Disciplina previgente e modifiche apportate dal Decreto legislativo del 26 agosto 2016, n.174 all'esecuzione delle sentenze della corte dei conti

Dott. Carlo Casini - L'esecuzione è l'attività volta a rendere liquida la pretesa assistita da un titolo esecutivo giudiziale.

Nel campo del diritto contabile, per la sua peculiare natura, il creditore è per ovvi motivi la pubblica amministrazione e il titolo esecutivo scaturisce da una sentenza di condanna della Corte dei Conti.

L'esecuzione delle sentenze del giudice contabile: la disciplina

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Il sistema originario dell'esecuzione si fonda sugli artt. 636 R.d. 827/1924, 24 R.d. n. 1038/1933, 76 R.d. n. 1214/1934, con un sistema che fin dagli albori della sua genesi ha denotato una certa inefficienza, data l'attività del Procuratore della Corte limitata alla trasmissione del titolo esecutivo all'amministrazione danneggiata.

Per motivi soprattutto metagiuridici, il Legislatore è dovuto intervenire sulla disciplina dell'esecuzione, al fine di rafforzare una fase così delicata, con il d.P.R. 24 giugno 1998, n.260.

A partire dall'entrata in vigore del suddetto d.P.R., il quadro normativo è mutato, non prevedendo più la mera trasmissione del titolo esecutivo all'amministrazione danneggiata ma un potere-dovere di vigilanza da parte del P.M. contabile sull'attività posta in essere dall'amministrazione per eseguire la condanna della Corte.

Questa ratio perseguita dal Legislatore è ben evincibile attraverso l'analisi dell'art. 7 del d.P.R. n.260 del 1998, che prevede, la nomina di un responsabile del procedimento di esecuzione con obbligo di informativa al Procuratore regionale.

La valutazione di concetti non prettamente giuridici nella normativa in esame è stata tutt'altro che ultronea data la frequente coincidenza tra il soggetto autore del danno e la qualifica di dipendente della medesima amministrazione, e il conseguente imbarazzo ambientale che questa comporta nell'esecuzione della sentenza di condanna nei confronti di un "collega".

La specifica disciplina dell'esecuzione contenuta nel codice concerne il titolo esecutivo (art.212), il potere di iniziativa e l'attività del pubblico ministero (art. 213), l'attività esecutiva dell'amministrazione danneggiata (art.214), il recupero del credito erariale in via amministrativa (art. 215), l'esecuzione forzata innanzi al giudice ordinario (art. 216).[1]

Innanzitutto occorre conciliare il criterio di vigenza della disciplina codicistica dell'esecuzione (sentenze pubblicate a partire dal 7 ottobre 2016), per le sentenze pubblicate prima di questa data, si continuerà ad applicare la disciplina del d.P.R. 260/1998 a cui però è previsto il subentro della disciplina codicistica - disposizione coerente con la natura dinamica e non istantanea dell'attività di esecuzione - qualora sia intervenuta una sentenza di condanna in secondo grado pubblicata dopo il 7 ottobre 2016.[2]

Regime intertemporale

Questo ha portato la dottrina a interrogarsi sul suddetto regime intertemporale, posto che rimangono sicuramente in vigore gli artt. 4 e 5 del d.P.R. 260/1998, dato che l'azione abrogante operata dall'art. 4, co. 1, lett. f) , norme transitorie e abrogazioni, allegato 3 codice ha riguardato, a partire dal 7 ottobre 2016, gli artt. 1,2,3,6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica n.260 del 1998.

Proprio seguendo questo percorso normativo giungiamo in tempi recenti, quelli che avevano portato il Legislatore delegato a prendere coscienza della necessità di un ulteriore intervento normativo in materia, valutate anche le ripercussioni della corretta esecuzione delle sentenze di condanna della Corte dei Conti sulle casse erariali.

Per tale necessità si è avvertito il bisogno di un pubblico ministero non più attivo solo all'esterno della procedura esecutiva ma anche al suo interno, così il Legislatore delegato stabiliva all'art. 20, co. 2 lett. o)lett. o) rappresentava il giusto approdo al percorso instradato.

Purtroppo, in fase di attuazione, prendendo atto dei plurimi ostacoli sistematici, il Legislatore delegato è tornato sui suoi passi[4], implementando le funzioni esterne attive del Pubblico Ministero alla procedura esecutiva che però permane nella titolarità di fatto e di diritto della pubblica amministrazione, ma non permettendo quanto era stato già precedentemente auspicato in dottrina e in giurisprudenza circa la titolarità dell'azione esecutiva in capo al P.M. come rappresentante degli interessi pubblici (tra cui si colloca a pieno titolo il soddisfacimento dei crediti nascenti da titolo esecutivo).

In un'ottica positiva si può riconoscere che la normativa codicistica esplica un'azione chiarificatrice e di razionalizzazione del potere di vigilanza del pubblico ministero contabile, il cui contenuto restava però ante codice, con la normativa del d.P.R. n.260 del 1998, affidato alla coscienza ed alla onestà intellettuale di ogni singolo pubblico ministero, purtroppo però d'altro canto si è persa quella chance di riformare profondamente la sua funzione con la previsione di una titolarità di agire e resistere innanzi al giudice civile dell'esecuzione mobiliare e immobiliare.

A questo punto dopo una breve ricognizione della normativa pregressa e attuale circa l'esecuzione delle sentenze contabili ci si può iniziare ad addentrare nel percorso esecutivo, al fine di cogliere le possibilità di riforma e implementazione del sistema di recupero delle somme nascenti da sentenza di condanna erariale.

Naturalmente al pari del diritto civile anche nel ramo del diritto contabile la condicio sine qua non dell'attività esecutiva è il titolo esecutivo.

Il titolo esecutivo

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Il legislatore dedica l'art. 212 del codice al suddetto argomento, prima enunciando i tre casi di titolo esecutivo, costituiti dalle decisioni definitive di condanna, l'ordinanza esecutiva a definizione del rito monitorio adottata ai sensi dell'art. 132 comma 3 e la decisione di condanna al pagamento della sanzione del giudice adito per fattispecie sanzionatoria (decreto non opposto o sentenza collegiale).

A ciò si deve aggiungere che l'art. 1 co. 5-ter legge 19/1994 e ribadito anche nell'art. 190, co. 4 del codice che enuncia il principio di esecutività delle sentenze di primo grado comune a tutto l'ordinamento.

Si può conseguentemente affermare che la decisione di condanna di primo grado munita di formula esecutiva costituisce il titolo esecutivo, salvo l'obbligo previsto dal citato art. 190 co. 4 di sospendere la provvisoria esecutività della sentenza di condanna se viene proposto appello.

Tutto questo discorso trova la giusta coordinazione e graduazione nel co. 5 del citato art. 190, che prevede che la sospensione ex lege dell'esecutività della decisione di primo grado può trovare argine e contrasto nell' ordinanza del giudice di appello che dispone comunque la provvisoria esecutività della sentenza benché impugnata.

Pertanto è condivisibile quell'impostazione che ritiene come titoli esecutivi incondizionati tutti i provvedimenti indicati nel co. 1 dell'art. 212, mentre la decisione di primo grado non impugnata è un titolo esecutivo sottoposto a condizione risolutiva[5], nel senso che può venire neutralizzato dalla proposizione dell'appello (salvo, come detto, la possibile riespansione dell'esecutività ex art. 190 co.5).

L'attenzione al titolo esecutivo del Legislatore è confermata dall'art. 211 del Codice, che prevede che le parti hanno la facoltà di promuovere un giudizio di interpretazione del titolo, qualora ai fini dell'esecuzione sorga una questione sull'interpretazione di una decisione.

Un'altra dirompente modifica operata dal Legislatore delegato è quella relativa al regime di responsabilità dei dipendenti che hanno il compito di recuperare le somme per conto dell'amministrazione danneggiata.

Ante codice nella vigenza dell'art. 7 d.P.R. 260/1998 la responsabilità era radicata -in toto- in capo al responsabile del procedimento di esecuzione, la nuova disciplina prevede una corresponsabilità tra il responsabile e le strutture dirigenziali collegate alla "struttura di esecuzione", che rispondono alternativamente o cumulativamente per culpa in eligendo e culpa in vigilando.

Quanto sopra esposto trova conferma nel comma 4 dell'art. 214 che prevede <> quale atto illecito, fonte di responsabilità <>.

Per sequenza logica può considerarsi il procedimento esecutivo ripartito in una fase pre-esecutiva affidata al pubblico ministero territorialmente competente, il quale, ottenuta copia della sentenza munita di formula esecutiva la comunica all'amministrazione o all'ente titolare (art.213, co.3).

Il passaggio alla fase esecutiva si realizza con la notifica del titolo esecutivo al condannato personalmente, ai sensi degli art. 137 e ss. codice di procedura civile.

La fase esecutiva inizia la sua decorrenza da questo passaggio, ed è vincolata tanto nell'an che nel quando, mentre residua discrezionalità sul quomodo, pur essendo tipizzate le modalità e purchè sia assicurato il pieno soddisfacimento del principio di efficacia dell'esecuzione.

Modi per riscuotere il credito erariale derivante da titolo esecutivo

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La riscossione del credito erariale è, dunque, effettuata:

1) mediante il recupero in via amministrativa

2) mediante esecuzione forzata di cui al Libro III del Codice di procedura civile

3) mediante iscrizione al ruolo.

Il Codice di giustizia contabile dedica l'art. 215 al recupero del credito in via amministrativa e l'art. 216 per l'esecuzione innanzi al giudice ordinario, ma non disciplina con nessun articolo la modalità di riscossione mediante iscrizione al ruolo, probabilmente per la sua previsione in norme generali di rango legislativo operanti di per sé. In ogni caso è pacifica sia in dottrina che in giurisprudenza la sua utilizzabilità nell'ambito dell'esecuzione delle sentenze della Corte.

La c.d. ingiunzione fiscale non solo non viene recepita dal codice, ma la dottrina maggioritaria ritiene che l'entrata del codice precluda il ricorso a quest'ultima.

Riguardo invece alla alternatività o cumulabilità delle modalità di riscossione è pacifico che l'amministrazione gode di libertà di scelta non essendo questa preclusa dal principio generale "electa una via non datur re cursus ad alteram".

D'altronde se vi fosse stato un ordine di preferenza o esperimento dei mezzi il Legislatore avrebbe sicuramente optato per una forma letterale più vincolata. Una diversa impostazione, mal si coordinerebbe con i tanto decantati principi di tempestività ed efficacia dell'azione esecutiva.

Una importante disposizione che consacra la funzione di vigilanza del P.M. contabile nella procedura esecutiva è rappresentata dall'art. 216, co.1 del Codice, che consacra il potere di quest'ultimo di svolgere, se necessario, <<accertamenti patrimoniali finalizzati a verificare le condizioni di solvibilità del debitore e la proficuità dell'esecuzione>>. Inizialmente si dubitava della applicabilità di tale funzione al di fuori del caso di esecuzione innanzi al giudice ordinario, ma tale impostazione si è resa superabile dall'art. 213, co.4 che rappresenta una norma di chiusura dove <<il pubblico ministero esercita i poteri di cui agli artt. 214,215,216>>.

Pertanto l'amministrazione sarà supportata nella fase esecutiva -quale che sia la scelta del mezzo specifico da porre in essere per il recupero delle somme- tanto dalla funzione di impulso, vigilanza e di indirizzo del pubblico ministero contabile che dalla consulenza dell'Avvocatura dello Stato.

L'amministrazione notifica, la sentenza con la formula esecutiva al condannato personalmente, al fine di dare avvio all'esecuzione (art.213,co.3).

Quanto alla fase cautelare, può osservarsi che a tutela del credito erariale la principale misura cautelare (ante causam o in corso di causa) utilizzabile è rappresentata dal sequestro conservativo. L'art. 80 del Codice dispone che il sequestro conservativo si converte in pignoramento ai sensi e per gli effetti dell'art. 686 c.p.c. e che il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 156 delle disp. attuative c.p.c. decorre dalla data di ricezione, da parte dell'amministrazione interessata, della copia della sentenza munita della formula esecutiva comunicata dal Pubblico Ministero (art.212,co3).

Conclusioni

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Il sistema di esecuzione delle pronunce contabili è ancora lontano dalla sua perfezione, presentando punti critici prevalentemente nell'esecuzione innanzi al g.o., mancando la titolarità dell'azione in capo al p.m. contabile come auspicato ma non realizzato dal Legislatore delegato.

A parere di chi scrive, valorizzando l'art. 69 c.p.c. si può intervenire per realizzare questo passaggio incompiuto che permetterebbe una maggiore incamerazione delle somme erariali, i cui risultati attuali, non possono certamente dirsi soddisfacenti e sono stati più volte stigmatizzati dalla stampa.

La titolarità del P.M. oltre che a venire tipizzata in armonia con il dettato dell'art. 69 c.p.c. favorirebbe l'effettività della tutela e il vittorioso esperimento dell'esecuzione, che si traduce in un vantaggio economico tale da poter portare nel lungo periodo ad un aumento del PIL.

Inoltre non dimentichiamo la forte attenzione, talvolta oggetto perfino di critiche (e procedure sanzionatorie) al nostro paese, da parte dell'Unione Europea e dei suoi organi. Non eseguire una sentenza di condanna della Corte, significa sostanzialmente frustrare l'intero sistema di giustizia contabile e con se il (duro) lavoro del segnalante, della Procura, della Guardia di Finanza e infine soprattutto quello dei giudici contabili.



[1] V. TENORE, et al., La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Giuffrè editore, Varese 2018, pag.844.

[2] A. CANALE, F. FRENI, M. SMIROLDO, et al., Il nuovo processo davanti alla Corte dei Conti, Giuffrè editore, Varese 2017, pag. 1129.

[3] Già l'art. 1 co.174, L. n.266 del 2005 "disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)", sanciva: "Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l'articolo 26 del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice civile".

[4] A. CANALE, F. FRENI, M. SMIROLDO, et al., Il nuovo processo davanti alla Corte dei Conti, Giuffrè editore, Varese 2017, pag. 1127; Gli autori utilizzano il termine "self-restraint".

[5] A. CANALE, F. FRENI, M. SMIROLDO, et al., Il nuovo processo davanti alla Corte dei Conti, Giuffrè editore, Varese 2017, pag. 1131.

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