Lo ha decretato la Corte di giustizia Ue, precisando che è però indispensabile che l'accesso non determini una grave limitazione della vita privata dell'interessato

di Valeria Zeppilli - Per la Corte di giustizia dell'Unione Europea, le autorità pubbliche possono accedere ai dati personali detenuti dai fornitori di servizi di telefonia anche in caso di reati non gravi.

Come concluso nella sentenza del 2 ottobre 2018 resa nella causa C-207/16 (qui sotto allegata), l'ingerenza nei diritti che ne consegue non è infatti tale da dover imporre una limitazione dell'accesso a tali dati, nell'ambito della prevenzione, della ricerca, dell'accertamento e del perseguimento dei reati, alla lotta contro la sola criminalità grave.

Tuttavia vi è un presupposto fondamentale per rendere l'accesso legittimo anche per i reati non gravi: lo stesso non deve determinare un'ingerenza grave nella vita privata dell'interessato.

La vicenda

Nel caso di specie, i dati oggetto della domanda di accesso permettevano solo di collegare una o più carte SIM attivate con un cellulare rubato all'identità del titolare di tali carte, nel corso di un certo arco temporale.

Non era invece possibile, senza una verifica incrociata, conoscere la data, l'ora, la durata o i destinatari delle comunicazioni eseguite con le predette SIM, né i luoghi in cui erano avvenute o la loro frequenza. Si trattava, quindi, di dati che non permettevano di trarre delle conclusioni precise sulla vita privata dei soggetti interessati e, quindi, il cui esame non si poteva configurare come un'ingerenza grave nei loro diritti fondamentali.

Viste le finalità di accertamento e repressione dei reati, per i giudici di Lussemburgo tale operazione - nella specie messa in atto dalle autorità spagnole - non è pertanto contrastante con l'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche.

CGUE testo sentenza 2 ottobre 2018
Valeria Zeppilli

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