È pacifica la sussistenza dell'aggravante della premeditazione in presenza di due presupposti: "uno di natura cronologica, costituito da un apprezzabile lasso di tempo fra l'insorgenza del proposito criminoso e la attuazione di esso e l'altro di carattere ideologico, consistente nelle ferma risoluzione criminosa perdurante nell'animo dell'agente, senza soluzioni di continuità, fino alla commissione del crimine".

Così ha statuito la prima sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28795 del 3 luglio scorso, in una vicenda riguardante un uomo condannato a 9 anni e 8 mesi di reclusione per il delitto di tentato omicidio, aggravato dalla premeditazione, commesso in danno di una vicina di casa. L'imputato si era invaghito della donna, sposata con figli, e le aveva proposto di fuggire insieme e poi, non avendo questa accettato, di morire insieme. La donna si era rifiutata e l'uomo una mattina si era introdotto nella sua casa, mediante effrazione di una finestra, armato di un machete minacciando di ucciderla se non fosse fuggita con lui. Al rifiuto ulteriore della donna, l'uomo aveva reagito colpendola ripetutamente e provocandole lesioni gravissime, tali da metterla in pericolo di vita.

Condannato in primo e in secondo grado, l'uomo ricorreva per Cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello per l'erronea applicazione dell'aggravante della premeditazione.

Per la S.C., invece, non vi è dubbio sul delitto premeditato, ritenendo realizzato il primo e il più indicativo degli elementi della premeditazione, il requisito cronologico, che si concreta "in un intervallo temporale in cui l'agente potrebbe riflettere ed eventualmente recedere dal proposito criminoso - e che denota - ove tale recesso non si sia verificato, una particolare intensità di dolo che si traduce in una fredda e perdurante determinazione a commettere il reato, nel che si sostanzia l'altro degli elementi costitutivi dell'aggravante. Ne consegue che detti elementi si integrano e si arricchiscono reciprocamente e ad entrambi occorre guardare per decidere se sussista la circostanza aggravante di cui all'art. 577, comma primo n. 3, c.p.".

Né vale ad escludere l'aggravante, secondo la Cassazione, il fatto che la decisione di uccidere, nel caso di specie, fosse condizionata alla risposta che l'amante avrebbe dato all'invito dell'imputato

a fuggire con lui, poiché è principio pacifico in giurisprudenza che "sussiste l'aggravante della premeditazione anche quando l'agente abbia risolutivamente condizionato il proposito criminoso al mancato verificarsi di un determinato evento ad opera della vittima".

Pertanto, la Corte ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 


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