La Corte chiarisce quando la commercializzazione e la detenzione della cannabis non è giuridicamente rilevante e non può quindi essere sanzionata

di Valeria Zeppilli - La commercializzazione di un bene che non presenta caratteristiche intrinseche di illiceità, in assenza di specifici divieti o controlli preventivi previsti dalla legge, deve considerarsi consentita.

Si rientra, in tali ipotesi, nell'ambito del potere generale delle persone di agire per soddisfare i propri interessi.

Limite di THC

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Con riferimento alla cannabis, bisogna quindi considerare il limite dell'0,6% di THC, che è quello entro il quale è lecito utilizzare le relative infiorescenze.

Ciò posto, come affermato di recente dalla Corte di cassazione nella sentenza numero 4920/2019 qui sotto allegata, se la percentuale non è superata i possibili effetti della cannabis non sono per la legge psicotropi o stupefacenti e l'utilizzo della stessa è pienamente legittimo. Di conseguenza, "la posizione di chi sia trovato dagli organi di polizia in possesso di sostanza che risulti provenire dalla commercializzazione di prodotto delle coltivazioni previste dalla legge n. 242 del 2016 è quella di un soggetto che fruisce liberamente di un bene lecito".

No agli automatismi

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Ma non solo.

La Corte ha anche precisato che non si può neanche giungere "a un automatismo per il quale dal superamento dello 0,6 % di THC nella sostanza detenuta derivi immediatamente una rilevanza penale della condotta, che, invece, andrà - comunque - ricostruita e valutata secondo i vigenti parametri di applicazione del d.P.R. n. 309/1990" (ovverosia il testo unico sulla droga).

Effetto drogante

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E in proposito, aggiungono i giudici, bisogna ricordare che "un reato ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 può configurarsi solo se si dimostra con certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio, o comunque oggetto di cessione, è di entità tale da potere concretamente produrre un effetto drogante".

Scarica pdf sentenza Cassazione n. 4920/2019
Valeria Zeppilli

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