La Cassazione dice no all'aumento dell'assegno di mantenimento a carico del padre se la figlia rifiuta arbitrariamente l'offerta di ospitalità

di Marina Crisafi - Nessun dovere per il genitore di mantenere alla figlia universitaria fuori sede l'affitto per un alloggio, se la stessa rifiuta solo per capriccio la comoda sistemazione offerta dal nonno abitante nella stessa città. Lo ha stabilito la prima sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 16903 depositata il 19 agosto 2015 (qui sotto allegata), rigettando il ricorso di una madre avverso la pronuncia della Corte d'Appello che riformava in peius l'assegno di mantenimento (da 400 a 262 euro mensili), posto a carico del padre a favore della figlia maggiorenne, studentessa universitaria in altra città.

La donna ricorreva in Cassazione per sentir affermare le proprie ragioni, ma dal Palazzaccio arriva solo la conferma di quanto dichiarato dalla corte territoriale.

Non solo, infatti, il ricorso è inammissibile, hanno statuito gli Ermellini, perché proposto dalla madre non legittimata ad impugnare, in quanto non era stata fornita la prova della convivenza della figlia maggiorenne e non autosufficiente (la quale pur intervenendo autonomamente era rimasta contumace sul punto della riduzione del contributo di mantenimento), ma lo è anche sotto altri profili.

Le censure mosse tendono infatti ad una difforme interpretazione della decisione della Corte d'Appello, ha rilevato la S.C., che non perde l'occasione di "bacchettare" i capricci della ragazza, la quale aveva rifiutato senza un valido motivo "la soluzione di un alloggio gratuito, dignitosa ed adeguata" offerta presso il nonno paterno.

Per cui il mancato riconoscimento del contributo anche per le spese di alloggio è il frutto di una valutazione di merito, non viziata da illogicità e dunque insindacabile in sede di legittimità, posto che la Corte ha solo evidenziato la praticabilità di una soluzione "alternativa, dignitosa e ragionevole, offerta dal nonno".

Né ciò rappresenta il mancato riconoscimento in astratto di una spesa connessa con il diritto allo studio della giovane, diritto che per contro è stato espressamente affermato dalla Corte d'Appello.

Ha perfettamente ragione, dunque, il giudice di merito, nell'affermare che la spesa per il canone di locazione di un alloggio non poteva annoverarsi né tra quelle straordinarie, in quanto "voce rientrante nel costo della vita quotidiana della giovane", né tra quelle ordinarie, a carico dei genitori, giacché alcun contributo era dovuto dagli stessi per fronteggiarla, "alla luce della prospettata possibilità di alloggio gratuito presso il nonno paterno, che la giovane non poteva arbitrariamente rifiutare".

Pertanto, ricorso dichiarato inammissibile e ricorrente condannata alle spese.

Cassazione, sentenza n. 16903/2015

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