Una nuova conferma giunge dal TAR di Catanzaro secondo cui non è ammissibile un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito che preveda il solo rimborso spese

di Lucia Izzo - Non è ammissibile un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito, con cui si prevede il solo rimborso spese a carico del professionista. A questi, infatti, deve essere garantito un compenso equo, ovvero proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.


Lo ha chiarito il Tribunale Amministrativo Regionale di Catanzaro nella sentenza 1507/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un ingegnere che aveva impugnato il bando e il disciplinare di gara utilizzati dal Comune per l'affidamento dell'incarico per la redazione del nuovo piano strutturale comunale.


Il professionista, tra l'altro, aveva impugnato la legge speciale di gara anche nella parte in cui prevedeva che l'incarico fosse a titolo gratuito, salvo un rimborso delle spese sino a un ammontare massimo di € 250.000,00.

Per il ricorrente, tale clausola sarebbe stata illegittima sotto vari profili nonché in contrasto con le norme del codice civile e con il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, dalle quali si ricaverebbe l'essenziale onerosità degli appalti pubblici.

Professionisti: no alla gratuità della prestazione in favore dell'amministrazione

Il Collegio conviene che la clausola che preveda la gratuità della prestazione in favore dell'amministrazione pubblica sia effettivamente illegittima, immediatamente lesiva della posizione giuridica soggettiva dell'operatore che, pur essendo interessato a svolgere il servizio, non intenda prestare gratuitamente la propria opera.

Tale clausola risulta preclusiva della partecipazione, poiché impedisce di presentare un'offerta economicamente valida a colui che non intenda prestare gratuitamente la propria opera. Il ricorrente, pur non avendo partecipato alla procedura, è legittimato a ricorrere al giudice amministrativo per farne valere l'illegittimità.

Pur prendendo atto del diverso avviso espresso dal Consiglio di Stato (sent. n. 4614/2017), il TAR ritiene di  dover ribadire il proprio orientamento, espresso con la sentenza 2435/2016, con la quale, su ricorso degli ordini professionali interessati, era stato ritenuto illegittimo proprio il bando nuovamente oggetto di sindacato.

La "necessaria onerosità" dell'appalto pubblico di servizi

L'appalto pubblico di servizi, sottolinea il TAR, rientra nella categoria dei "contratti speciali di diritto privato" connotata da una disciplina, di derivazione europea, derogatoria dei contratti di diritto comune, in ragione degli interessi pubblici sottesi e della natura soggettiva del contraente pubblico, e che trova la sua principale fonte nel cd. Codice di Contratti Pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016). 

Non vi è dubbio che, alla stregua di tale normativa speciale, il contratto di appalto sia contraddistinto dalla necessaria "onerosità" e sinallagmaticità delle prestazioni, essendo connotato sia dalla sussistenza di prestazioni a carico di entrambe le parti che dal rapporto di reciproco scambio tra le stesse.

La necessaria predeterminazione del prezzo del servizio oggetto di appalto, nell'ottica del legislatore sia nazionale che europeo, è funzionale a garantire il principio di qualità della prestazione e della connessa affidabilità dell'operatore economico, rispetto al quale va contemperato e per certi versi anche "misurato" il principio generale di economicità, cui solo apparentemente sembra essere coerente il risparmio di spesa indotto dalla natura gratuita del contratto di appalto "atipico".

Stante la natura essenzialmente onerosa del contratto di appalto pubblico di servizi, devono ritenersi pertanto fondate le censure del ricorrenti riguardanti la violazione delle norme del Codice degli appalti che costituiscono applicazioni specifiche del principio di onerosità del contratto di appalto di servizi.

Professionisti: la disciplina sull'equo compenso

Il TAR ritiene di soffermarsi sulla normativa in materia di equo compenso recentemente oggetto di interventi legislativi. Con l'art. 12 della legge n. 81/2017, rammenta il Collegio, è stato imposto alle amministrazioni pubbliche di promuovere la partecipazione dei lavoratori autonomi nelle gare di appalti pubblici per la prestazione di servizi o ai bandi per l'assegnazione di incarichi. 

Più significativamente, la L. 172/2017, nel convertire il D.L. n. 148/2017, vi ha inserito l'art. 19-quaterdecies, il quale, al comma 3, stabilisce che la pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della citata legge di conversione.

Il compenso si intende equo, ai sensi della legge n. 247/2012, che proprio il citato art. 19-quaterdecies ha introdotto e reso applicabile a tutti i professionisti, se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.

Tali disposizioni, nonostante non siano ratione temporis applicabili alla vicenda in esame, lasciano emergere come nell'ordinamento vi sia un principio volto ad assicurare non solo al lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Non a caso, l'art. 35 Cost. tutela il lavoro "in tutte le sue forme e applicazioni", mentre il successivo art. 36, nell'occuparsi del diritto alla retribuzione, non discrimina tra le varie forme di lavoro.

Ebbene, la configurabilità di un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito si pone in disarmonia rispetto a tale affresco, tenuto conto che non ogni servizio prestato reca con se vantaggi curricolari e di immagine tali da garantire, sia pure indirettamente, vantaggi economici tali da soddisfare il diritto a un equo compenso.

TAR Catanzaro, sent. 1507/2018

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