di Valeria Zeppilli - Le attribuzioni patrimoniali in favore del convivente "more uxorio" rappresentano in via generale adempimento di un'obbligazione naturale, in quanto tale non ripetibile: anche le unioni di fatto non caratterizzate dal vincolo matrimoniale, infatti, danno luogo a obblighi reciproci di natura morale e sociale, anche a carattere patrimoniale, tra i soggetti coinvolti.
Può tuttavia accadere che tali attribuzioni travalichino i principi di proporzionalità e adeguatezza.
Orbene, in tale ipotesi il convivente può legittimamente esperire l'azione generale di arricchimento senza causa: questa, infatti, ha come presupposto un'ingiustificata locupletazione di un soggetto ai danni di un altro, in conseguenza anche dell'adempimento di un'obbligazione naturale.
Su tali presupposti il Tribunale di Treviso, con la sentenza numero 258/2015 (qui sotto allegata) ha condannato una donna a restituire all'ex compagno le somme di denaro da questo corrispostele per la ristrutturazione dell'immobile nel quale essi avevano convissuto.
Se, infatti, le somme a titolo di rate di mutuo e spese condominiali, anche esse versate dall'attore, devono essere considerate spese destinate a soddisfare le comuni esigenze di vita, indispensabili per fronteggiare gli oneri abitativi di entrambi i partner e, in quanto tali, irripetibili, lo stesso non può dirsi per le somme esborsate per migliorare e incrementare, attraverso la ristrutturazione, il valore del bene di proprietà della donna ex convivente: esse non sono in alcun modo strumentali alle concrete esigenze quotidiane della coppia, ma riversano i loro benefici esclusivamente nel patrimonio della convenuta.
In quanto tali, vanno restituite.
Tribunale di Treviso testo sentenza n. 258/2015