Il massimo consesso di Piazza Cavour con la sentenza n. 14839 depositata il 6 luglio 2011, ha stabilito che il giudice italiano difetta di giurisdizione rispetto ad un'azione risarcitoria promossa da un cittadino nei confronti del giudice ecclesiastico per supposti comportamenti, non penalmente rilevanti, produttivi di danno che quest'ultimo avrebbe tenuto nel processo canonico per la dichiarazione di nullità di un matrimonio che sia stato celebrato a norma dell'articolo 8 dell'accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984, ratificato con la legge 121/85. La vicenda origina dalla proposizione di un'azione di risarcimento del danno nei confronti di un giudice ecclesiastico. All'interno del procedimento, il giudice ecclesiastico, proponeva regolamento preventivo di giurisdizione in quanto, la giurisdizione del giudice italiano in questa controversia
avrebbe avuto il significato di violare la sovranità della Chiesa e l'autonomia giurisdizionale dei tribunali ecclesiastici in base a quanto sancito dell'art. 7 della Costituzione e delle norma pattizie che regolano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa stessa. Le Sezioni Unite civili, investite della questione, accogliendo l'istanza del giudice ecclesiastico, hanno così negato la giurisdizione del giudice italiano rispetto alla domanda di risarcimento del danno. "In questo nuovo quadro dei rapporti tra Stato e Chiesa in materia matrimoniale, - si legge dalla parte motiva della sentenza
- nel quale la giurisdizione ecclesiastica sulla nullità del matrimonio resta assolutamente esterna all'ordinamento dello Stato - potendo divenire (a solo eventualmente) civilmente rilevante esclusivamente (ed in presenza di determinate condizioni) la sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio - non è nemmeno pensabile che il giudice italiano possa avere giurisdizione sui comportamenti (suppostamente non conformi alle regole processuali canoniche) che il giudice ecclesiastico avrebbe tenuto all'interno del processo (regolato dalle norma del diritto canonico) svoltosi e conclusosi tutto in una sfera estranea all'ordinamento statuale". "Se al giudice italiano - hanno continuato a spiegare gli Ermellini - è, per espressa diposizione pattizia, interdetto
il "riesame del merito" della vicenda processuale matrimoniale, quando uno dei due coniugi a detto giudice abbia chiesto di attribuire effetti civili alla sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio - segnale evidente del diverso (rispetto all'ordinamento dello Stato) piano sul quale il processo canonico si svolge -, non è concepibile da aprte del giudice italiano l'esercizio di una giurisdizione assai più penetrante come quello che esigerebbe la domanda risarcitoria (…)". "Peraltro, quan'anche (e comunque fuori dal limite del rispetto della legge penale) gli atti compiuti dal giudice ecclesiastico in violazione di regole processuali canoniche comportassero una violazione del diritto di difesa di una delle parti nel processo, ne conseguirebbe unicamente che la sentenza canonica rimarrebbe sfornita di efficacia civile, ostandovi appunto il non realizzato principio del contraddittorio e della parità delle armi (secondo i principi individuati dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 18 del 1982), senza che, tuttavia, si possa pretendere una omologabilità delle regole processuali canoniche a quelle proprie processualcivilistiche, stante la tutela costituzionale dell'autonomia confessionale e dell'indipendenza e sovranità della Chiesa. Sicché il compimento di quegli atti (suppostamente) contra ius rimarrebbe privo di rilevanza nell'ordinamento dello Stato, con la conseguente assenza in tale ordinamento di un (eventuale) diritto ad un danno risarcibile, esercitabile nei confronti del giudice ecclesiastico".

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