Secondo il diritto italiano ricorre l'infanticidio, cioè l'uccisione di un neonato subito dopo il parto, solo nel caso in cui la madre si trovi in situazione di abbandono morale e materiale, qualora questa situazione non si verifichi il reato viene considerato a tutti gli effetti come un omicidio e come tale viene punito. Il trovarsi in stato di abbandono morale e materiale implica una pena notevolmente ridotta per la donna colpevole che viene condannata a un periodo di reclusione dai 4 ai 12 anni. Spetta al Tribunale valutare la situazione della donna e quindi decretare se essa si sia trovata in stato di abbandono,cioè lasciata sola e in condizioni di grave precarietà economica e di disagio psicologico, tuttavia la Corte di Cassazione in data 19 giugno 2013 si è pronunciata proprio in merito ai parametri in base ai quali può considerarsi infanticidio e non omicidio.

La sentenza n. 26663 ha allargato la nozione di abbandono esaminando il caso di una giovane donna che ha soppresso la propria neonata con il concorso della madre. I precedenti gradi di giudizio non avevano ritenuto che la partoriente si trovasse in condizioni di abbandono in quanto ha continuato a vivere presso la casa materna durante la gravidanza, pertanto è stata condannata per omicidio volontario, ma gli Ermellini hanno espresso un'opinione diversa e hanno annullato la precedente sentenza di condanna. La Suprema Corte ha fatto notare che l'isolamento di cui parla codice non deve essere inteso in senso restrittivo e la situazione in cui si era venuta trovare la ragazza non va giudicata oggettivamente, ma soggettivamente. È pur vero che non si è verificato l'abbandono materiale, ma va considerata la situazione psicologica della donna che ha vissuto una gravidanza tra continui improperi e recriminazioni da parte della madre, pertanto si trovava in una particolare condizione emotiva che la faceva sentire odiata.
Inoltre va considerato anche il degrado sociale e culturale del gruppo familiare. In conseguenza di tutto ciò si può considerare che l'imputata si trovasse in condizioni di abbandono morale. La Suprema Corte ha espresso il suo parere anche sulla condanna per concorso in omicidio comminata alla madre. Secondo gli ermellini il concorso non deve essere confuso con la connivenza e deve essere provato che il suo atteggiamento abbia effettivamente inciso sull'atto commesso dalla partoriente. Il fatto che abbia fornito aiuto nel momento del parto non prova che abbia contribuito alla soppressione della nipotina in considerazione del fatto che non si sa con certezza quando sia avvenuta l'uccisione della neonata.
M.S.

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