Casi nei quali la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio è illogica, irrazionale e irragionevole
Avv. Francesco Pandolfi - La casistica in tema di sanzioni disciplinari espulsive per gli appartenenti alle amministrazioni è varia.

Esistono situazioni nelle quali le valutazioni discrezionali operate dall'amministrazione di appartenenza sono corrette, mentre altre manifestano grossolani errori che vengono commessi in occasione di decisioni importanti e delicate.

Uno di questi casi è quello affrontato e risolto dal Tar Lazio, con la sentenza n. 8934/2018.

La sentenza è favorevole per il dipendente.

Il caso

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Si tratta di un agente della Polizia Penitenziaria che supera il concorso per l'accesso al Gruppo Sportivo.

Afferma di essersi vincolato ad un club calcistico sino al 2011 e di aver svolto attività, con ingaggio, sino alla sua assunzione nel Corpo della Polizia Penitenziaria nel 2012.

Nel 2014 chiede di poter prestare servizio presso altra sede con esonero dallo svolgimento dell'attività di giocatore, vista l'impossibilità di conciliare l'attività agonistica con l'ubicazione della nuova sede e con i suoi impegni familiari.

Il Consiglio direttivo del club da l'ok per il reingresso nelle funzioni operative della Polizia Penitenziaria; l'interessato chiede inoltre lo svincolo per poter decidere liberamente sul suo futuro sportivo.

Viene quindi disposto il suo trasferimento; nel 2015 comunica sia al club che al Dipartimento interregionale della Pol. Pen. un'ulteriore istanza di svincolo per decadenza dal tesseramento, senza ricevere risposta.

Comunque, comunica di svolgere attività di allenatore in seconda presso altro club.

A quel punto, alla fine del 2015, scatta la decisione di avviare un procedimento disciplinare in quanto il militare ha svolto attività presso un'altra organizzazione sportiva, violando basilari disposizioni di disciplina.

Il provvedimento di destituzione

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La decisione disciplinare è pesante.

Secondo il provvedimento di destituzione, l'interessato avrebbe svolto attività sportiva in distacco presso altra sede calcistica, anche in forza di un espresso accordo con loro sottoscritto.

In pratica, il procedimento disciplinare in questione è attivato in quanto il ricorrente avrebbe posto in essere atti violativi dell'onore e del senso morale in contrasto con i doveri assunti in occasione del giuramento.

Il tutto deriva per lui dall'aver svolto attività presso altra e diversa società sportiva, dall'essere stato assunto con apposito concorso per atleti nel 2012, dall'essere stato esonerato nel 2014 dall'attività sportiva presso la prima società di appartenenza e, infine, per essere stato distaccato presso un'altra casa circondariale viste le asserite esigenze personali e familiari inconciliabili con gli impegni sportivi in serie D.

La decisione del tribunale

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Il Tar ridimensiona il costrutto accusatorio.

In effetti i giudici valorizzano il fatto che il militare abbia formalmente chiesto lo svincolo senza aver avuto risposta dall'amministrazione, svincolo che tendeva a liberarlo per il futuro e dargli modo di prendere decisioni a livello sportivo tecnico nel settore giovanile.

Per i giudici la scelta amministrativa è incoerente.

Da una parte essa assente all'esonero dall'esercizio dall'attività calcistica proposto dal ricorrente, dall'altra ne dispone la destituzione in ragione del possibile futuro svolgimento da parte di quest'ultimo di un'attività sportiva, di cui era stata notiziata in occasione delle istanze di svincolo.

In pratica

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Non si può automaticamente giustificare l'estinzione del rapporto di lavoro per il solo fatto che il dipendente abbia commesso per la prima volta una condotta disciplinarmente rilevante, neanche tra l'altro connotata da gravità tale da potersi ricomprendere la misura definitiva dell'espulsione dal servizio.

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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