di Paolo M. Storani - Argomento angosciante quello della perdita del frutto del concepimento nell'alveo materno.
In un panorama giurisprudenziale abbastanza desertificato sono state varie le occasioni per trattare su Law In Action il delicatissimo tema: rimandiamo ai materiali che abbiamo sottoposto all'attenzione dei visitatori in data 27 maggio 2013 (prima parte) e 28 maggio 2013 (seconda parte).
Ora, sempre nel solco della fondamentale pronuncia (sentenza del 14 marzo 2012) emessa sotto forma di autentico trattatello dal grande Dr. Giuseppe Buffone, all'epoca nell'organico del Tribunale di Varese, ora in forza al Tribunale di Milano, s'innesta l'inedita sentenza n. 286/2012 pubblicata in data 24 ottobre 2012 dal Tribunale di Macerata - Sez. Dist. Civitanova Marche, Monocratico Dr. Quirino Caturano.
Intendiamo analizzare la decisione per quanto riguarda l'aspetto liquidativo/quantificatorio del pregiudizio.
"In concreto, si osserva che, considerata la natura del danno e le sue implicazioni, unitariamente valutabili; avuto riguardo, poi, agli accertamenti eseguiti dal CTU ... - limitatamente alla parte in cui questi ha dato atto di uno stato di malessere in capo a entrambi i genitori, sia pure di diversa intensità, - non può che attingersi in punto di definitiva determinazione del quantum, al criterio dell'equità cd. calibrata (consistente nel guardare alle liquidazioni di altri giudici in casi analoghi), elaborata da una autorevole dottrina e sicuramente più consona, rispetto ad una valutazione in termini biomedici di un profondo dolore, alla valutazione del danno de quo; così si scopre che, in caso di perdita del frutto del concepimento, la giurisprudenza (d)i merito ha liquidato, ad esempio: (ex) lire 30 milioni (Trib. Roma, 24 gennaio 1995 in Riv. Giur. Circolaz. Trasp., 1995, 543); euro 100.000 (Trib. Roma 3 gennaio 2007); euro 15.000 a genitore (Trib. Roma 8 marzo 2005); euro 75.000,00 a genitore (Trib. Roma 10 marzo 2004).
Orbene, partendo dal danno previsto dalle tabelle milanesi a favore di ciascun genitore per la morte di un figlio (da euro 150.000,00 a euro 300.000,00), in assenza di indici (allegati dal danneggiato) che contraddistinguano il fatto per gravità o peculiarità del caso, pare necessario muovere da un parametro orientativo di euro 150 mila.
E', però, una voce di danno, come detto, prevista per il figlio nato vivo. La somma, dunque, va quantomeno decurtata. Un ulteriore indice in ribasso è l'assenza di compromissioni specifiche (non dedotte o allegate). Si arriva, così, ad un abbattimento: da euro 150.000 ad euro 75.000 e da euro 75.000,00.
NOTA di Law In Action - Sotto tale profilo il Monocratico civitanovese Quirino Caturano non applica l'ulteriore abbattimento del 50%, operato per contro da Giuseppe Buffone nella sentenza
Trib. Varese, Sez. I, 14.3.2012 in questa Rivista del 27-28 maggio 2013, stante la peculiarità della fattispecie decisa avanti alla Sez. Dist. di Civitanova Marche del Tribunale di Macerata: la madre, nata nel 1955 (data presunta del parto era stata indicata al 15 aprile 1999, quando aveva già 44 anni e due mesi, mentre 35 erano gli anni della gestante nel caso affrontato dal Tribunale di Varese) non era più in età giovane per una procreazione vitale, come dimostrano le traversie successive alla perdita del frutto del concepimento per cui è causa, descritte dal consulente d'ufficio; in effetti, dalla descrizione contenuta nella CTU affidata da precedente Magistrato Istruttore, pur in assenza di prova al cospetto di quanto dedotto dall'istante, si legge: "nel dicembre 1999 ha una gravidanza con ovulo bianco in utero con test di gravidanza positivo, senza battito, per la quale esegue revisione uterina. Dal marzo 2000 fino al 2002 tenta 3-4 volte fecondazione assistita in vitro, senza alcun positivo risultato. Nel 2005 resta nuovamente incinta, ma di nuovo va male e la signora cade vieppiù in depressione.
Concluderà la CTU pur con modalità argomentative probabilistico/soggettive: tali danni psichici configurano una limitazione anche per la vita futura della perizianda, che manifesta, in esito ad essi, sentimenti di inadeguatezza e insicurezza. In definitiva, l'esistenza del Disturbo Depressivo Maggiore Cronico Grave e DPTS, severo e cronico, documentato dall'esame psichico, e correlabile all'evento di causa, è da considerare grave, e valutabile come invalidità permanente non inferiore al 30%
"; l'intero virgolettato è tratto dalla relazione di consulenza tecnica d'ufficio redatta dalla CTU e depositata in data 18.12.2010.
"Come si vede, - prosegue il Monocratico marchigiano - trattasi di somma allineata nella forbice della giurisprudenza di merita (da 15.000,00 a 120.000,00) che, nel caso di specie, appare del tutto congrua.
La somma è ritenuta adeguata all'attualità e, per ristorare anche il pregiudizio del padre, va maggiorata di euro 10.000,00, ritenuta congrua per il profilo del papà che non subisce un danno amplificato come la madre, nel cui alveo si consuma il trauma.
Nessun danno, invece, è a riconoscersi in capo alla ulteriore attrice B. (n.d.r. = si tratta della sorellina, di otto anni, nata nel 1991 da precedente relazione della paziente), per danno 'psico-emotivo' derivato per essere stato 'disatteso il desiderato arrivo della sorellina': la natura del danno de quo (morte del feto) induce ad assumere un atteggiamento di particolare rigore nella perimetrazione della platea di soggetti che possano ambire a coltivare con successo una pretesa risarcitoria giuridicamente fondata, soprattutto alla stregua di quella giurisprudenza di legittimità che subordina il riconoscimento del diritto risarcitorio al riscontro, in concreto, della sussistenza di un rapporto di convivenza e quindi di frequentazione e scambio di affetti tra parenti, successivamente spezzato per il decesso di uno di essi, rapporto nella specie inesistente; sicché non pare potere assurgere, al cospetto della morte di un non soggetto, alla dignità di interesse giuridicamente rilevante anche la frustrazione, nel parente, del desiderio di instaurare una (futura) relazione parentale in linea collaterale. ".
Non va riconosciuta alcuna ulteriore voce di danno.
In relazione a quello da inutilità della spesa sostenuta per il corredo, non essendo questa stata specificamente dimostrata in punto di quantum.
Quanto al 'danno esistenziale' cui è fatto cenno nell'atto di citazione, giova segnalare (omissis)...deve farsi piuttosto riferimento alla categoria generale del danno non patrimoniale ...
Inoltre, la S.C. chiarisce che, dovendo respingersi la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso (cd. danno evento) e dovendo parimenti non condividersi l'orientamento che, nel caso di lesione di valori della persona, ritiene il danno in re ipsa, occorre pur sempre che del danno dedotto la parte istante dia adeguata prova (testimoniale, documentale e presuntiva, oltre all'accertamento medico-legale eventualmente a disporsi), con la precisazione che, con particolare riguardo alla prova cd. presuntiva, incombe comunque sul danneggiato l'onere di allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.
Tali condivisibile criteri, anche in ordine all'onere probatorio, inducono a ritenere che, in considerazione dell'effettiva natura delle lesioni e della loro contenuta incidenza sull'integrità psico-fisica del danneggiato, le generiche deduzioni di cui alla comparsa conclusionale circa tale danno di natura 'esistenziale' non consentono in alcun modo di ravvisare un pregiudizio ulteriore rispetto a quello già adeguatamente liquidato nei termini di cui sopra".
Nei prossimi giorni Law In Action proporrà una poderosa ed inedita pronuncia della Corte di Appello di Roma.
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