Per la Cassazione i piccoli sono in grado di recepire il disvalore nelle parole e propagare il messaggio

di Lucia Izzo - Attenzione alle frasi pronunciate davanti ai piccolissimi, poiché potrebbero costare una condanna per diffamazione. È stata infatti punita ex art. 595 c.p. (e non per la depenalizzata fattispecie di ingiuria), la suocera che aveva usato espressioni diffamatorie, offensive e volgari nei confronti della nuora in presenza dei figli di quest'ultima. 


Nonostante la tenerissima età dei nipotini, di due e quattro anni, sussiste la portata diffamatoria in quanto i piccoli sono in grado di propagare il messaggio, riferendo le parole ascoltate anche non comprendendone appieno il significato.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazionequinta sezione penale, nella sentenza 16108/2017 (qui sotto allegata), nel valutare il caso di una donna che il giudice a quo aveva ritenuto colpevole per diffamazione poiché, comunicando con più persone, aveva offeso l'onore e il decoro della nuora, vedova di suo figlio.


Quest'ultima era stata accusata di essere stata la causa della morte del marito e di essere una donna poco seria ed era stata definita dall'imputata con epiteti ingiuriosi, frasi pronunciate alla presenza di un adulto e due bambini di tenerissima età.


Protagonisti della vicenda sono proprio i due minori, in quanto la Cassazione è chiamata a chiarire se possa essere integrato il requisito della comunicazione a più persone laddove questa sia avvenuta alla presenza di bambini così piccoli, che potrebbero essere incapaci di percepire il contenuto del messaggio verbale.


A differenza del giudice di prime cure, il Tribunale ritiene che il reato sia stato integrato nonostante la presenza dei piccoli che, invece, secondo l'imputata non sarebbero stati in grado di capire la natura offensiva delle frasi, deducendo in Cassazione la mancanza del danno alla reputazione della parte offesa


Gli Ermellini, nel rigettare il ricorso, affermano che l'efficienza offensiva della condotta diffamatoria può essere ravvisata sotto un duplice profilo. Da un lato, non può né deve escludersi che i bambini di quell'età (due e quattro anni) possano essere in grado di recepire il messaggio e il disvalore insito nelle parole pronunciate dagli adulti in loro presenza, soprattutto ove si tratti, come nel caso di specie, di concetti elementari e parole volgari di uso comune.


Ancora, prosegue la Corte, per l'art. 196 c.p.p. ogni persona ha la capacità di testimoniare, senza che la norma ponga alcun limite di età, nonostante sia tuttavia possibile disporre accertamenti allo scopo di verificare l'idoneità fisica e mentale a rendere testimonianza.


Ciò significa che per il legislatore non può esservi alcuna presunzione in ordine alla capacità o meno da parte di un soggetto di recepire gli accadimenti e di poterne riferire. Pertanto non è possibile stabilire apoditticamente se un bambino di due o quattro anni possegga tale capacità facendo solo riferimento all'età.


Nel caso in esame, al fine di accertare in concreto se le offese fossero state recepite dai presenti, il Tribunale ha infatti valutato correttamente altri elementi, cioè il tipo di comunicazione a cui hanno assistito i bambini e il contesto in cui si è verificato l'episodio. Si è sottolineato come le frasi offensive fossero piuttosto elementari e l'atmosfera di grande tensione, percepita dai bambini che erano rimasti scossi e piangenti.


Per poter giungere a una diversa conclusione, che escluda la percezione delle offese da parte dei piccoli, si renderebbe dunque necessario un riferimento a specifici segni indicatori di tale incapacità, anche ricorrendo ad accertamenti medici o psicologici, ma non sarebbe sufficiente il riferimento alla sola età.


Infine, conclude la Cassazione, va condiviso l'assunto del Tribunale, il quale aveva sottolineato che nei bambini di quell'età il processo cognitivo si snoda attraverso incameramenti, memorizzazione ed emulazione della sequenza di parole pronunciate dagli adulti. In tal modo il piccoli realizza valori, elabora concetti, amplia il proprio vocabolario e, inoltre, tende a riferire spesso le parole udite da un adulto.


Da qui la conclusione che i bambini sarebbero stati in grado di riferire ad altri quanto udito, nonostante non avessero compreso lo specifico significato delle parole usate, avendone però colto la generica portata lesiva tanto da esserne rimasti turbati, divenendo così potenziali strumenti di propagazione di contenuti diffamatori.

Cass., V sez. pen., sent.16108/2017

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: