Il delicato bilanciamento tra il diritto al legame familiare e quello alla riservatezza nella legislazione e nella giurisprudenza
di Enrico Pattumelli - L'adottato ha diritto di conoscere le generalità dei propri fratelli biologici. Questo il principio primario che si ricava dalla recente sentenza della Cassazione (n. 6963/2018 sotto allegata), chiamata ad esprimersi sulla richiesta di un figlio adottivo che voleva conoscere le generalità delle sorelle biologiche.

Leggi in merito Il figlio adottato ha diritto di sapere chi sono i suoi fratelli biologici

Una sentenza che offre lo spunto per analizzare il delicato bilanciamento tra il diritto ai legami familiari e quello alla riservatezza.

La vicenda

Il Tribunale per i minorenni e la Corte d'Appello rigettano l'istanza presentata da un soggetto adottato al fine di acquisire le generalità delle sorelle biologiche.

A fondamento di tali reiezioni, si sostiene che il diritto di conoscere i legami familiari consista esclusivamente nella facoltà di accedere alle informazioni relative alle proprie origini, limitatamente all'identità dei genitori naturali.

Nel caso di specie, il diritto ad avere una relazione con le sorelle soccomberebbe rispetto al diritto alla riservatezza di queste ultime.

In altri termini, un'istruttoria preventiva finalizzata all'acquisizione del consenso per l'accesso ai dati, minerebbe gli equilibri connessi allo stato di adottato delle sorelle oltre che agli stessi genitori adottivi.

Adozioni: le norme nazionali e sovranazionali di riferimento

Artt. 7-8 Convenzione di New York

Art. 30 Convenzione dell'Aja

Art. 28 co 4 e 5 Legge 184/1983

Il diritto a conoscere le proprie origini

Il diritto a conoscere le proprie origini è un diritto della personalità, espressione essenziale del diritto all'identità personale.

Lo sviluppo di una persona, sia nella propria individualità che nelle relazioni con gli altri, può dirsi realizzato solo se si è in grado di conoscere la propria identità, sia interiore che esteriore.

Elementi essenziali dell'identità esteriore sono il nome e la discendenza giuridicamente rilevante.

Il riconoscimento della discendenza biologica e, dunque, della parentela più prossima, è l'aspetto più delicato e dibattuto negli ultimi anni.

La questione sottoposta alla Cassazione attiene quanto disposto dall'art. 28 Legge 184/1983.

La norma da ultimo richiamata prevede il diritto dell'adottato di conoscere le proprie origini e l'identità dei genitori naturali, senza alcun riferimento alla posizione dei parenti più prossimi come i fratelli biologici.

Nello specifico, si distingue a seconda che il richiedente abbia conseguito o meno la maggiore età e altresì se abbia un'età inferiore o superiore ai 25 anni, prevedendo delle limitazioni per accedere alle relative informazioni.

La norma disciplina sommariamente l'audizione delle persone interessate e prevede, nel suo ultimo comma, il diniego di accedere ai dati se il genitore biologico abbia manifestato la propria volontà di rimanere anonimo.

Quanto sinora illustrato permette di cogliere come la possibilità di ottenere informazioni relativamente ai fratelli biologici sia una questione strettamente connessa a quanto affrontato dalla giurisprudenza circa l'identità dei genitori naturali.

Il parto cosiddetto "anonimo" e il diritto della madre a rimanere sconosciuta

L'art. 28 ultimo comma della Legge sulle adozioni (184/1983) prevedeva, come anticipato, la prevalenza assoluta del diritto della madre a restare anonima rispetto al diritto del figlio di conoscerne l'identità.

Nel 2012 la Corte Edu, nel caso Godelli c. Italia, condannava quest'ultima dal momento che la norma in questione riconosceva una tutela esclusiva alla posizione della madre, precludendo così qualsiasi bilanciamento rispetto al diverso e, non meno importante, diritto del figlio di conoscere le proprie origini.

E' emerso dunque come il legislatore, riconoscendo esclusiva prevalenza alla posizione della madre, aveva svolto una valutazione ex ante, non consentendo alcun bilanciamento ex post.

Nel 2013 interveniva la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 276, dichiarando l'illegittimità della norma nella parte in cui non prevedeva la possibilità per il giudice di ascoltare, su richiesta del figlio, la madre che avesse dichiarato all'epoca del parto di non voler essere nominata.

La finalità dell'interpello è di verificare se la volontà della madre sia rimasta quella di rimanere sconosciuta al proprio figlio o, invece, sia mutata.

Negli anni immediatamente successivi, il legislatore è rimasto inerte e la giurisprudenza si è divisa.

Nello specifico, la giurisprudenza di merito ha talvolta ritenuto che la sentenza della Consulta fosse una pronuncia monito, escludendo così la possibilità di operare qualsiasi apprezzamento in concreto.

Diversamente, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la sentenza costituzionale fosse una pronuncia additiva di principio.

Optare per tale ultimo inquadramento comporta che la sentenza della Consulta costituisca un vincolo sia per il legislatore affinché intervenga, sia per lo stesso giudice al fine di garantire l'effettività della tutela.

Questo percorso argomentativo è stato condiviso e fatto proprio dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 1946 dello scorso anno.

Si è sostenuto infatti che il mancato intervento del legislatore non può ripercuotersi sul diritto del figlio a conoscere le proprie origini.

La norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia, come noto, il giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.

La riserva della potestà legislativa in capo al Parlamento non esclude che il giudice possa esercitare il proprio potere, applicando norme e principi che, soprattutto se vincolanti, sono necessari e indispensabili.

Il diritto all'identità personale deve essere bilanciato con il diritto alla riservatezza.

In altri termini, il bilanciamento non si attua riconoscendo in capo al giudice un margine di apprezzamento ma si ravvisa in un vero e proprio modulo procedimentale.

In mancanza di un intervento legislativo ad hoc, le Sezioni Unite hanno affermato che il procedimento di interpello sarà quello previsto dallo stesso articolo 28 della Legge sulle adozioni, adattato al fine di garantire la riservatezza della madre.

L'importanza di questa sentenza deriva dal principio generale che ne deriva: il bilanciamento tra i diritti della personalità di cui si discute deve avvenire attraverso un procedimento riservato di interpello.

L'esatta perimetrazione del diritto di conoscere le proprie origini e l'identità dei propri genitori

La Cassazione, con la sentenza in commento n. 6963/2018, si è altresì soffermata sull'interpretazione letterale di quanto previsto dall'art. 28 co 5 Legge cit. e, in particolare, sul significato da attribuire a "conoscere le proprie origini e l'identità dei genitori biologici".

Ci si è chiesti se tale formula rappresenti un'endiadi, trattandosi di due concetti coincidenti, oppure afferisca due differenti ambiti di informazione.

In altri termini, ci si è chiesti se vi sia una specialità per specificazione, riferita ai soli genitori biologici oppure se si riconosce il diritto ad avere informazioni dell'intero nucleo familiare.

Il Collegio ritiene che un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata faccia propendere per la seconda opzione ermeneutica.

Si ritiene che il diritto a conoscere la propria identità personale possa dirsi pienamente soddisfatto qualora le informazioni afferiscano l'intero nucleo familiare di origine.

Si tratta di un'interpretazione necessaria anche considerando l'ipotesi in cui non sia possibile risalire ai genitori biologici.

Come operare il bilanciamento

Atteso che il diritto di conoscere le proprie origini afferisca accedere ad informazioni relative tanto ai genitori naturali quanto ai fratelli biologici, la Cassazione affronta la questione relativa alle modalità di bilanciamento degli interessi coinvolti.

Ci si chiede se la posizione dei fratelli biologici possa essere equiparata a quella dei genitori naturali.

La risposta è negativa.

Si nota come i fratelli e le sorelle naturali non siano intervenuti nelle scelte che abbiano portato ad essere anche loro adottati ed altresì come questi abbiano potuto acquisire un loro equilibrio di vita, esposto al rischio di mutamenti.

Si sostiene che se l'adottato adulto detiene un diritto potestativo di conoscere l'identità dei propri genitori naturali, lo stesso non può dirsi in relazione ai propri fratelli biologici.

Emerge un necessario e concreto bilanciamento tra i diritti coinvolti che in astratto possono apparire in contrasto.

La diversità di posizione tra i genitori ed i figli, viene ricondotta ad unità nelle modalità di operare un tale bilanciamento. Si deve sempre ricorrere ad un procedimento riservato di interpello, attenendosi a quanto previsto dalle succitate Sezioni Unite.

L'adottato, seppur con riferimento ai propri fratelli naturali, chiede di aver accesso a dati sensibili e riservati, non comprimibili se non con il dissenso espresso da parte dei possessori delle relative informazioni.

Si evidenzia come non vi è la possibilità di manifestare un divieto espresso, a differenza di quanto previsto per la madre biologica.

L'adottato richiedente e i fratelli naturali detengono posizioni soggettive di pari rango e sono portatori di diritti omogenei, senza alcuna predeterminazione normativa di graduazione.

Si tratta però di diritti omogenei ma diversi, che devono per ciò essere bilanciati mediante procedimenti di interpello. Questi ultimi sono quelli previsti dai numerosi protocolli elaborati dai Tribunali per i minorenni e ampiamente illustrati nella sentenza delle Sezioni Unite.

Cass. civ., sez. I, 6963/2018

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: