Può uno stilista famoso, dopo aver ceduto il marchio costituito dal suo nome, usare nuovi marchi che contengono il suo nome?

Avv. Alberto Nachira - Nel settore della moda, italiana e non solo, il cognome è pacificamente idoneo a consentire un'immediata individuazione dello stilista. Ciò nondimeno, la possibilità di registrare come marchio un nome di persona pone problematiche in merito alla cessione di marchio con il nome dello stilista. Si pone la questione di ciò che uno stilista può (o non può) fare in relazione all'utilizzazione del proprio nome dopo la cessione del proprio marchio patronimico e se sia possibile per il cessionario del diritto registrare nuovi marchi composti con il patronimico. L'esame della questione prende spunto dal noto caso dello stilista Elio Fiorucci, che aveva acquisito una certa notorietà in Italia negli anni '70 e il cui nome si elevò a patronimico e marchio notorio.

Il fatto all'origine della lite

Nel 1990 la Fiorucci Spa, costituita dallo stilista Fiorucci, cedeva ad una società giapponese il suo patrimonio creativo, ivi compresi tutti i marchi di cui era titolare, tra i quali numerosi marchi contenenti l'elemento "Fiorucci".

Nel 1999, su domanda della società giapponese, l'allora UAMI (oggi EUIPO Ufficio dell'Unione Europea per la proprietà Intellettuale), registrò il marchio denominato "Elio Fiorucci" per una serie di articoli di abbigliamento, di profumeria e di valigeria. Nel 2003, l'UAMI, in prima istanza, accoglieva la domanda di nullità del marchio presentata dal Sig. Fiorucci, motivando la decisione con il fatto che, da un lato ai sensi dell'art. 8, n.3, del Codice della Proprietà

Intellettuale, trattandosi di "nome noto" era necessario il consenso del Sig. Fiorucci per la registrazione del suo nome come marchio e che, dall'altro, tale consenso mancava. In seguito, la Commissione di ricorso dell'UAMI, riformava tale decisione che veniva però di seguito annullata dal Tribunale di primo grado della Comunità Europea. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, successivamente adita dalla società giapponese, con sentenza del 5.07.2011 (causa C- 263/09), confermava la decisione del Tribunale riconoscendo che il titolare di un patronimico ha diritto ad opporsi all'uso non autorizzato del suo nome come marchio indipendentemente dal settore nel quale tale notorietà è stata acquisita ed anche se il nome della persona notoria è già stato registrato o utilizzato come marchio.
Nelle more dei predetti giudizi, tra gli anni 2002 e 2010, lo stilista Fiorucci aveva fatto uso e presentato domande di registrazione per il marchio "Love Therapy by Elio Fiorucci" unitamente ad icone e figure (cuori e angeli) per contraddistinguere tra l'altro, capi di abbigliamento, accessori e gadgets in vendita presso l'esercizio milanese avente identica insegna.

Si poneva, pertanto, la questione della possibilità per lo stilista di utilizzare, dopo la cessione, nuovi marchi che, pur composti anche da altre parole, erano costituiti anche dal suo nome. A parere della società giapponese l'uso del marchio "Love Therapy by Elio Fiorucci " generava un pericolo di confusione o di agganciamento alla rinomanza al marchio patronimico "Elio Fiorucci" di cui era la titolare. Sia il Tribunale di Milano che la Corte territoriale davano torto alla società giapponese.

La sentenza n. 10826 del 25.05.2016 della Corte di Cassazione

Investita della questione la Prima Sezione della Corte di cassazione, richiamando un precedente della stessa Sezione (sentenza n. 29879/2011 marchio "AVC by Adriana V.Campanile" nel patronimico "Campanile") ha enunciato il seguente principio di diritto secondo cui "l'utilizzazione commerciale del nome patronimico, deve essere conforme ai principi della correttezza professionale e, quindi, non può avvenire in funzione di marchio, cioè distintiva, ma solo descrittiva, in ciò risolvendosi la preclusione normativa per il titolare del marchio di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica del loro nome; ne consegue che sussiste contraffazione quando il marchio accusato contenga il patronimico protetto, pur se accompagnato da altri elementi". Invero, aggiunge la Corte, una volta che un segno costituito da un certo nome anagrafico sia stato validamente registrato come marchio, neppure la persona che legittimamente porti quel nome può più adottarlo (come marchio) in settori merceologici identici o affini. Il diritto al nome trova, perciò, una chiara compressione nell'ambito dell'attività economica e commerciale, rispetto all'avvenuta registrazione da parte di altri. La Suprema Corte ha quindi ritenuto che l'inserimento nel marchio denominativo utilizzato dallo stilista Fiorucci del suo cognome avrebbe avuto non una mera funzione espressiva della personalità e del lavoro creativo e, perciò, descrittiva, ma una funzione distintiva e quindi non giustificabile sotto il profilo della correttezza concorrenziale.

In conclusione, se da un lato, pertanto, per la cessionaria dei diritti costituisce abuso registrare nuovi marchi composti con il patronimico senza il consenso dello stilista (caso analogo marchi "Richmond" e "Richmond Cafè" e lo stilista John Christopher Richmond), dall'altro lato l'inserimento nel marchio, di un patronimico con il nome dello stilista, che in precedenza l'abbia incluso in un marchio registrato e poi ceduto a terzi, non è conforme alla correttezza concorrenziale.


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