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Discrezionalità dei provvedimenti di concessione della cittadinanza italiana



di Gerolamo Taras - L'atto concessorio (o denegatorio) della cittadinanza concernendo il conferimento di uno statusdi rilevante importanza pubblica costituisce atto c.d. di “altaamministrazione” ed è quindi un provvedimento ampiamente discrezionale, sia nell'accertamento, siasoprattutto nella valutazione dei fatti acquisiti al procedimento. Precisamente, l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza devenecessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico. Lo straniero vieneinfatti, con tale provvedimento, inserito a pieno titolo nella collettivitànazionale, acquisendo tutti i diritti ed i doveri che competono ai suoi membri,tra i quali non assume un ruolosecondario il dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi,attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica funzionaleall'erogazione dei servizi pubblici essenziali.

La verifica dell'Amministrazione, in ordine ai mezzidi sostentamento dell'istante non è, pertanto, soltanto funzionale a soddisfareprimarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione adeviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale; ma è anchefunzionale all'accertamento del presupposto necessario a che il soggetto sia,poi, in grado di assolvere i ricordati doveri di solidarietà sociale.


Come stabilito dal Consiglio di Stato, le determinazioni dell'Amministrazionesulle domande di concessione della cittadinanza italiana al cittadinostraniero, che risieda in Italia da oltre dieci anni, e si trovi quindi nellacondizione di cui all'art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992 n.91, non sono vincolate ma hanno carattere discrezionale.L'Amministrazione, pertanto, dopo aver accertato l'esistenza dei presuppostiper proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazioneampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere lanazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri chederivano dall'appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli disolidarietà economica e sociale.

Diconseguenza, il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere da partedell' Amministrazione ha naturaestrinseca e formale e non può andare oltre la verifica della ricorrenza di un idoneoe sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti afondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazionemotivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.


Ed è quanto ha fatto il TribunaleAmministrativo Regionale per il Lazio (SezioneSeconda Quater - sentenza n. 03587/2014 del 01/04/2014)nel respingere il ricorso presentato da una straniera, residente in Italia,contro il decreto del Ministero dell' interno adottato il 30 marzo 2010 che lenegava la concessione della cittadinanza italiana.

Contro ilprovvedimento di diniego, l'immigrata avevapresentato ricorso, chiedendone l' annullamento. Il provvedimento sarebbe stato,infatti, illegittimo per difetto di motivazione, in quanto erroneamente fondatosu una asserita ma indimostrata insufficienza reddituale utile all'accoglimentodell'istanza. Nella memoria difensiva, la ricorrente aveva dimostrato dipercepire, attualmente, un redditoproprio derivante da un' attività lavorativa a tempo indeterminato, superiore alla soglia minima prevista dallalegge per l'esenzione della partecipazione alla spesa sanitaria. Inoltre l'Amministrazione non avrebbe neppure preso in considerazione i cospicui redditidel convivente.


Il TAR non ha ritenuto valide le argomentazioni svolte dalla ricorrente. Secondo i Giudici, non può ritenersi illegittimo, ai sensidell'art. 9 della legge n. 91 del 1992, il provvedimento con il quale vienenegata la cittadinanza italiana, sulla base di considerazioni di carattereeconomico patrimoniale, relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza(Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 1999 n. 1474).

Infatti in assenza di particolaribenemerenze, che possano compensare l'insufficienza del reddito dichiarato,l'insufficienza reddituale può costituire causa idonea “ex se” a giustificareil diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risultisotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolaresituazione di vita familiare e di lavoro.


Giustamente, l'Amministrazione, può porre a base deldiniego di riconoscimento della cittadinanza una appurata carenza del requisitoreddituale in capo all'istante, atteso che la congruità dei redditidell'aspirante deve essere tale da garantirne in ogni caso l'autosufficienzaeconomica e che tale valutazione, nelsilenzio della legge, deve essere effettuata avendo come parametro diriferimento l'ammontare prescritto per l'esenzione dalla partecipazione allaspesa sanitaria fissato dalla legge in€ 8.263,31 annui, incrementato a € 11.362,05 annui in presenza di coniuge acarico e di ulteriori € 516,00 annui per ciascun figlio a carico, in quantoindicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedentedi mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare(in negativo) sulla comunità nazionale.

L' Amministrazione ha valutato, poi, correttamente lasituazione economica della ricorrente facendo riferimento alla documentazione allegata alla domanda di rilascio dellacittadinanza, a suo tempo, presentata agli Uffici competenti. Il mutamento inmeglio della generale situazione economica, dovuta a fatti nuovi, intervenutidopo la data di presentazione dell' istanza (intorno al 2004) non permettono dicensurare il comportamento dell' Amministrazione. Dalla documentazionepresentata si evince, infatti, che al momento della presentazione delladomanda di rilascio della cittadinanza, come anche al momento dell'adozione (nel2010) del provvedimento di diniego, la ricorrente non possedeva i requisiti redditualiutili ad ottenere il titolo richiesto. Inoltrenon risulta documentalmente provata la convivenza con un cittadino italiano all'epocadella presentazione dell'istanza e all'epoca dell'adozione del provvedimentoqui gravato.


Infine,non può essere ritenuto motivo di illegittimitàdel provvedimento impugnato, neppure l'adozione tardiva del provvedimento didiniego in quanto, come è noto, tutti i termini procedimentali, se non èdiversamente previsto dalla legge (e nel caso di specie non si rinviene unasiffatta disposizione nella disciplina settoriale), sono ordinatori, con laconseguenza che il provvedimento adottato nell'esercizio del poteredall'amministrazione, seppur tardivamente, non può considerarsi, solo per talemotivo, illegittimo.

Invero ed in via generale, il superamento dei termini perla conclusione del procedimento dirilascio della cittadinanza previsti dall'art. 2 della legge 7 agosto 1990n. 241 e dai regolamenti attuativi in730 giorni - giustificabili o menoche siano le ragioni del ritardo- non si riflette ex se sulla legittimità delprovvedimento tardivamente adottato, poiché la scadenza del termine, nonessendo, in questo caso perentorio, non comporta l'esaurirsi del potere dellapubblica amministrazione di provvedere. La scadenza del termine consente,poi, all'interessato di tutelarsiavverso il silenzio innanzi al giudice amministrativo ai fini di imporreall'Amministrazione l'obbligo di adottare il provvedimento.


Restacomunque salva la possibilità per la ricorrente di riproporre l'istanza dicittadinanza al verificarsi di tutte le condizioni legittimanti, non ostandoviil pregresso diniego, trattandosi di provvedimento reso sotto la condizioneimplicita rebus sic stantibus.

Data: 19/04/2014 11:40:00
Autore: Gerolamo Taras