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Le 'zecche' dell'acqua pubblica



di Angelo Casella - Acqua.Mirabile elemento primario dell'Universo e condizione e premessa diogni forma di vita. Ispiratrice di poeti, santi, filosofi escienziati. Sacro per alcuni.

Oggetto,da qualche tempo, delle avide brame di speculatori, affaristi esfruttatori di ogni risma.

Iprotagonisti dell'esasperata accumulazione finanziaria (quelfamigerato 0,001% della popolazione mondiale), prevedendo ilridimensionamento dei profitti indotto dal calo dei consumi e dallasaturazione dei mercati, hanno da tempo messo gli occhi sul sistemadei servizi forniti dallo Stato alle collettività. Non essendovoluttuari, questi servizi fruiscono di una domanda costante e sonoquindi potenzialmente in grado di fornire profitti aciclici esostenuti.

Sitratta dei servizi irrinunciabili, resi indispensabili dallaesistenza stessa della società (luce, gas, acqua, strade, rifiuti,fogne, parchi, trasporti, ospedali, ecc.) ed ai quali tutti debbonopoter fare ricorso per un livello di vita normale.

Perpoter essere affidati ai privati, occorreva una pesante complicitàdel potere politico, in quanto costituiscono la base ed il sensostesso dello Stato il quale, in tal modo, deve tradire la sua stessamissione esistenziale.

Ma,come ben sapevano gli antichi Romani, il denaro apre tutte le porte,e così, passo dopo passo, con l'emissione di apposite leggi, èiniziata l'epoca delle “privatizzazioni” (presentata –addirittura – come un grande progresso, una vera“modernizzazione”), che è iniziata con i servizi energetici, mache punta a conquistare spazi inediti nel campo della sanità,dell'istruzione, perfino della polizia (si veda, al riguardo,l'incredibile “Accordo per la commercializzazione dei servizi”,firmato in ambito WTO, e che – per vero – sembra oltrepassare iconfini del mero lucro).

Comunque,uno dei servizi pubblici più “interessanti” sotto il profiloeconomico, è indubbiamente quello idrico. Chi mai può fare a menodell'acqua? Il consumo dell'acqua è obbligato, se si vuolecontinuare a vivere. La sua necessità assoluta ne fa uno strumentounico di sfruttamento.

Eccoallora la corsa degli sciacalli alla conquista di quello che – conterminologia ributtante – è stato definito “l'oro blu”.

Lamarcia è iniziata con la creazione degli A.T.O. ovvero AmbitoTerritoriale Ottimale (tale - naturalmente - solo per gli ideatori) econ la trasformazione delle municipalizzate in Spa, per poter aprirel'accesso ai privati. In seguito, si è provveduto, con degliimprobabili "Consorzi", ad aggregazioni sempre piùampie, per unificare e facilitare il controllo (evitando complicateparcellizzazioni) e rendere più difficile ogni reazione.Naturalmente, tutto ciò è stato possibile solo con la corruzione,la subornazione e la complicità di politici e amministratori,centrali e locali e con la collaborazione dei loro caudatari,attirati con le ricche mangiatoie apparecchiate con le società digestione. Al personale di vertice di queste vengono infatti pagatistipendi fastosi (in alcuni casi - vedi le "Acque Veronesi"il cui "direttore generale" incassa 242.588 euro, (ed èanche affiancato da cinque dirigenti da 116 mila euro), perfinosuperiori al compenso previsto per il Presidente della Repubblica).Naturalmente, anche il numerosissimo personale impiegatizio ègratificato in misura esorbitante. Molto peggio della "Nomenklatura"russa dei tempi passati. Ma i complici vanno pagati bene, affinchéeseguano impeccabilmente il compito di assicurare il lucroso flusso diprofitti ai grandi sciacalli (senza offesa per le bestie).

Tanto,a profitti extra e stipendi d'oro provvedono i cittadini,taglieggiati dall'aumento vertiginoso delle tariffe.

Lastessa forma giuridica prescelta per questi enti (la Società perazioni), è indicativa dello sprezzo del denaro pubblico. Si trattainfatti di una struttura ideata per le imprese commerciali eindustriali, dove costante è l'esigenza di scelte strategiche egestionali che richiedono organizzazioni di vertice ampie earticolate per la divisione dei compiti e la specializzazione dellemansioni. Applicare tutto ciò ad un organismo che più statico nonsi potrebbe immaginare, segnala il senso di un approccio di cinicosfruttamento.

Infondo, si tratta solo della collaudata tecnica del trogolo per isodali: consentono di articolare il sistema della spremitura dellacollettività e servono anche da supporto politico – elettorale.Formano il parco buoi di sostegno al sistema.

Ilnocciolo della questione è però che l'acqua non è una merce: è unprezioso e vitale dono della Natura ed a nessuno può essereconsentito di impossessarsene perché, con essa, si consente aqualcuno di detenere la vita altrui.

IlCardinale Mons. Turkson, Presidente del Pontificio ConsiglioGiustizia e Pace, si è espresso in proposito molto nettamente: “Ilgoverno prende dai cittadini le imposte e deve quindi provvedere afornire ai cittadini adeguati servizi, in primo luogo quellodell'acqua potabile. Se esiste un governo è per assicurare il benecomune, e questo è il bene comune. Se uno deve pagare per averel'acqua, cosa succede se non riesce a pagare: vuol dire che devemorire?”.

Bisognapoi operare una distinzione tra l' acqua come elemento e tubazioni,pompe e quant'altro necessario per farla giungere ai cittadini.

Premessoche l'acqua non è un prodotto fabbricato da chi oggi la vende e che,pertanto, non può giuridicamente essere venduta, (lo stesso codicecivile stabilisce che ogni vendita è nulla se il venditore non èproprietario della cosa: 1470 c.c.), si può, al più, discuteredella corresponsione di un rimborso per la manutenzionedell'acquedotto.

Equi viene in primo piano ogni singola realtà locale, con le sueparticolarità e la sua stessa storia.

Cominciamocon ricordare che gli acquedotti sono l'esito del processo diurbanizzazione che da qualche migliaio d'anni caratterizza ilpercorso dell'umanità. Ogni comunità, in relazione alleproprie risorse, ha provveduto nel tempo a fornirsi di una rete didistribuzione dell'acqua, accollandosi i relativi oneri. Ed ognicomunità ha il suo acquedotto, con le sue specifichecaratteristiche, legate all'ambiente ed alle sue condizionieconomiche. Per alcune le fonti erano vicine e di immediato utilizzo,mentre per altre sono state necessarie opere importanti; inqualche caso, le disponibilità del gruppo sociale hanno consentitomanufatti imponenti, per altre, ci si è limitati all'essenziale.

Edè anche per questi motivi che non è lecito accomunare realtàcompletamente diverse, stabilendo “tariffe” uniche.

Secondariamente,gli acquedotti, realizzati con il concorso di generazioni dicittadini, sono di proprietà di chi li ha pagati. Ovvero, diquella specifica comunità.

Parliamodi un componente di quello che dobbiamo definire il patrimonio comunedella collettività: quei beni che sono allo stesso tempo servizi,che sono stati realizzati nell'interesse (e con il concorso) di tuttii cittadini e dei quali non può essere ammessa la vendita.

Sonobeni inalienabili perché fanno parte integrante della comunità esenza i quali essa medesima non potrebbe esistere.

Sindacied amministratori comunali (limitandoci a loro), vendendo gliacquedotti, hanno commesso un abuso, non solo morale, ma giuridico.Non essi erano i proprietari del bene comune, ma soltanto sempliciamministratori.

Gliatti di vendita degli acquedotti debbono essere dichiarati tuttinulli.

IComuni dovrebbero pertanto ora farsi carico di una operazione dicorrettezza, riacquisendo gli acquedotti per curarne direttamente lagestione. Così come imposto dalla volontà espressa dai cittadinicon il referendum.

Unreferendum reso necessario dall'assalto scatenato dagli sciacalli.

Siè trattato di due quesiti. Il primo era così formulato:

“Abrogazionedell'affidamento del servizio a operatori privati”

E'il caso di chiarire a chi finge di non capire che abrogazionesignifica eliminazione dell'attuale sistema di gestionedei servizi idrici da parte di privati.

Ilsecondo quesito recitava:

“Abrogazionedel calcolo della tariffa secondo logiche di mercato”

Anchequi si deve far leggere a chi non vuole vedere (e in primo luogo alParlamento, che deve fare le leggi). Abrogazione delle “logiche dimercato” significa che il prezzo dell'acqua non deve esseredeterminato da logiche di ricavi, vale a dire non deve fornireprofitti.

Il95% dei 27 milioni di votanti (il 12 -13 giugno 2011), havotato “si” ad entrambi i quesiti.

Questachiarissima e forte manifestazione della volontà del popolo italianoè stata ignorata: nessuna normativa di attuazione del referendum èstata realizzata e neppure posta in cantiere.

Eciò esprime, più delle giornaliere ruberie, incompetenze, furbiziee intrallazzi, l'infimo livello della classe politica, che dimostrauna indegnità morale assoluta nel tradire la fiducia ed ilmandato ricevuto dall'elettorato, per obbedire al dettato delgrande capitale piuttosto che alla volontà dei cittadini ed aldovere del rispetto del bene comune.

Mapiù ancora che fingere di non vedere, la classe politica ha fattoben di più: ha cercato di abbindolare la cittadinanza per farlecredere che veniva attuata la volontà del referendum.

Hacominciato Berlusconi, appena due mesi dopo. Con decreto del13.3.2011 vengono emesse nuove norme, che però sostanzialmentericalcano lo schema normativo appena abrogato. L'opposizione, il c.d.P.D., collabora serenamente.

Sirende così necessario far intervenire la Corte Costituzionale che,con decisione del 20 luglio 2012, annulla il decreto per paleseviolazione dell'art. 75 della Costituzione (cioè della volontà delpopolo).

Mai politici, pungolati dal potere finanziario, non mollano. ABerlusconi subentra Monti, noto maggiordomo emerito della grandefinanza, il quale, per far contenti gli amici, con il decretocosiddetto "salva Italia" (dove può arrivare l'abuso deitermini...), trasferisce le "funzioni di regolazione e controllodei servizi idrici" alla Autorità per l'Energia ed il Gas.

Infatti,se le leggi sono sottoposte al deleterio controllo della CorteCostituzionale, non così è per l'Autorità, alla quale la materiaviene rimessa, per la sua "riformulazione" (!!). E così,invece di provvedere - come doveroso - a disciplinare la questionemediante norme che attuino la volontà referendaria, si lasciano lecose come stanno, passando sottobanco il compito di sistemare le cose- sul piano pratico - come erano prima, ad una autoritàamministrativa (che, come tale, non può abolire (come previsto dalprimo quesito) gli enti idrici privati).

Edecco che quest'ultima interviene solo sulla bolletta e, con iltradizionale giochetto delle tre carte, non elimina la voce cheriflette il profitto dei privati, ne

cambiasolo la dizione. In tal modo, quella che era la "remunerazionedel capitale" (e che pesava sul totale fino ad un 25%), diventa,graziosamente, "rimborso degli oneri finanziari".

Oltrechéignobile, il trucchetto è del tutto risibile. Da dove esce infattil'inedito principio che lo Stato debba garantire un ritorno ad uninvestimento privato, per giunta speculativo?

Quantoalle aziende che gestiscono il servizio idrico e che dovevanodiventare pubbliche, se ne sono viste - ma per esclusivainiziativa locale - solo a Napoli, Reggio Emilia, Palermo e Vicenza.

L'attuazionedel referendum è rimasta così nelle mani dei cittadini, come nellerealtà politiche non democratiche, i quali, organizzatisi inComitati (come "Cittadinanza Attiva"), hanno semplicementedepennato dalle bollette la voce "remunerazione del capitaleinvestito", facendo ciò che doveva fare la c.d. "Autorità".

Igestori, dopo iniziali truci minacce, hanno lasciato perdere, perchésanno che in giudizio perderebbero.

Edallora, il mondo politico, data la situazione, per risolvere iproblemi creati dal referendum, mette in opera la consuetaprassi: cercare di mandare tutto in rovina per poi poter dire:"Vedetein quali condizioni sono gli acquedotti? Costa troppo rimettere tuttoin sesto: bisogna per forza cedere ai privati, siamo costretti arivedere tutto, nonostante il referendum".

Edinfatti, ecco che i finanziamenti statali per gli acquedotti vengonoridotti a meno di un terzo. Da parte loro, le amministrazioni locali,preoccupate sopratutto di assumere sodali amici e parenti, nonintervengono.

Intal modo, gli acquedotti si deteriorano sempre più e circa il 30%dell'acqua si perde per strada. Ma arriveremo oltre. Fra qualchetempo qualcuno dirà che è necessario razionare l'acqua. Tanto peraumentare la pressione sull'opinione pubblica. Per fortuna, laconfigurazione orografica del Paese è tale da garantire sempreabbondante acqua per tutti.

Quantoagli investimenti dei privati, è meglio non aspettarsi proprionulla.

Dal1990 al 2000, epoca delle sciagurate privatizzazioni dellemunicipalizzate, gli investimenti nel settore appaionodiminuiti del 70% (da due miliardi a 600 milioni).

Invecele bollette, guarda caso, nello stesso periodo sono aumentate del65,4%.

Ele cose non sono migliorate con il tempo. Da più di vent'anni gliinvestimenti sono vicini allo zero. Non si costruiscono nuoviacquedotti e la manutenzione è scomparsa dai bilanci: un quadro daTerzo Mondo.

Incompenso, le gestioni private hanno fatto aumentare i costi operatividel 17% e quelli gestionali del 37% (Forum Movimenti per l'Acqua).

Inprima fila troviamo il fondo F2i di Vito Gamberale, alleato conIride, la "multiutility"nata dalla fusione tra Amga diGenova ed Aem di Torino. Segue l'Acea di Roma, che ha tra i soci laGdf Suez. Il 35% del capitale di quest'ultima è detenuto dallo Statofrancese il quale, per tal via, viene a fare colletta in Italia.

Lebollette più salate sono in Toscana (con una media di 470 euro annuia persona) ed Umbria (412).

Laparte alta della classifica dei costi è riservata agli ATO agestione privata, a dimostrazione ulteriore che le tariffe tendono agonfiarsi in misura direttamente proporzionale al livello diprivatizzazione.

Ilgoverno delle chiacchiere e dei giri di valzer, ha sul tavolo molti,seri e gravi problemi da risolvere. Ma tra questi, non ultimo, vi èquello dell'acqua, per molti aspetti, più doveroso degli altri.

Angelo Casella

Data: 15/05/2014 11:40:00
Autore: Angelo Casella