In tema di responsabilità civile e, in particolare del risarcimento del danno per furto in un esercizio commerciale per il malfunzionamento dell'allarme, risulta viziata la decisione di merito che non motiva sulle ragioni del ritenuto difetto di nesso causale fra il malfunzionamento dell'impianto di sicurezza e il furto avvenuto nell'esercizio commerciale, sia pure nel giro di pochi minuti. Questo è il contenuto della sentenza n. 5644, depositata il 10 aprile 2012 dalla terza sezione civile. Secondo la ricostruzione della vicenda, ignoti malviventi asportavano da una gioielleria oggetti preziosi dopo aver praticato un buco nel vetro della vetrina del negozio. L'impianto di allarme realizzato da una società srl non provocò il suono delle sirene nè risultò che dell'effrazione fosse stata in automatico informata la centrale in vista del tempestivo avviso ad una pattuglia. La gioielleria conveniva in giudizio la società srl allarmi chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito, indicato L. 100.000.000. Con sentenza
, il Tribunale di Brescia accoglieva la domanda nei limiti di Euro 20.000. La decisione, però, veniva riformata in appello. I giudici distrettuali accoglievano la domanda, condannando l'attore alle spese del doppio grado, sui rilievi che le risultanze processuali non autorizzavano la conclusione che, se l'impianto avesse funzionato regolarmente, la merce non avrebbe potuto essere sottratta. Avverso tale sentenza ricorreva per cassazione la gioielleria. La Corte, accogliendo il ricorso e cassando con rinvio la decisione, ha spiegato che è necessario, in questo caso, dar conto delle ipotetiche ragioni per le quali il suono della sirena non avrebbe potuto spiegare un effetto totalmente o parzialmente deterrente, come tale idoneo ad escludere o ad attenuare il danno subito dal creditore della prestazione della società fornitrice dell'impianto. La Corte ha così censurato la decisione della Corte di Appello che aveva rigettato la domanda della gioielleria in quanto, le ipotesi non erano state in nessun modo suffragate da risultanze processuali.
I giudici distrettuali avevano quindi ritenuto tali considerazioni estranee al thema decidendum e, pertanto, non avrebbero, dunque, potuto essere poste a base della decisione, in quanto fatti non allegati. La Corte ha però spiegato che è vero, sì. che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita, come previsto dall'art. 115 c.p.c., tuttavia, può, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza. In tale prospettiva i giudici della Terza sezione hanno così precisato, concludendo che "la potenziale utilità allo scopo dell'antifurto come deterrente alle azioni criminose contro la proprietà privata
può dirsi costituire nozione di fatto rientrante nella comune esperienza per gli effetti di cui all'articolo 115, secondo comma, Cpc posto che, se non si ritenesse che un impianto di allarme specifico possa in qualche misura essere utile per evitare il furto o per attenuarne le conseguenze non vi sarebbe allora alcuna ragione per installarlo".
Consulta testo sentenza n. 5644/2012

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