Roberto Chiatto propone ai visitatori di LIA Law In Action un nuovo contributo in tema di negozi tipici e scopo di garanzia.

Buona lettura!


Premessa.

 

La pratica commerciale ha, nel tempo, elaborato nuovi ed alternativi mezzi di tutela del credito, con efficacia erga omnes. Non si tratta, come è ovvio, di nuovi diritti reali di garanzia (oltre a pegno ed ipoteca), inammissibili stante la resistenza (ancora?) del principio del numerus clausus in tale settore. 

Si tratta piuttosto di strumenti negoziali tipici, manipolabili e manipolati dall'autonomia privata e piegati al raggiungimento di diversi obiettivi. 

Solitamente, questi schemi tipici rientrano nella categoria dei contratti traslativi, come la cessione del credito ex art 1260 c.c. o la alienazione di una res (1470 c.c.).

In buona sostanza, in caso di inadempimento del debitore, la cosa alienata o il credito ceduto verranno incamerati dal creditore a soddisfazione del suo credito. 

Il creditore potrà opporre a chiunque il suo status, essendo a tutti gli effetti divenuto proprietario. 

Pertanto la sua condizione è assimilabile a quella di un creditore minuto di garanzia reale, come il pignoratizio e l'ipotecario. Insomma, si capisce che le parti intendono guidare l'effetto traslativo verso una precisa direzione che è quella, indicata contestualmente nell'accordo, dello scopo di garanzia.

I negozi giuridici che più naturalmente si prestano a tale tipologia di obiettivo sono, in particolare, la cessione del credito, la vendita con patto di riscatto e il riporto (spesso collegati al mutuo), il sale and lease - back.

Il problema maggiore che pongono i negozi citati in relazione allo scopo di garanzia si pone con riguardo al divieto del patto commissorio di cui all'art 2744 c.c.

 

Il patto commissorio.

Nel settore delle obbligazioni, uno degli istituti maggiormente rilevanti è la responsabilità patrimoniale del debitore, i cui principali riferimenti normativi sono gli artt. 2740 e 2741 c.c.

In particolare, tale ultima disposizione incorpora il principio della c.d. par condicio creditorum, che prevede l'uguale diritto per i creditori di soddisfarsi sul patrimonio del debitore comune e il medesimo trattamento tra di essi.

Tale principio non è assoluto, ma soffre di eccezioni in presenza delle cause legittime di prelazione, che costituiscono una importante garanzia per il creditore che le possiede, ma al contempo deve rispettare e tutelare lo stesso debitore e gli altri creditori. 

In tale contesto si inserisce il divieto del patto commissorio, con cui le parti stabiliscono che la proprietà di un bene del debitore dato in pegno o in ipoteca passi al creditore nel momento dell'inadempimento del primo entro il termine fissato. 

Le ragioni di una simile previsione si individuano da un lato nella tutela del debitore contro approfittamenti illegittimi del creditore, laddove il valore del bene consegnato in garanzia può essere superiore all'importo del debito garantito; dall'altro gli altri creditori, che vedono diminuire la loro garanzia patrimoniale sul patrimonio del debitore stesso.


Il patto, dunque, si configura come una alienazione in garanzia e si applica non solo quando la proprietà del bene dato in garanzia passi al creditore solo al momento dell'adempimento, ma altresì quando il trasferimento di proprietà, pur non essendo immediato, si consolida al momento dell'inadempimento.

 

La cessione del credito.

 

La cessione del credito non assurge a tipo negoziale autonomo ma rientra di volta in volta in altri schemi negoziali, idonei a giustificare lo scopo perseguito.

Così se la cessione è verso un corrispettivo, essa si inquadrerà nell'ambito della compravendita ex art. 1470 c.c.; se è fatta a titolo gratuito, sarà una donazione ex art. 769 c.c., con conseguente atto pubblico (tranne se donazione manuale); oppure, come nel caso che ci interessa, la cessione può servire a garantire l'adempimento di un'obbligazione del cedente nei confronti del cessionario.

Una delle maggiori perplessità di una simile operazione emerge dalla eccessività del mezzo rispetto allo scopo. Si è in proposito parlato di eccedenza del mezzo rispetto al fine o di sproporzione tra negozio e scopo pratico o, ancora, divergenza tra intento empirico ed effetto giuridico. Con tutto ciò si vuole intendere che il creditore - cessionario riceve una posizione giuridica esuberante e più ampia rispetto allo scopo posto delle parti; e ciò anche se le parti avessero configurato un negozio fiduciario che obbligasse il creditore a ritrasferire il credito al cedente al momento dell'adempimento, stante la possibilità di abusi di posizione.

La seconda perplessità si nasconde invece nella possibile violazione del patto commissorio, vietato dall' art. 2744 c.c. Come è noto, il patto commissorio, sanzionato con la nullità, consentirebbe al creditore di divenire proprietario della resconsegnatagli dal debitore se e quando quest'ultimo non adempia l'obbligazione assunta, nel termine stabilito. Il fondamento del divieto poggia, da un lato, sulla tutela del debitore contro indebitiapprofittamenti del creditore, che potrebbe impossessarsi di una cosa il cui valore eccede il debito; dall'altro, sulla tutela di eventuali altri creditori, che vedrebbero uscire dal patrimonio, e quindi sottrarre alla loro garanzia patrimoniale, beni del loro debitore su cui potrebbero rivalersi. Ora, la violazione del patto commissorio è configurabile laddove l'ammontare del creditoceduto (e di cui il creditore potrebbe impossessarsi definitivamente) ecceda il quantum del debito. Tuttavia, la cessione sarà lecita laddove il creditore, in caso di inadempimento, trattenga dalla somma eventualmente già riscossa dal terzo ceduto (debitor debitoris) solo la parte necessaria alproprio soddisfacimento, con restituzione dell'eccedenza al debitore.

Del resto, nessuno dubita della liceità del patto marciano, con cui il creditore trattiene la res, già stimata, restituendo la differenza tra l'importo del credito e il valore della cosa stessa. Così come nel pegno irregolare, che ha ad oggetto cose fungibili: nel caso di adempimento, il creditore, divenuto proprietario, deve restituire al debitore cose dello stesso genere.

 

La vendita con patto di riscatto.

 

Un altro negozio tipico utilizzato per lo scopo di garanzia è la vendita ex art 1500 c.c. spesso collegata ad un contratto di mutuo. In buona sostanza, il mutuatario vende un bene con patto di riscatto al mutuante che versa il relativo prezzo. Tale prezzo funge da prestito erogato. Quindi il mutuatario - venditore, entro il termine fissato per la dichiarazione di riscatto, che ovviamente coinciderà con la restituzione del prestito, riscatterà la cosa e restituirà il prezzo, così estinguendo il mutuo; in caso contrario, perderà la proprietà.

Ed è proprio in tale ultima circostanza che emerge la possibile violazione del patto commissorio. In particolare, si assisterebbe in tal caso ad un possibile negozio in frode alla legge, per il combinato tra gli artt. 1344 c.c. e 2744 c.c. Infatti, si utilizzerebbe un negozio in sé lecito (la vendita con patto di riscatto) che costituisce un mezzo per eludere la norma imperativa e per realizzare un risultato vietato (dal patto commissorio) in combinazione con altri atti giuridici.

Tuttavia, occorre distinguere. Infatti, è certo possibile che l'intento primario delle parti sia quello di creare una garanzia reale in relazione al mutuo e la (guarda caso) irrevocabilità del trasferimento al verificarsi dell'inadempimento del venditore - mutuatario, con ciò instaurando un nesso teleologico e strumentaletra negozi di compravendita e mutuo. È anche da dirsi che non è necessario scomodare il negozio in frode alla legge. Invero se le parti hanno inteso creare una garanzia che permette al creditore di guadagnare a scapito del debitore, tale operazione sarebbe illecita già ex art 1343 c.c.

Ma è indispensabile sempre prestare attenzione all'operazione concreta e optare per una visione di tipo soggettivistico. La vendita con patto di riscatto è senza dubbio nulla laddove sia impiegata per conseguire i risultati fraudolenti vietati dall'ordinamento, tramite il dimostrato intento primario delle parti(anche attraverso presunzioni o indici rivelatori) di creare una garanzia reale, sostituendo la causa tipica della vendita con quella illecita per frode al divieto del patto commissorio. Come già menzionato nella cessione del credito, ciò che occorre evitare sono i possibili approfittamenti e gli indebiti lucri da parte del creditore. Del resto tale è la ratio legis del divieto del patto commissorio. Pertanto, laddove nella concreta operazione negoziale emerga un equilibrio effettivo tra la somma data a mutuo (alias prezzo della compravendita) e il valore della cosa trasferita in proprietà a scopo di garanzia, le parti faranno salva la loro operazione. Infatti, in caso di inadempimento del mutuatario, il mutuante si tratterebbe una cosa il cui valore è, almeno, pari al valore della somma erogata. Saranno tutelati così sia il debitore, che non subirà indebiti depauperamenti, sia gli eventuali altri creditori, che conserveranno la garanzia patrimoniale.  

 

Il sale and lease - back.

 

Oltre ai classici contratti nominati o tipici, anche alcuni dei c.d. contratti socialmente tipici si prestano al perseguimento di scopi di garanzia. Tra questi, spicca una variante del contratto di leasing, ossia il c.d. sale and lease - back, più comunemente locazione finanziaria di ritorno. L'operazione si caratterizza in ciò, che un imprenditore vende un bene di sua proprietà ad una società di leasing che a sua volta gli concederà lo stesso bene, appunto, in leasing. L'imprenditore così: a) conseguirà il prezzo della compravendita, ottenendo liquidità di cui necessita; b) mantiene il godimento del bene; c) può riacquistarne la proprietà esercitando l'opzione inserita nel contratto.

È evidente la funzione di garanzia sottesa ad una simile operazione, che si atteggia ad alienazione a scopo di garanzia, con la possibile violazione del patto commissorio. Infatti, nel caso in cui l'imprenditore non riesca procurarsi il denaro necessario al riacquisto, perde la possibilità di recuperare la proprietà del bene, che può valere molto di più del finanziamento (a titolo di prezzo) ricevuto.

In senso critico, si può osservare che il patto commissorio non verrebbe nemmeno ad essere sfiorato dall'operazione, in quanto non si tratta di una vendita a scopo di garanzia quanto di una vendita a scopo di leasing. Non si vende il bene per ottenere credito ma per ottenere il leasing. Quindi la vendita è l'antecedente del leasing e non di un finanziamento.

Vero è che sarebbe superficiale arrestarsi ad una simile conclusione, che altro non sarebbe che una visione parziale e atomistica della intera faccenda. Occorre piuttosto mantenere uno sguardo d'insieme e notare che il reale intento delle parti è quello di far ottenere liquidità all'imprenditore in cambio della vendita di un suo bene in garanzia; bene che nel frattempo resta nel godimento e nella disponibilità dell'imprenditore (il c.d.costitutum possessorium).

Ecco che emerge come lo scopo di garanzia non costituisca solo un motivo, ma assurge a reale giustificazione causale, senso dell'operazione economica, causa in concreto, intesa come funzione pratico - individuale perseguita dalle parti. L'operazione, volta a far ottenere liquidità al creditore, è stata piegata al rafforzamento della posizione del creditore finanziatore, che tenta di acquisire l'eccedenza del valore.

Ed ecco che, allora, la liceità dipende ancora una volta dal concreto equilibrio tra il valore del bene venduto, il prezzo pagato per tale bene e la somma di denaro da restituire (il prezzo dell'opzione), oltre che il canone di leasing. Tale equilibrio pone al riparo la vicenda da violazioni di norme imperative sanzionate con la nullità.

(Autore Roberto Chiatto)

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