Sanno i parlamentari ciò che fanno?

di Angelo Casella - E' stato rilevato che, nell'ultima legislatura, 234 parlamentari hanno cambiato - anche più volte di seguito - schieramento politico, in alcuni casi addirittura passando al fronte opposto. In totale sono stati registrati 380 cambi di casacca, per una percentuale, al Senato, del 30,5% e, alla Camera, del 23%. (Un certo Villari ha cambiato gruppo per undici volte, superando di poco il collega Compagna, secondo in classifica, con nove) (Panorama, 2016/2). Il 43,6 % di costoro si è alleato con il partito di maggioranza. Attualmente, alla Camera, rimangono solo quattro gruppi riconducibili alle liste elettorali che hanno partecipato alle elezioni del 2013. Analoghe trasmigrazioni si sono verificate nel corso delle passate legislature (Openpolis).

Secondo alcuni osservatori, la vicenda ha le dimensioni e le caratteristiche di un vero e proprio mercato nel quale i parlamentari si mettono all'asta al miglior offerente che, in genere, è il capo del partito al governo, che trova così il modo di rafforzare la propria posizione al di là delle indicazioni dell'elettorato.

Prescindendo dai pur non secondari aspetti etici, questo fenomeno suggerisce alcune considerazioni in ordine a peculiari caratteristiche del nostro sistema parlamentare.

1.- E' stata sollevata questione di conformità del trasformismo parlamentare con l'art. 67 della Costituzione per il quale "Ogni membro del Parlamento esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". Ci si chiede, in pratica, se la Costituzione fornisca un avallo alla migrazione.

2.- Per cogliere l'esatta lettura dell'art. 67 è opportuno ricorrere ai lavori preparatori. In quella occasione il relatore Mortati ebbe a sottolineare, in ordine al dettato proposto, che il deputato non dovrebbe rappresentare il suo partito o la sua categoria, intendendo con ciò che la rappresentanza politica non debba essere una rappresentanza di interessi. Obbiettava il Grieco che dettare siffatto principio avrebbe favorito il malcostume politico: i deputati, argomentava, vengono eletti affinché difendano ben precisati orientamenti politici ai quali debbono attenersi.

Da questi rilievi traeva spunto il Mortati per richiamare l'attenzione sul problema basilare della revocabilità del mandato conferito, questione rimasta irrisolta nonostante che, nel diritto di eleggere, sia naturalmente connaturato anche quello di revocare. Una verità che si è preferito dimenticare.

3.- Emerge dunque che, con l'art. 67, nell'evidente intento di favorire l'emergere dell'interesse generale, si è voluta garantire al deputato la massima libertà di autodeterminazione: egli deve orientare il proprio voto secondo la propria coscienza, al di fuori di qualunque influsso e condizionamento.

4.- Peraltro, appare ovvio che questo assioma deve valere erga omnes, cioè anche nei confronti dei vertici del gruppo di appartenenza, i quali invece pretendono cieca ubbidienza alle direttive di voto che sempre emanano.

5.- Tutto ciò non significa tuttavia - come segnalava il Grieco - che al parlamentare non facciano carico alcuni vincoli.

a) Innanzitutto, il voto dell'elettore è carico di un significato preciso in quanto è in dirizzato e qualificato sul piano ideologico e programmatico. Si tratta di un incarico orientato, non nel dettaglio, ma nei principi guida ispiratori.

Incidentalmente, specifichiamo, data la varietà di significati collegati al termine, che intendiamo per ideologia l'organizzazione concettuale "di un certo numero di finalità sociali indicate come desiderabili" (Meynaud). Ideologie che costituiscono le "bandiere" dei partiti politici e che perciò rappresentano il punto di riferimento dell'elettorato.

Inoltre, la nomina parlamentare non è assimilabile ad un mandato di rappresentanza, presentando invece le caratteristiche di un incarico (i deputati erano detti anche "commissari") i cui estremi sono espressi dalla ideologia di appartenenza. Per Rousseau, "La volontà generale non tollera rappresentanza" .

Perciò, quando il deputato cambia schieramento, tradisce l'incarico ricevuto ed è teoricamente sanzionabile.

Il trasformismo viola il principio a base del principio elettorale: il diritto cioè del cittadino di indicare quale deve essere la politica del Paese. Nei fatti, a seguito delle gite dei deputati, il Parlamento oggi in carica è del tutto diverso da quello voluto dall'elettorato con le elezioni del 2013.

Si tratta, come è ovvio, di una grave violazione della volontà popolare.

b) In secondo luogo (ma primo per importanza) il cambio di gruppo solleva una questione morale rilevantissima che coinvolge anche la personalità del deputato.

Iniziamo dalle motivazioni. La decisione di dedicare sé stesso alla politica è una scelta di elevato contenuto etico. Significa abbracciare lo scopo trascendente di occuparsi del bene comune, in funzione della realizzazione concreta di principi ideali. Non vi è dubbio che "la moralità è il principio animatore della vita politica" (Fichte).

Per politica deve poi intendersi lo studio di un sistema di provvedimenti atto a realizzare, nella gestione dei fattori collettivi, economici e sociali, una equa distribuzione della ricchezza ed il miglioramento delle condizioni di vita delle masse.

Questo impegno postula evidentemente specifiche dotazioni morali e intellettuali.

5.- E' tuttavia palese che i vorticosi cambi di casacca sopra evidenziati non forniscono l'immagine di personalità di livello morale particolarmente elevato.

Indipendentemente dalla esclusione del vincolo di mandato, il soggetto che si dedica alla politica dovrebbe coltivare quegli stessi ideali astrattamente dichiarati dal gruppo cui ha aderito.

Il cambiamento della casacca dimostra invece che questo ideale, ed i valori che lo sostengono, non hanno alcun significato per il trasformista, la cui motivazione interiore appare essere solo quella dell'opportunismo, mirato alla conservazione della poltrona, cioè agli emolumenti e benefici a quella connessi.

Tutto ciò non significa fare politica, cioè impegnarsi a migliorare le condizioni della collettività, bensì cercare di riempire le proprie tasche, concepita, quest'ultima, come una greppia dove più mangia chi più mantiene la poltrona.

Gli stessi gruppi parlamentari, che dovrebbero in teoria costituire dei laboratori di dibattito e confronto, sono solo delle entità formali, costituite al solo scopo di incassare degli (inspiegabili) contributi, elargiti in misura proporzionale al numero dei componenti. Complessivamente si tratta di 55,3 milioni annui, pari - in media - a circa 117 mila a testa. Alcuni di questi "gruppi" (la cui sola finalità è di incassare i contributi auto attribuiti) sono composti da una sola persona. Se ne rinvengono anche a livello regionale: ben 62 gruppi individuali. Ogni "gruppo" però fornisce il vantaggio di poter assumere portaborse e addetti stampa.

Quando un soggetto agisce con l'unico riferimento-guida del denaro, si dimostra privo di una propria identità interiore. Si nota l'assenza di un qualunque stimolo verso il dover essere, che detti comportamenti conformi alla ragione, per la realizzazione di uno scopo morale.

Nella personalità di questi soggetti non appare presente alcun riferimento ad un modello ideale che sia guida all'agire. Personalità inesistenti, quindi, che rendono questi individui totalmente inconsistenti e inaffidabili, potendo l'occasione di guadagno (il movente principale) presentarsi da qualunque parte e sotto qualunque forma e bandiera.

In questa cornice è impossibile collocare qualunque impegno progettuale per il bene collettivo, che rimane una proiezione di nessun interesse per il soggetto il cui apporto sul tema è di conseguenza del tutto nullo.

Per "personalità" si intende la dimensione relazionale dell'individuo in rapporto al mondo esterno, così come è derivata dalla sua struttura intellettuale e psico-fisica ("così come si è formata nella prima infanzia": Allport).

E' curioso notare che una siffatta esclusione di sentimenti nobili (sollecitudine, altruismo, senso del dovere, solidarietà, ecc.), non è dato riscontrare a livello biologico in nessun'altra specie animale.

6.- Occorre sottolineare che una siffatta composizione parlamentare appare dannosa per il Paese conducendo inevitabilmente ad una drammatica depredazione del contesto sociale ed economico. La popolazione non è al sicuro da un potere legislativo privo di un chiaro disegno-guida illuminato da precisi principi etici.

Evidentemente necessario pertanto un profondo mutamento che restituisca l'organo legislativo alle sue finalità: valutare e selezionare progetti di progresso per la collettività.

7.- Che i parlamentari coltivino il solo interesse del personale arricchimento, senza con sapevolezza della funzione, è ammesso dagli stessi interessati.

Il deputato A. Misiani (Pd) riconosce: "rammento, diciamo, il 40% delle leggi approvate: si va in aula e si accoglie l'indicazione del partito". Egualmente inecquivoco A. Minzolini: "Ti presentano un piatto davanti e voti, anche il suo contrario, perché voti senza sapere". Con un tocco di leggerezza, la deputata Bonfrisco esplicita: "facciamo finta di discutere e di approvare...". Lapidario e definitivo invece G. Rotondi:" Noi parlamentari non conosciamo ciò che facciamo" (cit. da Il Fatto, 8.10.2016).

Forse costoro godranno del perdono evangelico ma, di fatto, svolgono una essenziale funzione istituzionale "a loro insaputa". Ciò che fanno è votare. Ma votare significa scegliere: se si ignora ciò che si sceglie l'atto è non solo inutile ma dannoso. Senza adeguata ponderazione, la funzione non è svolta ed il voto espresso manca di contenuto e quindi di valore: è un non-voto.

D'altronde, ritenendosi i parlamentari vincolati alle indicazioni di voto impartite dai vertici, conoscere e capire il testo della legge da approvare diventa un esercizio considerato, per certi profili, inutile e fine a sé stesso.

Certo che, stando così le cose, appare molto improbabile che perfino un solo deputato abbia anche semplicemente letto le 800 pagine dei Trattati europei, che pure hanno sconvolto la struttura istituzionale, economica e sociale del Paese, privato il popolo della sua sovranità e determinato poi una crisi economica senza precedenti.

Questa inconsapevolezza restituisce - per certi aspetti - una qualche coerenza al trasformismo. Infatti, se il parlamentare non sa ciò che fa, appare del tutto indifferente che non lo sappia a destra, a sinistra o al centro.

Con tale contesto, chi parla della necessità di pretendere politici - anche a livello locale - "competenti" non ha idea di ciò che dice.

8.- Comunque, in queste condizioni, è evidente che siffatti parlamentari sono perfettamente inutili: una pletora di abusivi deficitari a caccia di benefici, prebende, profitti, privilegi, vantaggi, alcuni inverosimili e sconcertanti, come i vitalizi (estesi addirittura ai parenti), magari addirittura anche (caso del tutto paradossale ed unico al mondo) a fronte di una apparizione di pochi giorni in aula, coperture assicurative così esagerate ed esorbitanti da suscitare unanime (ma triste) ilarità, con spese e sprechi da sultano troppo effervescente.

Tutto ciò potrebbe ritenersi vada a compensare delle retribuzioni (autoattribuite) particolarmente basse. Ed invece il loro livello appare esorbitante (sopratutto a fronte dell'impegno svolto): parliamo di 230 mila euro annui, cui si sommano anche le somme trasferite ai gruppi politici di Camera e Senato: in totale 53,3 milioni di euro nel 2015 (previsti egualmente per il 2016), nonché 13,8 milioni di euro di rimborsi ai partiti.

9.- Per la verità, la Costituzione stabilisce (art. 69) che "I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita per legge".

Se le parole hanno un senso, indennità significa quel compenso, privo di carattere retributivo, che costituisce "il corrispettivo di spese o danni" (Petrocchi). La radice etimologica (in-demnitas) del resto, non lascia dubbi: si tratta di qualcosa che evita un danno (v. anche: indenne). Nulla a che vedere, dunque con uno stipendio (e tanto meno con un successivo vitalizio...).

Nei lavori preparatori, si specifica, tra l'altro, che deve trattarsi di una somma corrispondente alla media del reddito mensile della maggioranza del popolo italiano, oppure "riferita al trattamento di una categoria di funzionari" (Bulloni).

Seguendo la letteratura di fine '800, si dovrebbe definire la mentalità che ha prodotto simili iperboliche gratificazioni, come quella dell'arricchito incolto, incline allo sfarzo ed allo spreco di risorse troppo facilmente acquisite. Potrebbe essere così, anche se, nel nostro caso, le risorse sono tolte dalle tasche del popolo italiano.

Comunque, si tratta di un modo d'essere diffuso anche a livello locale, dove, per dotare personaggi di tale levatura delle sedi degne, sono stati occupati edifici storici o importanti complessi funzionali, come edifici scolastici, (relegando gli studenti in strutture lontane e scomode). Stabili costruiti in altri tempi, quando valeva il principio che era la cittadinanza il soggetto importante e non chi è da questa incaricato di compiti amministrativi. Nessuna sede comunale, in compenso, ha mai presentato i gravi problemi strutturali e funzionali che oggi si lamentano ovunque per gli edifici scolastici recenti.

10.- Comunque, questa esorbitante cascata di denaro, benefici, favori e utilità varie, ha un suo preciso scopo secondario: costituire uno strumento di pressione psicologica sui candidati i quali, più hanno da perdere, più sono ricattabili.

11.- All'origine di questo sconcertante degrado troviamo il sistema dei partiti, vero fattore inquinante della vita nazionale.

I partiti politici, lungi dal configurarsi come spontanee assemblee di cittadini pensosi dei destini della collettività, nella totale assenza di norme e di trasparenza, si sono strutturati come centri di potere autoreferenziali, caratterizzati da forti gerarchie intestine e da una smodata sete di dominio e controllo.

All'interno dei partiti vige l' "etica tribale" (Settis) della servile venerazione del Capo. Una adorazione ed una riverenza direttamente commisurate con la quantità e qualità dei favori che questi può elargire.

Per garantire la continuità, la carriera interna è prevista per adepti disponibili, collaborativi, malleabili e dotati di capacità di attrarre consenso.

Grazie ad una fitta rete di norme sviluppata nel tempo con una totale padronanza degli organi legislativi, il partito predominante in quel momento, si è insinuato in tutta la vita economica, produttiva, sociale, culturale del Paese, nelle strutture sanitarie, nella Scuola, nei servizi collettivi: ovunque si trovi potere e, con esso, denaro.

Qualcuno, oltreoceano, lamenta che "entrambi i partiti vendono praticamente all'asta gli incarichi di spicco" (Chomsky), ma da noi è molto peggio: il potere dei partiti ha cancellato dalla cultura del Paese il concetto stesso del merito: qualunque incarico pubblico o comunque dipendente in qualche modo dalla politica, è assegnato grazie ad amicizie, collusioni, scambi di favori, compiacenze, e così via. Il crollo generale del livello di qualità, unitamente al connesso strascico di compromessi, cedimenti etici e ripieghi morali, è più che drammatico.

Le posizioni apicali di grandi aziende partecipate vengono affidate a personaggi di dubbia competenza, con esiti catastrofici. Egualmente, nelle ex municipalizzate, colonizzate dal potere politico, si dilatano i compensi e le assunzioni per amici e sodali, con il crollo della qualità dei servizi e l'aumento dei relativi costi per la cittadinanza. Si arriva a consentire che al capitale delle municipalizzate "privatizzate" partecipino società ed enti esteri nelle quali è presente il governo di appartenenza, che viene così a rastrellare profitti fuori territorio.

12.- a. Dall'epoca, poi, dello sbarco alleato in Sicilia, un'ampia porzione della politica è rimasta infiltrata dalla criminalità organizzata (già utilizzata dagli Usa per facilitare lo sbarco), alterandone ulteriormente gli orientamenti e le decisioni, ed allontanandola sempre più dagli obbiettivi del bene comune. Anche a livello locale la malavita, che è in grado di garantire consistenti apporti di voti, è riuscita spesso a controllare i centri decisionali.

A tutto ciò si sommano altresì vecchi centri di potere e le pressioni di potenze straniere, che hanno facile effetto nel corpo molle del malcostume.

Si è così formato un sotterraneo ed invasivo amalgama di poteri associati nel comune intento di sfruttare e spremere il corpo sociale, le cui effettive necessità, nonchè interessi ed obbiettivi, rimangono totalmente accantonate.

In questo contesto, qualcuno ha parlato di corruzione. Ma ciò non è tecnicamente e giuridicamente esatto, poiché è assiomatico che si può corrompere solo ciò che è sano. Il che non è il caso di specie.

b. In questa Europa degli egoismi patriottardi e delle prevaricazioni economiche, non emerge nel nostro Paese una linea politica riconducibile al filo conduttore del comune interesse nazionale.

L'identità nazionale si esprime (anche) nella adozione di linee politiche (normative, sociali, economiche, di politica estera, ecc.) che rappresentino un insieme di riferimento. L'assenza di un orientamento politico di base radicato non solo nella tutela dell'interesse comune ma addirittura nella realtà nazionale, ha spinto all'abbandono del Paese molti imprenditori (che vedono cancellate le ragioni di una scelta) ed i giovani, che non trovano né guida, né tutela, né prospettive, trasformando così il Paese in una terra di nessuno, aperta e colonizzabile da qualunque invasore e priva di un proprio ambito identificativo che nessuno protegge.

13.- Le sopra accennate carenze politiche, a livello di sistema politico-istituzionale democratico, spostano l'attenzione dal problema dell'elettore, che già angustiava Platone perché spesso impreparato e condizionabile, alla selezione invece dei candidati.

Data per scontata l'inderogabile necessità di svincolare totalmente i candidati dai partiti e di una legge che regolamenti questi ultimi in modo rigoroso, restituendoli alla loro dimensione di associazioni dedite allo studio della politica, è necessario ideare un filtro di qualificazione basato sulla verifica dei requisiti morali, intellettuali e motivazionali degli aspiranti.

Una scrematura da effettuare a livello locale, nei luoghi di provenienza, con una selezione popolare (radicata nelle categorie professionali, casalinghe, ecc.), guidata da uno schema di riferimento. In tal modo, verrebbero anche ad emergere i programmi e gli obbiettivi e non le persone. Il Paese non ha bisogno di Capi, ma di idee e di progetti.

Oggi, il divario esistente tra opinione pubblica e scelte politiche, è enorme ed inaccettabile.

In secondo luogo, occorre promuovere la discussione politica vera, quella che è scomparsa perfino all'interno dei partiti, cioè l'approfondimento dei problemi che rallentano o impediscono l'ottimizzazione delle condizioni di vita del Paese.

14.- E' qui opportuna qualche considerazione sui cosiddetti "intellettuali". Quella categoria particolare formata dai "membri assennati" della comunità, che emanano verdetti con "consapevolezza e intelligenza" (Dewey).

Essi sono venerati e glorificati quando si mettono al servizio del potere dominante, ma screditati e isolati quando lo pongono in discussione. Allora diventano degli eretici e dei sovversivi da tacitare e isolare.

Alla prima categoria, previamente popsta sul pulpito con l'attribuzione di uno status privilegiato, è affidato il compito di emanare verdetti per guidare e affinare la visione della cittadinanza, proteggendo il vero interesse pubblico dalle "malefatte" democratiche.

Costituisce ormai prassi consolidata di questa classe di benefattori, creare delle pretese verità (spesso del tutto oppugnabili), aggirando il connesso dibattito semplicemente affermandole in contesti neutri, senza clamore. Lasciato scorrere un poco di tempo, vengono riprese e ripetute più volte , come cose ormai note e pacifiche.

L'ultima nel tempo è comparsa ad opera di un "emerito", il quale sostiene che esistono due democrazie, una rappresentativa (?) ed una popolare (I limiti della democrazia). La prima, e questo è del tutto inedito, sarebbe quella vera e, sopratutto, quella "prevalente" (!?).

Questa affermazione appare chiaramente strumentale e preordinata a delineare un prossimo tentativo di ulteriori svuotamenti di contenuto della sovranità popolare, magari ridimensionando l'istituto del referendum.

Inutile qui richiamare le basi della logica e l'immensa letteratura, giuridica, filosofica, antropologica e sociale che attesta il contrario, basti semplicemente osservare l'evidenza e cioè che è al titolare dell'interesse che spetta decidere in merito, non a chi è stato incaricato di gestirlo temporaneamente. L'incaricato, sopratutto, non può ledere i diritti che amministra.

Da evitare, poi, per fornire un vago supporto alla pretesa preminenza "democratica" dei rappresentanti, di enfatizzare ciò che altri ha già evidenziato e cioè che l'elettore medio non dispone di una dotazione culturale "adeguata".

Si ponga invece a deputati scelti a caso, qualche domandina semplice in tema di storia, geografia, cultura generale, ecc., e si scoprirà allora, come ha già evidenziato qualche divertente inchiesta televisiva, che l'erudizione di questi "rappresentanti" non è affatto superiore a quella dei rappresentati.

Ora, il volumetto sopra citato appare la prosecuzione ideale di una interessante pubblicazione (La crisi della democrazia, 1975) elaborato ad opera ed iniziativa della discussa Commissione Trilaterale e dove si auspica molta "moderazione nella democrazia", (che oggi è "eccessiva"), escludendo dai relativi meccanismi "chi non è ricco, di buona famiglia o politicamente influente" e dando invece ogni spazio ed onore ai "pensatori responsabili e coscienziosi che si dedicano in modo costruttivo a plasmare la linea politica ... e si assicurano che l'istruzione dei giovani segua il suo corso".

Un vero e proprio indirizzo programmatico universale che, a quanto sembra, ha trovato da noi emeriti alfieri.

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