Integrato il reato di sostituzione di persona e non la tentata bigamia per l'uomo sposato che si spaccia per scapolo

di Marina Crisafi - Linea dura della Cassazione contro quei mariti che si spacciano per scapoli per conquistare fidanzate ignare del fatto che a casa li attendono invece moglie e figli. Una simile condotta per gli Ermellini integra il reato di sostituzione di persona piuttosto che la tentata bigamia. Su questo assunto, infatti, i giudici della quinta sezione penale della Suprema Corte (sentenza n. 34800/2016 depositata ieri e qui sotto allegata), non hanno mostrato nessuna indulgenza nei confronti di un uomo che, per conquistare una nuova fiamma, le aveva detto di essere divorziato ed aveva persino creato un falso attestato sul proprio stato di divorziato e sull'annullamento del precedente matrimonio.

La fidanzata ignara insiste allora per trascinarlo all'altare e lui, per evitare scenate ma senza alcuna intenzione di pronunciare un secondo sì, acconsente persino a seguire il corso prematrimoniale. Ma le bugie hanno le gambe corte e la donna, che nel frattempo era in attesa di un figlio dall'uomo, insospettita dai continui rinvii della presentazione dei suoceri e dal fatto che le carte per le nozze tardavano ad arrivare, lo pedina beccandolo mentre usciva dalla casa dove conviveva insieme alla vera moglie e ai figli!

L'uomo finisce così davanti ai giudici per tentata bigamia (oltre che per falso in atti pubblici), ma i fatti vengono riqualificati ritenendo configurabile la fattispecie di sostituzione di persona ex art. 494 del codice penale. E sul punto, anche piazza Cavour non ha dubbi, rigettando la tesi difensiva che sosteneva mancasse il vantaggio previsto dalla norma incriminatrice.

Per la S.C., infatti, "il delitto di sostituzione di persona appartiene al novero dei delitti contro la fede pubblica ma ha natura plurioffensiva, in quanto tutela anche gli interessi del soggetto privato nella cui sfera giuridica l'atto (nel caso l'attribuzione del falso stato) sia destinato ad incidere concretamente". E la nozione di vantaggio, come dimostra l'evoluzione della giurisprudenza, va ben oltre il mero concetto di utilità economica essendo interpretata "in termini piuttosto ampi, ricomprendendo qualunque forma di vantaggio, anche lecito e di natura non patrimoniale". Così, si è ritenuto, afferma la Corte, citando i vari esempi, integrato il reato nella condotta di chi crea un falso profilo sui social network usando l'identità di un altro soggetto al solo fine di avere più contatti (cfr. Cass. n. 25774/2014), e ancora di colui che si attribuisce un falso nome per corrispondere con soggetti che altrimenti non gli avrebbero concesso la loro amicizia (cfr. Cass. n. 36094/2006).

Per cui, concludono dal Palazzaccio, "non si vede per quale motivo possa essere escluso dalla nozione di vantaggio l'avere instaurato o comunque mantenuto per un apprezzabile lasso di tempo una relazione affettiva e di convivenza". Il dolo era rintracciabile, dunque, nella menzogna dell'uomo sul suo stato finalizzata a mantenere una relazione affettiva altrimenti impossibile.

Cassazione, testo sentenza n. 34800/2016

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