Cosa succede se nel costruire un edificio occupo in buona fede il terreno del mio vicino?
Avv. Pier Vincenzo Garofalo - In caso di occupazione in buona fede di porzione di fondo attiguo, il legislatore cercando bilanciare gli interessi delle parti, ha previsto la possibilità del dominus del fondo di fare opposizione per ottenere la demolizione dell'opera, ovvero l'opportunità di ottenere un'indennità oltre al risarcimento del danno, con conseguente attribuzione della proprietà alla controparte.


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L'accessione invertita ex art. 938 c.c.

In specie l'art. 938 del cod. civ. prevede: "Se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, e il proprietario di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione, l'autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al costruttore la proprietà dell'edificio e del suolo occupato. Il costruttore è tenuto a pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il risarcimento dei danni".

La norma, che disciplina la fattispecie tradizionalmente designata come accessione invertita, nel senso che viene capovolta la direzione in cui opera l'acquisto per accessione, attribuendosi al costruttore - al ricorrere delle previste condizioni ed ad una valutazione di opportunità del giudice - la proprietà del suolo occupato parzialmente con il proprio edificio, ha carattere eccezionale, in quanto derogativa sia del principio dell'accessione, sia di quello secondo cui il proprietario ha diritto di disporre sulla propria cosa in maniera piena ed esclusiva.

Legittimazione attiva

Tanto il proprietario del fondo, quanto il costruttore possono agire in giudizio per valere i propri contrapposti diritti. Ora, in proposito vale la pena ricordare che è ormai superando l'orientamento contrario, che riconosceva la legittimazione ad agire ex art. 938 cod. civ. al solo costruttore. Con la sentenza

n. 763/1974, la Suprema Corte ha, infatti, affermato che la regolamentazione sancita dal citato art. 938, può essere utilmente invocata, anche nell'inerzia del costruttore, dallo stesso proprietario del suolo. Resta comunque salva per il costruttore, l'opportunità di impegnarsi alla demolizione della costruzione, o addirittura di demolirla nelle more del giudizio, facendo in tale modo venir meno una delle condizioni dell'azione. In altri termini, se nella costruzione di un edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo attiguo, il proprietario del fondo che non abbia fatto tempestiva opposizione, può, in caso di inerzia del costruttore, chiamarlo in giudizio chiedendo la condanna al pagamento del doppio del valore della superficie occupata e al risarcimento del danno, nonché la pronuncia costitutiva circa la c.d. accessione invertita in favore del costruttore convenuto, salva appunto per quest'ultimo, ove non intenda beneficiarne, la possibilità di demolire l'opera sconfinata sul suolo altrui. La deduzione della c.d. accessione invertita ex art. 938 c.c. non dà luogo quindi, ad una mera difesa od eccezione, bensì ad una vera e propria domanda giudiziale (principale o riconvenzionale), ne consegue che tale domanda è soggetta ai limiti ed alle preclusioni di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c (Cass. 16278/17), ed evidentemente, non è proponibile per la prima volta in appello sussistendo il divieto sancito dall'art. 345 c.p.c.

Cosa si intende per edificio

E' ormai assodato che per edificio ex art. 938 c.c., si fa riferimento esclusivamente alla costruzione di una struttura muraria complessa idonea alla permanenza nel suo interno di persone e di cose, non potendo, quindi, essere invocato con riguardo ad opere diverse, quali un muro di contenimento o di divisione (Cass. n. 23018/2012).

Decadenza

Il termine di tre mesi fissato ai fini della decadenza è rivolto sic e simpliciter al proprietario del suolo, al fine di consentirgli di rendere improponibile dal costruttore una domanda di attribuzione a sé della proprietà dell'edificio e del suolo occupato (Cass. 2474/1978). In altri termini, se il dominus del fondo vuole ottenere la demolizione dell'opera e la restituzione della res, dovrà agire entro il termine indicato dalla Legge, in mancanza, qualora il costruttore non avesse intenzione di demolire l'opera, il dominus avrà diritto solo all'indennità di cui all'art. 938 c.c. ed al risarcimento del danno.

La buona fede

Requisito indispensabile per ricorrere alla tutela in esame è la buona fede, consistente nel ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione. Essa, in assenza di una previsione analoga a quella dettata in materia di possesso dall'art. 1147 c.c., non è presunta, ma deve essere provata dal costruttore; ai fini probatori, è necessario avere riguardo alla ragionevolezza dell'uomo medio e al convincimento che questi poteva legittimamente formarsi circa l'esecuzione della costruzione sul proprio suolo, in base alle cognizioni possedute effettivamente o che egli avrebbe potuto acquisire con un comportamento diligente, sicché la buona fede deve escludersi qualora, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, il costruttore avrebbe dovuto fin dall'inizio anche solo dubitare della legittimità dell'occupazione del suolo del vicino (così ex plurimis, Cass. n. 345/2011; conf. Cass. 13628/15), in tal caso il proprietario della parte di suolo abusivamente occupata potrà ottenere la demolizione della costruzione illegittimamente eseguita su tale porzione di superficie.

Costruzione su suolo altrui: la parziarietà riguarda l'edificio non il fondo

L'istituto oggetto di discussione, si riferisce esclusivamente alle ipotesi di sconfinamento, ovvero di costruzione giacente in parte sul terreno del costruttore ed in parte sul terreno altrui, non trovando, perciò, applicazione nelle ipotesi di costruzione interamente eseguita sul fondo altrui, che sono invece regolate dall'art. 936 cod. civ. (Cass. n. 23707/2014).

Interdipendenza tra attribuzione proprietà, indennità e danni

Il citato art. 938 configura la nascita e l'imputazione di rapporti (l'attribuzione della proprietà dell'edificio e del suolo occupato al costruttore; il pagamento al proprietario del suolo del doppio del valore della superficie occupata; il risarcimento del danno) vicendevolmente dipendenti: siffatta reciprocità causale degli effetti normativi non è scindibile nell'attuazione per via giurisdizionale, perché, essendo immanente in ogni elemento del loro insieme, costituisce essenziale requisito di legittimità della pronunzia del giudice, che, conseguentemente, non può accogliere la domanda diretta a far valere l'obbligazione indennitaria in difetto dell'attribuzione al costruttore della proprietà dell'edificio e della superficie occupata.

Si è anche precisato (Cass., Sez. Il, 19 ottobre 1959, n. 2970) che in tanto è dovuto al proprietario della porzione del suolo, occupata dalla porzione altrui, l'indennizzo previsto dall'art. 938 cod. civ. nel doppio del valore della superficie occupata (oltre al risarcimento del danno), in quanto si verifichi il presupposto dell'attribuzione al costruttore dell'edificio della proprietà del suolo occupato. Solo in questa prospettiva, del resto, rinviene una giustificazione causale l'obbligo di pagamento dell'indennità, essendo questo previsto come diretto a compensare il dominus soli per il sacrificio coattivo della sua proprietà, attribuita al costruttore per effetto della sentenza emessa ai sensi dell'art. 938 cod. civ.

In altri termini, l'indennità è dovuta dal vicino costruttore in quanto questi sia in grado di ottenere, reciprocamente, l'acquisto coattivo della proprietà del suolo altrui occupato con il proprio edificio; dove la pronuncia del giudice ha natura costitutivo - traslativa, ed è destinata ad attuare un trasferimento coattivo della proprietà cui va riconosciuto carattere derivativo (Cass., Sez. II, 28 aprile 1976, n. 1516; Cass., Sez. IL 31 marzo 1987, n. 3103) (Cass. 3899/2017).


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