L'articolo 191 del codice di procedura penale dispone che le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.

Prova inutilizzabile art. 191 c.p.p.

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Elemento centrale nel dibattimento penale è la prova; corollario fondamentale è che essa non è precostituita, cioè essa non può essere tale, salvo specifici casi, prima dell'apertura del dibattimento. L'articolo 191 del codice di rito ("Prove illegittimamente acquisite") dispone che: le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.

Questa norma, introdotta con il Codice Vassalli del 1988, colma una lacuna mediante la quale, nel codice previgente, le prove illegittimamente acquisite, attraverso la sanatoria della nullità, riacquistavano valore nel processo; nel 1973 la Corte Costituzionale, con sentenza numero 34 aveva sottolineato il rischio della mancanza di una specifica normativa, rischio superato con l'attuale apparato normativo; nonostante ciò è lecito osservare che, il contributo dato dalla Corte Costituzionale, pur avendo colmato un vuoto legislativo non ha escluso assolutamente la categoria della nullità, facendo sì che entrambi gli istituti, che riguardano aspetti patologici degli atti, rimangano distinti correndo quindi su piani paralleli. In riferimento a ciò particolarmente importante è quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, con sentenza 5021 del 16 maggio 1996, hanno stabilito che le nullità si riferiscono esclusivamente all'inosservanza di formalità riguardanti l'assunzione della prova, mentre l'inutilizzabilità presume una prova vietata oggettivamente, ovvero vietata perché inosservante della procedura acquisitiva e quindi conseguentemente al di fuori del processo.

Nullità e inutilizzabilità

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La distinzione tra l'istituto della nullità e quello dell'inutilizzabilità è fondamentale, in quanto un atto nullo, laddove sia sanato, è produttivo di effetti; mentre per gli atti inutilizzabili si esclude valore probatorio in ambito processuale.

A tal proposito è importante sottolineare che l'inutilizzabilità va a colpire non solo le prove oggettivamente vietate, come per esempio quelle acquisite "fuori dai casi previsti dalla legge" così come statuito dall'articolo 271 del codice di procedura penale, ma l'inutilizzabilità si riferisce anche ad in vizio grave che riguarda il procedimento di formazione della stessa prova; mentre per quanto riguarda la nullità, secondo quanto è stato sancito dalle Sezioni Unite con la citata sentenza

n. 5021/1996 e ribadito con pronuncia n. 36747/2003, la nullità è idonea a colpire, in virtù del principio di tassatività, quegli atti che siano il risultato dell'inosservanza delle formalità di assunzione della prova, senza però che il procedimento di formazione della prova stessa, sia fuori dal processo.

Inutilizzabilità assoluta e relativa

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Due sono le tipologie di inutilizzabilità: quella assoluta e quella relativa.

La prima comporta che l'atto sia inutilizzabile al punto che esso è inadeguato da un punto di vista probatorio in ogni fase e grado del procedimento e del processo ed è rilevabile d'ufficio. Particolarmente importante è la sentenza della I Sezione della Corte di Cassazione, mediante la quale gli Ermellini hanno statuito che: "l'istituto della inutilizzabilità di cui all'articolo 191 c.p.p. è posto a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove illegittimamente acquisite contro divieti di legge, quindi in danno del giudicabile vale a dire come prova a carico. Tale istituto pertanto in tutte le sue articolazioni non può essere applicato per ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri alla funzione giurisdizionale".

Per quanto concerne invece la cosiddetta inutilizzabilità relativa essa si riferisce agli atti delle indagini preliminari aventi la finalità di formare il convincimento durante il procedimento, durante l'udienza preliminare e nel rito speciale dell'abbreviato, del patteggiamento e nel procedimento per decreto penale.

Fonti di prova

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Alla luce di quanto esposto pare ovvio che tutto ciò che è acquisito nella fase pre-dibattimentale non ha valenza probatoria e quindi ciò che è acquisito lo è a titolo di fonti di prova.

Nonostante ciò, il legislatore attraverso l'applicazione dell'articolo 431 ("Fascicolo per il dibattimento") e 493, III comma ("Richieste di prova") del codice di rito, concede al difensore la possibilità di elevare le fonti di prova a prova attraverso l'acquisizione nel fascicolo dibattimentale degli atti contenuti nel fascicolo del p.m., consentendo quindi, in sede dibattimentale la formazione della prova stessa.

Inoltre è lecito osservare che, secondo quanto statuito dagli artt. 431 e 512 c.p.p., alcuni atti, formatisi nel corso delle indagini preliminari, assumono un valore di prova laddove siano ab origine irripetibili ovvero siano divenuti tali, come per esempio le dichiarazioni rese dai testi della Polizia Giudiziaria ovvero dal Pubblico Ministero dopo le contestazioni dibattimentali.

Fascicolo del difensore

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Una particolare attenzione merita il cosiddetto fascicolo del difensore, ossia quell'insieme di atti che lo stesso difensore, che sia di fiducia ovvero d'ufficio, raccoglie per le investigazioni difensive.

Tale fascicolo, una volta espletate le attività ritenute necessarie per la difesa, viene inserito nel fascicolo del Pubblico Ministero e gli atti, ai sensi dell'articolo 391-octies c.p.p. ("Utilizzabilità della documentazione delle investigazioni difensive"), sono utilizzabili nelle indagini, nella decisione dell'udienza preliminare ai fini della decisione nel rito del decreto penale, nel rito abbreviato e nel patteggiamento; nonché, in virtù degli artt. 500, 512 e 513 del codice di rito in sede dibattimentale.


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