Commento alla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 21 luglio 2015 n. 31617

di Avv. Marcella Ferrari - Le Sezioni Unite della Cassazione nella pronuncia n. 31617 del 21 luglio 2015 hanno statuito l'ammissibilità della confisca anche nel caso di intervenuta prescrizione ed hanno affermato che se il prezzo o il profitto è costituito da denaro, la confisca si intende diretta (non già per equivalente) e non occorre dimostrare il vincolo di pertinenzialità tra la res ed il reato. 

Questo in estrema sintesi è il portato dell'articolata decisione della Suprema Corte che, in quarantacinque pagine, ripercorre mirabilmente l'istituto della confisca, i vari orientamenti dottrinari, la giurisprudenza CEDU e quella costituzionale.

La questione centrale, rimessa alle S.U., risiede nell'ammissibilità della confisca diretta a seguito della sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato

Al punto 12 della sentenza si afferma che la confisca del prezzo del reato è ammessa purché «si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell'imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato»

Andiamo con ordine.

La vicenda scaturisce da un reato di corruzione e dalla confisca delle somme contenute sul conto correntedisposta ex art. 322 ter c.p.

Le questioni sollevate dal giudice remittente si possono così riassumere:

  • se sia possibile disporre la confisca del prezzo del reato malgrado manchi una sentenza di condanna;
  • se la confisca del denaro su conto corrente debba qualificarsi come diretta o per equivalente;
  • se, nel caso di confisca diretta, debba cercarsi un nesso di pertinenzialità tra il denaro ed il reato.

Il giudice rimettente sottolinea come la giurisprudenza ammetta la confiscabilità dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato prescritto solo nel caso in cui si tratti di confisca diretta mentre la esclude per la confisca per equivalente stante la sua natura sostanzialmente sanzionatoria. La confisca per equivalente, infatti, prescinde dalla valutazione sulla pericolosità della res e si pone come obiettivo di impedire al reo di godere le utilità che questi ha tratto dalla sua condotta delittuosa. Essa interviene in via residuale, solo ove non sia possibile la confisca diretta ed è irrilevante il nesso eziologico tra i beni confiscati ed il fatto di reato. Proprio da queste caratteristiche si evince la natura sanzionatoria di tale tipologia di confisca e la non applicabilità retroattiva della stessa[1]. Un'ulteriore conseguenza discendente dalla natura di sanzione penale della confisca per equivalente consiste nella non ammissibilità in caso di mancanza di sentenza di condanna. Ai fini della configurabilità della confisca, infatti, è necessaria la condanna, in quanto ad essa non sono applicabili le norme in materia di misura di sicurezza personali, in particolare gli artt. 200, 210 e 236 c.p.

La Suprema Corte, nel percorso argomentativo affrontato per dirimere le questioni sottoposte al suo vaglio, richiama la sentenza "Carlea" del 1993[2]. In essa viene ricostruita la disciplina applicabile alla confisca. In particolare, si rileva come l'estinzione del reato non impedisca, di per sé, l'applicazione della misura di sicurezza, alla fine però si sottolinea che l'art. 240 c.p. richiede espressamente la condanna, pertanto, in questo caso la confisca non può disporsi se il reato è estinto.

Un'altra significativa pronuncia in materia, richiamata dalle Sezioni Unite, è la sentenza "De Maio" del 2008[3]in quanto riguarda una fattispecie corruttiva come quella oggetto della presente disamina. Nel caso di specie, era intervenuta la confisca di una somma di denaro sequestrata come prezzo del reato, benché fosse intervenuta l'estinzione per morte del reo. La Corte afferma la liceità della confisca giacché, in virtù dell'art. 236 c. 2 c.p., non è applicabile alle misure di sicurezza patrimoniali l'art. 210 c.p. che preclude l'applicazione delle misure di sicurezza personali in caso di estinzione del reato. La conclusione della Corte però, anche questa volta, è nel senso della confiscabilità solo a seguito della pronuncia di condanna. Pur tuttavia nella sentenza De Maio la Suprema Corte sottolinea come la legge processuale ammetta la possibilità di disporre la confisca anche in caso di sentenza di non luogo a procedere (art 425 c.p.p. e art. 578 c.p.p.). Si sottolinea, altresì, come nelle leggi speciali vi siano casi di confisca senza condanna. Si pensi alla lottizzazione abusiva[4] che può essere disposta purché il giudice accerti il reato senza necessità di un giudicato formale. Un' altra ipotesi è quella del reato di contrabbando[5] in cui la confisca è configurabile anche nel caso di prescrizione purché non venga escluso il rapporto tra la res ed il reato. 

Nel suo percorso delibativo, la Suprema Corte, oltre alla giurisprudenza pregressa, richiama anche una sentenza costituzionale[6] in cui la Consulta afferma che la categoria delle sentenze di proscioglimento comprende pure le pronunce che comportano un «sostanziale riconoscimento della responsabilità dell'imputato o l'attribuzione del fatto all'imputato stesso» come quelle di intervenuta prescrizione

Pur sposando la tesi "no condanna - no confisca", i giudici di Piazza Cavour richiamano il principio espresso da Vincenzo Manzini nel suo "Trattato di diritto penale", per cui "è immorale che il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godere il denaro per il quale ha commesso l'illecito"[7]. Lo scopo della previsione della confisca, infatti, consiste proprio nell'impedire che "delinquere paghi". 

I giudici rilevano come dopo la sentenza De Maio si siano registrati ulteriori contrasti in materia.

Un orientamento maggioritario accoglie la posizione delle Sezioni Unite del 2008 ed ammette la confisca, a seguito di dichiarazione di estinzione del reato, solo allorché la legge non richieda espressamente la condanna per la sua applicazione. Tale posizione viene ribadita anche a seguito dell'intervento della Corte EDU[8] la quale, in virtù del principio di legalità, esclude interpretazioni estensive o analogiche delle norme a detrimento dell'imputato. In particolare, la Corte di Strasburgo interpreta tassativamente il concetto di condanna come presupposto per l'applicazione del provvedimento ablatorio.

Un indirizzo minoritario, invece, si discosta dall'interpretazione convenzionalmente orientata di cui sopra, facendo leva sulle numerose ipotesi contemplate nelle leggi speciali che consentono la confisca anche al di fuori dell'emanazione di una sentenza di condanna; tale orientamento ammette la confiscabilità della res a prescindere dalla presenza di un giudicato formale, purché sia accertata la responsabilità del reo. In particolare, si è affermato che il giudice disponga dei poteri di accertamento del fatto di reato limitatamente all'applicazione della misura di sicurezza. Lo scopo precipuo della confisca consiste nel contrastare il crimine organizzato ed in ragione di ciò numerose norme extra-codicistiche consentono di aggredire i patrimoni illeciti; a fortiori, dunque, deve ammettersi, alle stesse condizioni, anche la confisca codicistica. In tal senso, si è argomentato nella sentenza Ciancimino[9]: il concetto di condanna a cui allude la norma, secondo i giudici, non deve intendersi come appartenente alla categoria del giudicato formale ma come un concetto equivalente, espressione dell'accertamento del reato.

Proprio sul concetto di condanna si è pronunciata la Corte di Strasburgo, sebbene limitatamente alle ipotesi di confisca conseguenti al reato di lottizzazione abusiva. La Corte di Cassazione, in materia, si è sempre espressa nel senso dell'ammissibilità della confisca anche in presenza di una causa estintiva del reato purché sia accertata la lottizzazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo (accertamento che non deve necessariamente concretarsi in una sentenza di condanna). La Corte EDU ha ritenuto che la confisca urbanista di cui si tratta abbia natura penale e che sia soggetta al principio di legalità espresso dall'art. 7 della CEDU. La Corte europea ha posto l'accento sulla "truffa delle etichette" circa la qualificazione come amministrativa della confisca de qua dichiarandola, invece, sanzione penale a pieno titolo. Secondo i giudici di Strasburgo, non è concepibile che un soggetto assolto subisca una pena, in quanto la pena postula la colpevolezza. Sulla medesima norma urbanistica[10] si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 49 del 2015. La Consulta ha ribadito che l'accertamento della responsabilità penale ben può essere contenuto in una sentenza di proscioglimento e che, pertanto, la prescrizione di per sé non esclude la confisca; nondimeno le norme vanno lette sulla base di una «interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme». Il giudice europeo nel richiedere la condanna non fa riferimento alla forma della pronuncia quanto all'accertamento della responsabilità a cui consegue l'irrogazione della sanzione penale. Allora la vera questione è stabile se, secondo i giudici di Strasburgo, la confisca del prezzo del reato sia da qualificarsi come sanzione. Invero, tale forma di confisca non ha connotazioni di carattere punitivo, in quanto il patrimonio del reo viene intaccato limitatamente al pretium sceleris[11].   

In merito alla natura della confisca delle somme contenute sul conto corrente, un orientamento ritiene che si tratti di confisca diretta, in quanto il prezzo o il profitto del reato rappresentano un incremento patrimoniale o eventualmente un mancato decremento nel senso del risparmio di spesa. Quando la res è un bene fungibile, come il denaro, si considera sempre confisca diretta e non è necessario un accertamento sulla sua provenienza delittuosa. 

L'indirizzo opposto qualifica la confisca di denaro come confisca per equivalente ed una terza corrente interpretativa la ritiene una confisca diretta in cui sia necessaria la prova della derivazione da reato. 

La Suprema Corte segue l'impostazione della sentenza Gubert[12]La ratio della confisca di valore consiste nell'impossibilità di dar luogo alla confisca diretta (che presenti un nesso di derivazione dal reato) e nel privare il reo del tantundem che ha ricavato dalla commissione del reato. Essa ha natura sanzionatoria perché incide sul patrimonio del soggetto e non necessita di alcun nesso di pertinenzialità, rappresentandone una mera conseguenza sanzionatoria.            
Qualora il prezzo od il profitto siano rappresentati da una somma di denaro, quest'ultimo perde «qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica». Ciò che rileva è che la disponibilità economica del reo si sia accresciuta e ciò legittima la confisca diretta. Solo ove non sia possibile la confisca di denaro, può aver luogo la confisca di valore

Al punto 17 della sentenza i supremi giudici risolvono così la questione: «qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato».

Avv.to Marcella Ferrari - marciferrari@gmail.com           
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Note:



[1] In tal senso vedasi Corte Cost. ordinanza 97 del 2009 in cui si è ritenuto non applicabile l'art. 200 c.p. alla confisca, norma che consente, in tema di misure di sicurezza, l'applicazione retroattiva.

[2] Trattasi della sent. "Carlea", Corte Cass., S.U., 25 marzo 1993 n. 5. Nel caso di specie, si discuteva sull'ammissibilità della confisca senza condanna in ipotesi di reato di partecipazione al gioco d'azzardo dichiarato estinto per amnistia.

[3] Corte Cass., S.U., 10 luglio 2008 n. 38834.

[4] Art. 44 c. 2 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380.

[5] Art. 301 D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43.

[6] Corte Cost. sent. n. 85 del 2008. In particolare, tra le sentenze di non doversi procedere, la Corte di Cassazione, nel suo percorso delibativo, indica anche il proscioglimento dell'imputato per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.; in questo caso, infatti, si verifica un accertamento di merito completo in punto responsabilità, tanto che la sentenza ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto.

[7] Il Manzini ritiene sufficiente che un reato sia stato obiettivamente commesso a prescindere dal fatto che, per qualsiasi ragione, il suo autore non sia punibile.

[8] In particolare ci si riferisce al caso "Varvara c. Italia" del 29 ottobre 2013.

[9] Corte Cass., sez. II, 5 ottobre 2011 n. 39756.

[10] Art. 44. c. 2 D.P.R. 380 del 2001.

[11]Quanto sin qui affermato non vale per la confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p. avendo essa natura sostanzialmente sanzionatoria. Essa impone al reo un sacrificio patrimoniale e non ha funzione preventiva come le altre misure di sicurezza.

[12] Corte Cass., S.U., 30 gennaio 2014 n. 10561; contra la sent. "Focarelli", Corte Cass., S.U., 24 maggio 2004, n. 29951 la quale, invece, richiede una diretta derivazione causale tra il bene sequestrato e la condotta illecita.


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