È deontologicamente responsabile l'avvocato che non provvede a retribuire il collega direttamente incaricato se non vi provvede il cliente

Avv. Laura Bazzan - Con la sentenza n. 151 del 24.09.2015, pubblicata in questi giorni sul proprio sito (qui sotto allegata), il CNF è tornato a pronunciarsi sulla questione del compenso dovuto al domiciliatario, confermando la propria giurisprudenza sull'art. 43 c.d.f. (già art. 30), che prevede l'obbligo di soddisfare le prestazioni affidate ad altro collega in capo al dominus qualora non vi adempia l'assistito, pena la sanzione disciplinare della censura

La vicenda alla base della pronuncia vede coinvolto un avvocato del foro di Roma il quale, ricevuto mandato dal proprio assistito, aveva provveduto a nominare una corrispondente del foro di Tivoli e, ottenuta sentenza favorevole in materia di lavoro con condanna alle spese, richiedeva ed otteneva dalla domiciliataria la copia integrale del provvedimento, salvo "dimenticare" il pagamento delle competenze della stessa pur avendo nel frattempo ottenuto, per mezzo della cessione del credito, il completo soddisfacimento delle proprie spettanze sulla base del dispositivo.

Ritenendo provata la circostanza che il rapporto professionale tra dominus e corrispondente fosse stato instaurato a seguito della richiesta del primo, e riscontrata l'impossibilità della stessa corrispondente di formulare una richiesta diretta al cliente a causa della scarsità dei dati anagrafici in suo possesso, il CNF ha confermato la decisione del Consiglio territoriale sulla responsabilità deontologica dell'avvocato romano per la violazione degli artt. 30 e 22 c.d.f. per non aver remunerato la domiciliataria e non essersi attivato per il suo pagamento da parte del cliente, curando esclusivamente il soddisfacimento delle proprie competenze e ponendo in essere un comportamento scorretto e sleale nei confronti della collega con l'omissione di ogni informativa rispetto all'intervenuta cessione di credito. Invero, "l'art. 30 del previgente codice deontologico, il cui precetto è stato trasfuso nell'attuale art. 43, impone all'avvocato che abbia scelto o incaricato direttamente altro collega di esercitare funzioni di rappresentanza o assistenza, di provvedere a retribuirlo, ove non adempia il cliente.
L'art. 30 previgente consentiva all'incolpato di discolparsi ove dimostrasse di essersi attivato perché il cliente adempisse, eventualmente postergando il suo credito: dimostrazione che l'avv. […] non ha dato. L'art. 22 c.d.f. previgente, il cui contenuto è stato trasfuso nell'attuale art. 19, indica la correttezza e la lealtà quali principi ispiratori del comportamento con i colleghi
".
Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 24 settembre 2015, n. 151

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