturalmente permeabili dal metodo mafioso o ignorare la mutazione genetica delle associazioni mafiose che tendono a vivere e prosperare anche "sott'acqua", cioe' mimetizzandosi nel momento stesso in cui si infiltrano nei gangli dell'economia produttiva e finanziaria e negli appalti di opere e servizi pubblici.

Ma qui ci ritroveremmo a parlare di "supplenza" giudiziaria , di tentativi da parte della giurisprudenza di invadere campi che sono prerogativa del legislatore , di colmare una lacuna che si trasformerebbe in analogia iuris.(130)

Si ha l'impressione fondata che vi sia un allontanamento dai confini di tipicità della norma (131) che va ad abbracciare ambiti che sono già presidiati dall'associazione per delinquere.(132)

Conclusioni

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E' giunto il momento di fissare il perimetro entro il quale l'interpretazione della disposizione deve muoversi. C'è bisogno di una norma (frutto dell'attività dell'interprete) che miri al rispetto delle coordinate fissate dal legislatore in chiave di "tipicità" del testo legislativo.

Tutti e ciascuno degli elementi della fattispecie devono riempirsi di contenuto effettivo , che guardi ai comportamenti dei consociati in punto di tipicità , materialità ed offensività.

L'interprete deve ricercare nel requisito tipico della forza intimidatrice un contenuto di "spessore" , di peso , di predominanza , che possa spostare l'ago della bilancia sull'integrazione dell'art. 416 bis.

Questo è fattibile solo se il metodo mafioso diventa "realmente effettivo" , quando impatta all'esterno delle dinamiche programmatiche come una forza prevaricatrice avvertita da contesti socio-economici che piegati dalla forza del sodalizio , nulla possano o vogliano opporre. Ma allo stesso modo assoggettamento e omertà devono avere anch'essi un peso valutativo significativo senza che vengano interpretati come presupposti del reato.

Un sodalizio che opera in contesti territoriali differenti o comunque di nuova creazione , oltre al necessario compimento di reati-fine , deve ottenere nel nuovo territorio quella "riconoscibilità" di forza che è solita delle organizzazioni mafiose , e che deve essere presente nel contesto sociale in cui queste operano.

Si superi il guado del pregiudizio , eventualmente addivenendo ad un ritocco in sede legislativa dell'art. 416 bis c.p. , perché i concetti di mafia silente , di fama intimidatrice , di riserva di violenza , ecc. , sono formule vuote e vaghe con chiare venature da sistema inquisitorio.

Lo impongono i principi di colpevolezza , di retribuzione e proporzionalità della pena , oltre che quelli di legalità penale e convenzionale.

Un'associazione o è mafiosa o non lo è. Trovare a tutti i costi scorciatoie probatorie , percorrendo le vie di inabissamento di determinati elementi "essenziali" della fattispecie addivenendo al "risultato teleologico" , non è patrimonio di uno Stato di diritto.

Avv. Antonio TRAPASSO del foro di Catanzaro

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