Le esimenti della reciprocità e della provocazione, stante l'atteggiamento 'violento' della parte offesa, possono valere come cause di non punibilità

di Lucia Izzo - Il giudice può dichiarare non punibile chi si rivolge in maniera ingiuriosa nei confronti di persona che si rivela troppo insistente. 

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 50743/2015 (qui sotto allegata) sul ricorso di un politico condannato per ingiuria ai danni di un giornalista che tentava in maniera aggressiva di "strappargli" un'intervista. 

La vicenda vedeva l'imputato, al tempo assessore, pronunciare nei confronti del giornalista l'epiteto "pezzente".


L'evento si svolgeva in due fasi: in un primo momento la parte offesa aveva cercato di intervistare il Presidente della Giunta regionale, ma era stato allontanato da due agenti della Digos dall'autovettura sulla quale si trovava anche il ricorrente.

In una seconda fase, mentre la polizia controllava i documenti del giornalista, costui era stato apostrofato come pezzente dall'imputato.


Tuttavia, la difesa evidenzia che il giudice di merito avrebbe erroneamente escluso nella vicenda la sussistenza della reciprocità e della provocazione.

Infatti, l'ingresso del giornalista nell'aula del Consiglio Regionale avrebbe provocato momenti di forte tensione, stante anche la successiva condotta di costui che avrebbe impedito al Presidente di allontanarsi con l'auto, giungendo a strattonare l'autista. 

Inoltre, il giornalista avrebbe in primis etichettato alcuni politici, tra cui l'imputato e un consigliere, come "scagnozzi". 


Per gli Ermellini, le doglianze circa l'applicazione dell'esimente ex art. 599 c.p. meritano accoglimento stante l'aggressiva insistenza per intervistare manifestata dalla parte offesa. 

Il frazionamento dell'episodio operato dall'impugnata sentenza, che vi ha colto due fasi distinte, interrotte dall'intervento degli agenti della Digos che avrebbero allontanato il giornalista dal veicolo e secondo cui era stato proprio l'imputato

ad innescare una nuova situazione di tensione, non trova conferma alla luce degli altri elementi risultanti dalla medesima sentenza per giustificare la conclusione dell'insussistenza delle cause di non punibilità invocare dall'imputato.


I giudici di Cassazione chiariscono che circa l'esimente della reciprocità di cui al primo comma dell'art 599 c.p. "non è necessario un rapporto di immediatezza delle accuse pur essendo richiesto che tra le stesse intercorra un evidente nesso di dipendenza nel senso che il secondo offensore offende solo perché il primo ha precedentemente offeso". 

Invece, circa l'esimente della provocazione, "il fatto temporale deve essere interpretato con elasticità, non essendo necessaria una reazione istantanea, fermo restando che l'immediatezza della reazione rispetto al fatto ingiusto altrui rende più evidente la sussistenza dei presupposti di tale circostanza attenuante". 


In tale cornice il mero intervento degli agenti e l'operato allontanamento dall'autovettura che trasportava il Presidente della Regione non valgono, sul piano logico, ad interrompere in sé il nesso tra le condotte del giornalista e quelle dell'imputato, e non soltanto visto il contenutissimo arco temporale in cui entrambe sono state poste in essere. 


Infatti, il modo con il quale giornalista ha insistito nella sua condotta, nonostante l'evidente rifiuto del politico di rispondere, utilizzando la violenza fisica posizionandosi tra la portiera e l'autovettura è elemento che emerge dalle testimonianze assunte. 

Se la condotta fosse rimasta nei binari dell'energico e legittimo esercizio del diritto di acuisire informazioni di rilievo pubblico, non si comprenderebbero le ragioni dell'intervento degli agenti della Digos.


Pertanto, la sentenza va annullata e si impone un adeguato approfondimento da parte del giudice di rinvio, anche in ragione all'esplicito nesso causale tra tale condotta e il successivo intervento dell'imputato che rimproverava al giornalista proprio il fatto di "mettere le mani addosso alla gente". 

Cass., V sez. penale, sent. 50743/2015

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