Un'analisi della disciplina della responsabilità civile del medico veterinario alla luce della recente giurisprudenza

Avv. Emanuela Foligno - Il veterinario, risponde, al pari dei medici che curano gli umani, di errata diagnosi, negligenza, imperizia e imprudenza.

Più in particolare, la responsabilità civile del veterinario è inquadrata in quella del prestatore d'opera disciplinata dall'art. 2236 c.c. il quale recita che: "Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave."

Ne deriva che il medico risponderà solo quando il suo operato sia intenzionalmente negligente o imperito nel causare un danno, oppure sia causato da un comportamento gravemente colposo. Nel caso, invece, di interventi routinari e privi di particolari difficoltà, il veterinario risponderà anche per colpa lieve.

Dopo aspri scontri tra dottrina e giurisprudenza si è approdati alla teoria che la responsabilità gravante sul veterinario, e per la quale lo stesso deve rispondere nei confronti del proprietario di un animale, è di tipo contrattuale.

Proprio per questa ragione dal 2012 i medici veterinari sono obbligati a contrarre un'assicurazione per i danni derivanti dall'esercizio professionale.

La responsabilità contrattuale ascritta a questa categoria di professionista comporta che il danneggiato (rectius, proprietario dell'animale), per domandare il ristoro dei danni subiti dal veterinario, deve rispettare il termine prescrizionale di dieci anni dall'evento. Il danneggiato, inoltre, per provare il suo diritto, deve dimostrare unicamente l'esistenza del rapporto giuridico e il danno. Spetta, invece, al veterinario provare che l'inadempimento, l'errore, o la colpa non è a lui imputabile. In altri termini il veterinario deve provare di avere agito con diligenza e perizia.

Pacifico dunque che il rapporto che lega il veterinario al cliente è di natura contrattuale, indipendentemente dalla sottoscrizione di un contratto in forma scritta.

Ad ogni modo si tratta di un contratto d'opera intellettuale e la prestazione veterinaria è generalmente inquadrabile tra le obbligazioni di mezzi.

Ovvero, il veterinario non risponde del raggiungimento di un risultato (ad esempio la guarigione), ma dell'osservanza dello standard di diligenza di riferimento. E la diligenza si valuta, come noto, avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata. Non devono verificarsi circostanze particolari, è sufficiente che il proprietario dell'animale contesti la mancata o inesatta prestazione del Medico.

Vi sono, però, anche aspetti di responsabilità extracontrattuale in capo al veterinario: si pensi ad esempio al caso di un animale che, sotto la custodia del veterinario, cagioni danni ad un terzo soggetto. In questo caso non vi è alcun rapporto obbligatorio preesistente tra il medico e il danneggiato, ma si configura una classica fattispecie di responsabilità aquiliana per danni a terzi. Il risarcimento di questo tipo di danno è un obbligo generico per il quale il danneggiato deve provare il danno, la colpa del medico ed il nesso di causalità tra l'azione colposa del medico ed il danno subito.

La tematica dell'animale in custodia al veterinario rientra, quindi, nell'alveo dell'art. 2052 c.c., ciò significa che il professionista è responsabile anche degli animali che ha in custodia e risponde di eventuali danni da questi causati verso terzi.

Le casistiche portate alla decisione dei tribunali hanno registrato numerosi casi in cui il veterinario presta la propria attività professionale in una struttura. Gli organi giudicanti hanno dovuto affrontare tale problema domandandosi se in tali casi sia responsabile solo il veterinario o anche la struttura.

In questi casi i profili di responsabilità sono più complessi. Il proprietario dell'animale/cliente instaura un rapporto sia con il professionista, sia con la struttura che mette a disposizione lo spazio, le attrezzature e l'assistenza. Ne deriva che in caso di errore del veterinario, sussiste oltre alla responsabilità contrattuale dello stesso, anche la responsabilità oggettiva della struttura (come nella medicina umana).

Ulteriori casistiche portate all'attenzione dei giudicanti hanno riguardato l'informazione e il consenso. Molto spesso, infatti, le vicende che approdano nei tribunali trattano di episodi in cui il proprietario dell'animale non è stato pienamente informato dei rischi, delle complicanze e delle conseguenze sia post-operatorie, che dei trattamenti strumentali o farmacologici che il veterinario pone in essere sull'animale.

Al riguardo bisogna evidenziare che l'art. 29 del codice deontologico dei medici veterinari, obbliga gli stessi a fornire un consenso informato al proprietario dell'animale. Nella realtà, però, ciò non avviene.

La mancata informazione e la mancata sottoscrizione del consenso informato sono cause di responsabilità contrattuale. Da evidenziare anche che l'assenza del consenso informato è causa di responsabilità deontologica anche se la prestazione sanitaria non ha avuto esiti infausti.

Per quanto concerne il risarcimento del danno causato dal veterinario, nell'ultimo quinquennio si sono registrate numerose pronunzie di merito e di legittimità che hanno riconosciuto al proprietario dell'animale anche il risarcimento del danno morale per la perdita dell'animale d'affezione.

Tale circostanza, è in controtendenza al diktat delle Sezioni Unite n. 26972/2008, le quali hanno ritenuto, come arcinoto, che nell'alveo del danno non patrimoniale il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati, risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E che deve essere il Giudicante ad accertare l'esistenza del pregiudizio lamentato individuando quali ripercussioni negative sul "valore" uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. In particolare, con riferimento al danno non patrimoniale da morte di un animale da affezione, la citata pronunzia ha escluso che si configuri la lesione di un diritto inviolabile della persona, non ammettendone pertanto il risarcimento.

I primi discostamenti dalle Sezioni Unite si registrano già nel 2009, Tribunale di Rovereto, sentenza 18/10/2009, in un caso disancorato dalla responsabilità del veterinario, ove è stato statuito che la perdita dell'animale domestico è un danno non patrimoniale risarcibile e che la tutela dell'animale d'affezione è dotata di un valore sociale che la eleva al rango di un diritto inviolabile.

Al riguardo della specifica tematica della responsabilità del veterinario, è interessante la pronunzia di merito (Tribunale di Milano, Sezione V, del 20/7/2010) ove sono stati analizzati due aspetti giuridici originati dall'imprudente comportamento di un Medico Veterinario che ha effettuato un intervento chirurgico su un animale affetto da tumore che è deceduto a seguito dell'intervento.Per quanto qui di interesse, il secondo aspetto giuridico trattato era inerente il risarcimento del danno esistenziale per la perdita dell'animale d'affezione. Il Tribunale ha rigettato la relativa domanda aderendo, appunto, all'indirizzo delle Sezioni Unite sul danno esistenziale, ma ha concluso per il riconoscimento di un altro aspetto del danno non patrimoniale, ovvero il danno morale.

E così a seguire, altri Giudici di merito (G.d.P. di Dolo 2014) hanno condannato il veterinario al risarcimento del danno morale per la perdita dell'animale precisando che " la legge riconosce il legame particolare che si instaura tra animale e padrone: il loro rapporto rientra in quelle attività, garantite dalla Costituzione, attraverso le quali si realizza la persona. Qualora questo tipo di legame affettivo si spezzi per colpa altrui, si viene quindi a legittimare un risarcimento anche dei danni morali subiti dal padrone."

Singolare e interessante, la sentenza del Tribunale civile di Milano (Sezione X, 1 luglio 2014, Giudice Spera), resa sempre per una problematica di responsabilità civile del veterinario, ha riconosciuto il danno morale alla proprietaria dell'animale ed ha sorprendentemente stabilito che le cure per spese veterinarie rilevano solo ai fini del ripristino del rapporto affettivo con l'animale.

La Corte d'Appello di Roma (27 marzo 2015) in un caso di diagnosi errata ha condannato il Veterinario anche al ristoro del danno morale e ha considerato che " la relazione tra cane e padrone è un legame affettivo a tutti gli effetti…..(..)… e non si può considerare futile la perdita dell'animale poiché va a ledere la sfera emotivo-interiore del padrone".

Ed ancora, il Tribunale di Genova (11 gennaio 2016) ha condannato il veterinario per un caso di zoppìa ad un cane provocata da un intervento chirurgico, a versare al proprietario dell'animale l'importo di 4.500 euro a titolo di danno morale.

Pacifico, dunque, che come per gli errori commessi in "medicina umana", anche per quelli commessi in "medicina veterinaria" vi è la tutela risarcitoria per il proprietario dell'animale nei confronti del Veterinario, della struttura in cui lo stesso esercita, a titolo patrimoniale e non patrimoniale.

Egualmente pacifico che la condizione di "res" dell'animale, come classificato dal codice civile, è superata. Conseguentemente, di qui a breve, si verificherà senz'altro che anche i medici veterinari adotteranno i comportamenti della cosiddetta "medicina difensiva".


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