Ecco perché l'astensione non dovrebbe essere considerata espressione di voto

Interrogandosi sul significato democrazia, Piero Calamandrei aveva scritto che prima di tutto essa ha a che fare con la fiducia del popolo nelle sue leggi e per questo occorre che "il popolo senta le leggi dello Stato come le sue leggi, come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall'alto".

E senza dubbio uno dei principali strumenti per far sentire il popolo protagonista di una democrazia diretta dovrebbe essere proprio il referendum.

Nei giorni scorsi avevo già evidenziato alcune criticità riferite al tecnicismo dei quesiti referendari che spesso rendono poco agevole per i cittadini comprendere il senso stesso delle domande (Vedi: Referendum: vota si per dire no e vota no per dire si!). Vorrei ora soffermarmi su un altro aspetto particolarmente delicato: il quorum, ossia il numero minimo di elettori che devono partecipare al voto perché il referendum sia valido.

E' l'articolo 75 della costituzione a stabilire tra le altre cose che "La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi".

Una norma che i padri costituenti non avrebbero mai immaginato potesse portare a quell'uso distorto che se ne sta facendo oggi quando si strumentalizza l'assenteismo trasformando esso stesso in una dichiarazione di voto.

In questi giorni, alla luce dell'esito delle votazioni di domenica 17 aprile, politici e giuristi, ma anche comuni cittadini, si stanno interrogando sulla reale utilità delle consultazioni referendarie. Il dibattito raccoglie numerosi spunti di riflessione che sono stati messi a fuoco anche dalle osservazioni e dalle polemiche che hanno preceduto il voto.

Non voglio entrare nel merito della consultazione elettorale sulla quale sono stati chiamati ad esprimersi gli italiani, ma è innegabile che l'esito del referendum è un dato da interpretare ed analizzare con profonda attenzione, senza compiere l'errore di cadere in giudizi troppo frettolosi e fuorvianti.

Ciò che vorrei sottolineare è che il voto referendario italiano è condizionato in modo inequivocabile dal quorum e dall'uso distorto che il mondo politico ne sta facendo. Il fatto che per la validità del referendum sia necessaria la partecipazione del 50% + 1 degli aventi diritto (questo è scritto in costituzione) non significa che se non si raggiunge il quorum, chi non si presenta al seggio va considerato come un sostenitore del "No" a prescindere dalla sua reale posizione.

Nessuno può stabilire a priori se la scelta di astenersi dal voto sia veramente da ritenersi una manifestazione di contrarietà rispetto all'abrogazione di una norma oggetto del voto o abbia a monte altre legittime motivazioni.

L'impossibilità di recarsi alle urne, la disaffezione rispetto a qualsiasi iniziativa che derivi dalla politica, il disinteresse rispetto al tema preso in esame, la disinformazione e la poca chiarezza della formulazione del quesito referendario, ma anche la scelta di restare neutrali e astenersi dal voto, sono tutte motivazioni che possono contribuire in modo sostanziale a determinare la scelta di un cittadino di non partecipare al voto.

Oltretutto non sono state poche le anomalie che anno caratterizzato quest'ultimo referendum. La scelta di utilizzare la prima data utile ha limitato a due sole settimane la campagna referendaria, i canali televisivi non hanno dato adeguato spazio a dibattiti sul tema e gli italiani non hanno avuto il tempo di maturare il proprio consapevole convincimento. A urne aperte si è poi diffusa, non si sa come, la notizia che il referendum riguardasse solo le regioni costiere.

Non nascondo di aver provato disappunto nel constatare che alcuni politici piuttosto che invitare ad esprimere un voto in piena libertà, hanno invitato espressamente gli elettori a non presentarsi ai seggi per esprimere in questo modo la contrarietà all'oggetto del referendum.

Seguendo questo ragionamento fino in fondo appare chiaro che l'espressione di un voto contrario viene svuotata del sua importanza, così come il diritto al voto (che non viene più presentato come un dovere civico), mentre viene attribuito valore all'astensionismo.

Se proviamo però ad uscire fuori dai confini nazionali, ci accorgiamo che in altri paesi europei il referendum si basa su regole profondamente diverse.

In molti casi il quorum è più basso rispetto al 50% previsto in Italia e la percentuale può variare in base alla natura del referendum: si può passare dall'azzeramento totale del la soglia, così come è stabilito in Svizzera, fino a 75% previsto in Lituania per importanti decisioni che riguardano la sovranità.

In genere, tuttavia, il quorum è più basso del 50% perché molti paesi considerano ingiusto che una moltitudine di disinteressati e disinformati possa decidere, grazie alla propria astensione, anche per chi invece si è fatto un'idea chiara sull'oggetto del quesito referendario.

Una percentuale del quorum alta viene stabilita invece se si vuole rimarcare l'importanza di una consultazione, in modo da creare una certa mobilitazione intorno al voto.

Ma non si tratta di una mera questione di percentuali. Il problema è che trasformare l'astensione in uno strumento di voto rischia di minare le fondamenta della democrazia.

Per questo forse aveva ragione il filosofo francese Jacques Maritain quando scriveva che "La tragedia delle democrazie moderne è che non sono ancora riuscite a realizzare la democrazia".

Roberto Cataldi


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