La Corte Costituzionale chiarisce che subordinare il beneficio dell'assistenza esterna ai figli minori di 10 anni alla scelta di collaborare con la giustizia significa condizionare la tutela del rapporto tra madre e figlio

di Gabriella Lax - E' incostituzionale che le detenute per "reati ostativi", siano escluse dal beneficio dell'assistenza esterna ai figli minori di 10 anni. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 174, depositata il 23 luglio scorso, dal relatore Nicolò Zanon. La decisione (sotto allegata) puntualizza ciò che era stato già affermato in un'altra sentenza, la n. 239 del 2014.

Detenute reati ostativi: incostituzionale precludere assistenza ai figli

«Subordinare il beneficio dell'assistenza esterna ai figli minori di 10 anni alla scelta di collaborare con la giustizia significa condizionare in via assoluta e presuntiva la tutela del rapporto tra madre e figlio in tenera età al "ravvedimento" della condannata» precisa l'organo di giustizia costituzionale nel comunicato ufficiale.

Servirà piuttosto garantire ai minori un rapporto quanto più possibile normale con la madre, anche se quest'ultima sta in carcere e non si pente. Nel ribadire un concetto già espresso in altra decisione, la Corte costituzionale chiarisce che mentre è possibile condizionare alla collaborazione con la giustizia l'accesso a un beneficio se quest'ultimo ha come scopo esclusivo la risocializzazione del detenuto, questa possibilità non sussiste nel caso in cui il perno della vicenda sia la tutela di un interesse "esterno", nei casi di specie, il peculiare interesse del figlio minore (garantito costituzionalmente) a un rapporto quanto più possibile normale con la madre (o, in via subordinata, con il padre). Da qui l'incostituzionalità dell'articolo 21 bis della legge 26 luglio 1975 n. 354 che, nel caso delle detenute per i "reati ostativi" elencati nell'articolo 4 bis, commi 1, 1 ter e 1 quater, della legge 354 del 1975, nega l'accesso a questo beneficio o lo subordina all'espiazione di una frazione di pena, salvo che sia accertata una collaborazione attiva con la giustizia. Nella sua decisione, la Consulta rimanda inoltre alla sentenza

n. 76 del 2017 laddove è stabilito che, il legislatore, attraverso presunzioni insuperabili, nega in radice l'accesso della madre a modalità agevolate di espiazione della pena, impedendo al giudice di valutare caso per caso la concreta sussistenza di esigenze di difesa sociale, bilanciandole con il migliore interesse del minore, si è di fronte ad un automatismo basato su indici presuntivi, che "comporta il totale sacrificio di quell'interesse".

Argomento convalidato con riferimento al beneficio dell'assistenza all'esterno ai figli minori di 10 anni per le donne detenute per uno dei reati previsti dall'articolo 4 bis, comma 1, la cui collaborazione con la giustizia sia impossibile, inesigibile o irrilevante.

La ratio sta nel fatto che, da una parte ci benefici prevalentemente finalizzati a favorire, fuori dal carcere, i rapporti tra madre e figli in tenera età, invece, cosa differente sono invece benefici come illavoro all'esterno, preordinati esclusivamente al reinserimento sociale del condannato e senza immediate ricadute su soggetti diversi. Diversi i presupposti e diverse saranno le conseguenze. In ultimo la sentenza chiarisce che l'incostituzionalità della norma non pregiudica affatto le esigenze di sicurezza poiché la concessione del beneficio «resta pur sempre affidata al prudente apprezzamento del magistrato di sorveglianza chiamato ad approvare il provvedimento disposto dall'amministrazione penitenziaria».

Corte-Cost-174-2018

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