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Approfondimenti in merito alle distanze tra le costruzioni. In vista degli esami di abilitazione alla professione forense



Di Raffaele Vairo
In vista degli esami di abilitazione alla professione forense propongo una lezione su un argomento che ritengo importante.

LEZIONE DI DIRITTO CIVILE

Distanzenelle costruzioni

Il casoMevio,proprietario di un appartamento al primo piano, sito nel complesso condominiale“Naonis”, con atto di citazione richiedeva al Tribunale…………. la demolizione delpergolato in legno composto da travi perpendicolari rispetto al terrazzosovrastante e da quattro pali portanti incavati e cementati nel terreno con unacopertura in plexiglas costruita dalproprietario dell'appartamento al piano terra, sull'assunto che la costruzione:a) non rispettava le distanze di cui all'art. 873 c.c., in quanto eretta a unadistanza di circa cinquanta centimetri; b) violava, altresì, le norme di cuiall'art. 907 c.c. in quanto gli impediva il diritto di avere vedute diretteverso il fondo del vicino; c) costituiva anche motivo di grande insicurezza perl'incolumità dei suoi beni, in quanto facilitava a possibili malintenzionatil'accesso al suo appartamento attraverso il terrazzino sovrastante lacostruzione abusiva; d) costituiva, inoltre, una palese alterazionedell'estetica condominiale.

Chiedeva, quindi, la condanna del convenuto alla rimozione delpergolato e al risarcimento dei danni da quantificarsi in misura equitativa.

Il convenuto, costituendosi, contestava gli assuntidell'attore sostenendo che il pergolato: a) non poteva essere considerato“costruzione” in senso tecnico e, pertanto, non soggetto alle norme sulledistanze; b) si trattava, comunque, di un manufatto non fisso, destinato asoddisfare esigenze temporanee, la cui costruzione è stata regolarmenteautorizzata dal Comune; c) gli artt. 873 e 907 c.c. si riferiscono solo alledistanze in senso orizzontale con esclusione e non anche alle distanze in sensoverticale.

Le questioniLe questioni daesaminare sono le seguenti: 1) definizione di costruzione; 2) le distanze sia in senso orizzontale siain senso verticale; 3) distanze delle costruzioni dalle vedute; 4) concetto diprecarietà; 5) insicurezza; 6) alterazione dell'estetica condominiale.

Nozione dicostruzione. E' qualsiasi manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato oabitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali,come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione

Aifini della verifica del rispetto delle distanze legali tra edifici, non sonocomputabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano una funzionemeramente ornamentale, di rifinitura o accessoria di limitata entità (come lemensole, i cornicioni, le grondaie e simili); sono, invece, computabili,rientrando nel concetto civilisticodi costruzione, le parti dell'edificio (quali scale, terrazze e corpi avanzati)che, benché non corrispondano a volumi abitativi coperti, siano destinati aestendere e ampliare la consistenza del fabbricato (T.A.R.Lombardia Brescia Sez. II, 07/11/2012, n. 1766)

La realizzazione di una tettoia è soggetta a concessione edilizia ai sensi dell'art. 1, l. 28 gennaio 1977, n. 10, in quanto essa, pur avendo caratterepertinenziale rispetto all'immobile cui accede, incide sull'assetto ediliziopreesistente (T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 16/10/2012, n. 769).

Ai fini dell'art. 907c.c., il quale fa divieto di fabbricare a distanza minore di 3 metri dallaveduta del vicino, il concetto di fabbricare non riguarda esclusivamente ifabbricati in calce o mattoni e cemento, cioè le opere che abbiano lecaratteristiche di un edificio o di una fabbrica in muratura, ma comprende ogniopera avente il carattere della stabilità ed una certa consistenza,indipendentemente dalla natura del materiale con cui è stata realizzata, dallaforma e dalla destinazione di essa, sempre che l'opera diversa dal fabbricatoin senso proprio e tecnico ostacoli l'esercizio della veduta del proprietariodel fondo vicino; pertanto la fissazione di una rete plastificata concollegamento precario alla parete sottostante la veduta non realizza unmanufatto idoneo ad incidere negativamente sull'esercizio del diritto diveduta, ove, secondo l'apprezzamento del giudice del merito, non comporti unostacolo alla fruizione di aria e luce nella zona di rispetto, nè unamodificazione sostanziale di qualsivoglia altra situazione di godimento in cuisi esplica il potere riconosciuto al titolare del diritto di veduta dall'art.907 cit. (Cassazionecivile, sez. II, 09/02/1993, n. 1598).

Distanze. Le costruzioni su fondi finitimi, senon sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tremetri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore (art.873 c.c.).

Costituisce costruzioneanche un manufatto privo di pareti ma realizzante una determinata volumetria, epertanto la misura delle distanze legali per verificare se il relativo obbligoè stato rispettato deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento lalinea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente trale strutture portanti più avanzate del manufatto stesso (Cassazione civile, sez. VI,02/10/2012, n. 16776).

Distanze dellecostruzioni dalle vedute.

[I]. Quando si è acquistato il diritto di avere vedute diretteverso il fondo vicino [1027 ss.], il proprietario di questo non può fabbricarea distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'articolo 905.

[II]. Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, ladistanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui laveduta obliqua si esercita.

[III]. Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro incui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tremetri sotto la loro soglia (art. 907 c.c.).

Per la sussistenza di una veduta è necessario che l'aperturaabbia una normale e permanente destinazione alla vista e all'affaccio sul fondoaltrui, veduta che non deve subire limitazioni nemmeno a piombo sicché lavisione, a carico del vicino, sia mobile e globale.

In ipotesi di nuovacostruzione, l'art. 907 comma 1, c.c. va interpretato nel senso che la distanzadi tre metri dalla soglia dalla quale si esercita la veduta opera non solonella proiezione orizzontale, ma anche in quella verticale; ne consegue che,impregiudicata l'applicazione del disposto di cui all'art. 873 c.c. perintervenuta preclusione, la nuova costruzione deve essere ridotta per la parteeccedente, sia nella proiezione orizzontale che in quella verticale, il limitedi tre metri dalla soglia di esercizio della veduta (Cassazione civile, sez. II,11/07/2012, n. 11729).

Dunque, al proprietario del fondo gravato da una servitùdi veduta è vietato costruire a meno di tre metri dal lato inferioredell'apertura dalla quale si esercita la veduta, distanza che va rispettata sianella sua proiezione orizzontale, sia in quella verticale.

Posto che nelladisciplina legale dei "rapporti di vicinato" l'obbligo di osservarenelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute,e non anche alle luci, la dizione "pareti finestrate" contenuta in unregolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 - ilquale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri trapareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non potrebbe che riferirsiesclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come"vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestrecosiddette "lucifere" (Cassazione civile, sez. II, 30/04/2012, n. 6604).

Comunque, la Corte di Cassazione, in tema di interpretazionedell'art. 907 c.c., ha costantemente affermato che "le vedute, implicandoil diritto ad una zona di rispetto, che si estende per tre metri in direzioneorizzontale della parte più esterna della veduta e per tre metri in verticalerispetto al piano corrispondente alla soglia della veduta medesima, comportache ogni costruzione che venga a cadere in questa zona è illegale e varimossa" (Cass. n. 4389 del 2009; Cass. n. 5390 del 1999; Cass. n. 15381del 2000). Inoltre, "per effetto delle limitazioni previste dall'art. 907c.c., a carico del fondo su cui si esercita una veduta, sia che le vedute sianostate aperte jure servitutis, sia che vengano esercitate jure proprietatis,deve osservarsi un distacco di metri tre in linea orizzontale dalla vedutadiretta, ed eventualmente anche dai lati della finestra da cui si esercita laveduta obliqua, e, in stretta correlazione strumentale con le limitazioni cuitendono i primi due commi, dell'art. 907 cit., deve osservarsi analogo distaccoanche in senso verticale per una profondità di tre metri al di sotto dellasoglia della veduta" (Cass. n. n. 14652/2013).

Va sottolineato che, in materia di vedute ex art. 907 c.c.anche nell'ambito di un condominio o comunque dei proprietari di parte delmedesimo fabbricato, è tutelabile l'esistenza e l'esercizio di una servitù diveduta a favore della singola porzione di proprietà e a carico di un'altra.

La distanza della costruzione dalla veduta deve essere, dunque,valutata in senso orizzontale, verticale e laterale.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito, ha cosìdisposto: «la distanza minima di tre metri che, ai sensi dell'art. 907 c.c.,deve separare il fondo del titolare d'una servitù di veduta dalla costruzionerealizzata dal proprietario del fondo servente, deve sussistere non solo tra laveduta e la parte di costruzione che le sta di fronte, ma anche tra la prima ela parte di costruzione che si trova lateralmente o al di sotto di essa» (Cass.22 marzo 2012 n. 4608). Non solamente, quindi, quelle verticali ed orizzontali,com'è stato detto in passato (cfr. Cass. 5390/99) ma anche quelle laterali.

Un'ultima annotazione in materia di applicabilità delle normedi cui all'art. 907 c.c. in contesti condominiali. Sempre secondo laCassazione, «le norme sulle distanze legali sono applicabili anche nei rapportitra i condomini di un edificio quando siano compatibili con l'applicazionedelle norme particolari relative alle cose comuni, ma in caso di contrastoprevale, quale diritto speciale, la disciplina che regola la comunione, nelconsentire la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione delgodimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri ladestinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari uso» (Cass. 25 ottobre2011 n. 22092).

Il proprietario delsingolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalleproprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell'edificio e diopporsi alla costruzione di altro condomino (nella specie, un pergolatorealizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento), che,direttamente o indirettamente, pregiudichi l'esercizio di tale suo diritto,senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti diproprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l'art. 907 c.c.il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza ed il valoresociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicuranol'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita (Cassazione civile, sez. II,16/01/2013, n. 955)

Precarietà dellacostruzione. La precarietà della costruzione va presunta dalla funzione assolta dalmanufatto e non dalla struttura e dalla qualità dei materiali utilizzati. Pertanto, va esclusa la precarietàdell'opera ogni qual volta si tratti di costruzione destinata ad utilitàprolungata.

Aifini della necessità di una concessione edilizia si deve ritenere che vadaesclusa la precarietà dell'opera ogni qualvolta si tratti di costruzionedestinata ad utilità prolungata (Cons. Stato n. 1354/2008).

Sideve, dunque, ritenere che il manufatto costituito da una tettoia in plexiglascon struttura di pali, preordinata a soddisfare esigenze perduranti nel tempo,non possa qualificarsi come opera precaria.

In tema di violazionedelle norme sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, ai sensi dell'art.907 c.c., per costruzione deve intendersi l'opera destinata per la sua funzionea permanere nel tempo, e, tuttavia, il carattere di precarietà della medesimanon esclude la sua idoneità a costituire turbativa del possesso della vedutacome in precedenza esercitata dal titolare del diritto (Cassazione civile, sez. II,12/10/2007, n. 21501).

Insicurezza. E' facilmente intuibile che la presenzadi pali potrebbe facilitare l'ingresso di malintenzionati nell'appartamento delpiano superiore, per cui, almeno in via di prevenzione, dovrebbe evitarsi dioffrire facile accesso agli estranei. Comunque, in caso di furto facilitatodalla presenza dei pali, risponde dei danni il proprietario degli stessi aisensi dell'art. 2043 c.c.

Con riguardo al dannoderivante per il furto consumato da persona introdottasi in un appartamentoavvalendosi dei ponteggi installati per i lavori di riattazione dello stabile,deve essere affermata la responsabilità, ai sensi dell'art. 2043 c.c.,dell'imprenditore che per tali lavori si avvale dei ponteggi ove, trascurandole più elementari norme di diligenza e di perizia, e così la doverosa adozionedi cautele idonee ad impedire l'uso anomalo delle dette impalcature e violando,quindi, il principio del neminem laedere, abbia (colposamente) creato unagevole accesso ai ladri ponendo in essere le condizioni del verificarsi deldanno. (Tribunale Milano 31.05.2006).

Alterazionedell'estetica del condominio. Costituisce innovazione lesiva deldecoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non soloquella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque sirifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregioestetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudicedi merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi dimotivazione (Cassazionecivile, sez. II, 11/05/2011, n. 10350).

Conclusioni.

Immaginiamo che sia stata promossa una causa; immaginiamoanche che siamo giunti alla fine del processo (fase conclusiva), ritengoopportuno proporre la mia comparsa conclusionale che è la seguente.

Comparsa conclusionale

Leparti sono proprietarie, nel Comune di Sacile, di due distinti appartamentisiti nella medesima palazzina: l'attore è proprietario dell'appartamento alpiano primo, il convenuto è proprietario del sottostante immobile al pianoterra.

Nelcorso dell'anno 2012, il convenuto ha costruito in giardino un pergolato inlegno composto da travi perpendicolari, rispetto all'abitazione dell'attore, eda quattro pali portanti, cementati nel terreno.

L'operaè stata dotata di pavimentazione.

Ilpresente giudizio mira ad ottenere la rimozione del pergolato dato che lostesso non rispetta la distanza minima di tre metri dal confine, impostadall'articolo 873 del codice civile.

L'operaè infatti eretta ad una distanza di mezzo metro dalla proprietà dell'attore.

Ilpergolato è peraltro edificato in palese violazione dell'articolo 907 delcodice civile dato che risulta costruito ad una distanza di mezzo metrorispetto alle vedute dell'attore (anziché ai tre previsti).

Laquestione è quindi di mero diritto.

Occorrequindi risalire alla definizione giurisprudenziale del concetto di“costruzione” dato che la stessa implica l'operatività o meno delle previsionicontenute negli articoli 873 e 907 del codice civile.

Preliminarmenteoccorre tuttavia chiarire una circostanza: l'esistenzadi un'eventuale autorizzazione ad edificare, da parte del Comune, nonpregiudica i diritti dei terzi i quali, ove lesi dalla costruzione realizzatasenza il rispetto delle disposizioni sulle distanze, conservano il diritto adottenere la riduzione in pristino.

Lo stesso vale per le autorizzazioni adedificare rilasciate, al singolo condomino, da parte delle assembleecondominiali le quali non possono pregiudicare i diritti dei terzi per fattilesivi delle disposizioni imperative di legge.

Questoil pacifico insegnamento della Suprema Corte (Cass. Civile sez II 13 ottobre2000 n. 13639).

Occorreora, come detto poc'anzì, ricercare la definizione giurisprudenziale deltermine “costruzione”.

L'orientamentoconsolidato utilizza il concetto di “precarietà” per risalire a quello dicostruzione.

Nelsenso che è costruzione tutto ciò che non ha carattere precario (e su questo non ci piove).

Maquando un'opera può definirsi precaria ?

Atal proposito, soccorre l'orientamento consolidato del Consiglio di Stato ilquale, anche nella recente sentenza del 28.03.2008 la n. 1354, insegna che laprecarietà della costruzione va accertata non dalla struttura e qualità deimateriali usati, bensì dalla funzione assolta dal manufatto nel senso chela precarietà dell'opera va esclusa quando si tratta di costruzione destinata a utilità prolungata.

L'utilità prolungata rappresenta quindi lostrumento lessicale che consente di identificare il concetto di costruzione.

E'costruzione tutto ciò che ha un'utilitàprolungata.

Nona caso la decisione del Tribunale di Padova 22/11/2005: “un manufatto (box)dotato di ruote ma comunque poggiato a terra e quasi mai spostato, eretto adistanza inferiore da quella prevista dalle norme (tre metri) deve essererimosso”.

Edancora la decisione del Consiglio di Stato 27 giugno 2006 che impone larimozione di una tettoia in eternit, posta a meno di tre metri dal confine ecostruita per ricovero attrezzi e quindi per un'utilità prolungata.

Veniamoora ad esaminare l'opera edificata dal convenuto alla luce della CTU rassegnatanel corso del giudizio:

“ilpergolato, avente una superficie in pianta di mt. 3,04, x 2,65 e con altezzamedia all'estradosso della struttura portante del tetto di mt 2,40 è cosìrealizzato:

- struttura portanteverticale costituita da n. 4 pilastri in legno da cm 8,5 x 8,05 ancorati, ciascuno, a terra ad un plintoprefabbricato, interamente interrato,in cls mediante una piastra a U con bulloneed in sommità a quattro travi in legno mediante piastre e bulloni.

- Strutturasecondaria del tetto costituita da n. 7 travetti in legno, a un interasse dicm. 50, fissati alla struttura portanteorizzontale del tetto mediante piastre e bulloni.

- Pavimento inquadrotti grigliati in legno appoggiati su un letto di sabbia delimitato,quest'ultimo da mattoncini completamenteinterrati in pietra di tufo su tre lati”.

Dopoaver descritto il pergolato, il CTU esclude che lo stesso possa essereconsiderato costruzione in quanto inutilizzabile come abitazione o ambiente dilavoro.

Inrealtà noi sappiamo, come ricordato poc'anzì, che l'orientamentogiurisprudenziale consolidato non identifica il concetto di costruzione conquello di abitabilità, bensì con quello di utilità prolungata.

E'costruzione tutto ciò che ha un'utilitàprolungata.

Oraci si chiede:

Ilpergolato del convenuto ha un'utilità prolungata ?

E'destinato ad assolvere ad una funzione che dura nel tempo ?

Larisposta è “lì da vedersi”.

E'sin troppo ovvio che il convenuto intende servirsi del pergolato per una suautilità prolungata.

Loha costruito, ancorato al muro, cementato per terra, bullonato, dotato diaiuole e persino piastrellato.

Siè opposto tenacemente alla richiesta di riduzione in pristino avanzata nelcorso dell'odierno giudizio.

Etutto questo per quale ragione ?

“Servirseneprolungatamente”.

Leragioni dell'attore risultano quindi evidenti.

E'documentale, oltre che riconosciuto dallo stesso convenuto, che il pergolatodel quale si chiede la rimozione è edificato ad una distanza inferiore rispettoa quella imposta dall'articolo 873 del codice civile.

E'documentale, oltre che riconosciuto, che il pergolato è edificato ad unadistanza inferiore a quella imposta dall'articolo 907 del codice civile cheimplica il diritto ad una zona di rispetto che si estende per tre metri indirezione orizzontale dalla parte più esterna della veduta e per tre metri inverticale rispetto al piano corrispondente alla soglia medesima.

“Ognicostruzione che venga a ricadere in questa zona è illegale e deve essererimossa: Cass. Civile 23/02/2009 n. 4389”

Edancora: in tema di violazione delle norme sulla distanza delle costruzionidalla vedute, ai sensi dell'articolo 907 c.c, per costruzione deve intendersil'opera destinata per la sua funzione a permanere nel tempo e tuttavia ilcarattere di precarietà della medesima non esclude la sua idoneità a costituireturbativa del possesso della veduta come in precedenza esercitata dal titolaredel diritto” (Cass civile sex II 12 ottobre 2007 n. 21501)

Perquanto esposto, il sottoscritto avvocato chiede l'accoglimento delle seguenti

CONCLUSIONI

Accertarei fatti in premessa e pertanto condannare il convenuto a rimuovere il pergolatoedificato nel giardino di proprietà dello stesso, sito in Sacile (PN) viaColombo 3, ripristinando lo “status quo ante”, oltre che a risarcire all'attorei danni da valutarsi in via equitativa.

In ogni caso spese rifuse, comeda nota.

Pordenone,

GIURISPRUDENZA

Cons. Stato Sez. V, 28-03-2008, n. 1354

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sedegiurisdizionale, Quinta Sezione

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul ricorso in appello n. 4081/2000 del03/05/2000 , proposto dal COMUNE DI CASSANO MAGNAGO rappresentato e difesodall'Avv. Liberto Losa con domicilio eletto in Roma, Viale Giulio Cesare N.14,presso l'avv. Enrico Romanell

contro

il sig. B.F. non costituitosi;

per la riforma

della sentenza del TAR LOMBARDIA - MILANO:Sezione II n. 4554/1999, resa tra le parti, concernente INGIUNZIONE DEMOLIZIONETETTOIA;

Visto l'atto di appello con i relativiallegati;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito alla pubblica udienza del 27 giugno2006 il relatore Cons. Adolfo Metro;

Udito altresì, l'avvocato Pafundi perdelega dell'avvocato Losa;

Svolgimento del processo

Con il ricorso di primo grado viene chiestol'annullamento dell'ordinanza di demolizione e ripristino dello stato deiluoghi, avente ad oggetto una tettoia in eternit con struttura di pali e legno,e lo sgombero di manufatti e materiali edili abusivamente depositati sulle areeadiacenti.

Al riguardo, la sentenza ha affermato ilcarattere precario della tettoia, non necessitante, pertanto, di concessione ediliziae il carattere di "uso normale" delle aree di proprietà, che nondarebbe luogo a trasformazione urbanistica.

Ha proposto appello il comune, che hasostenuto l'inammissibilità del gravame per violazione e falsa applicazionedelle norme di diritto, travisamento dei fatti e carenza, erroneità edillogicità della motivazione della sentenza, in relazione alla mancataspecificazione di vizi dell'atto avente ad oggetto l'ingiunzione di sgomberodell'area, nonchè l'erronea interpretazione delle norme di legge, conriferimento alla qualificazione della tettoia.

La controparte intimata non si è costituitanel giudizio di appello.

Motivi della decisione

L'appello deve ritenersi fondato.

Il giudice di primo grado ha ritenuto chela tettoia, di mt. 5 per mt. 5,5 costruita per ricovero attrezzi e macchinari,potesse ritenersi struttura a carattere precario, non necessitante diconcessione.

Tale decisione non è condivisibile inquanto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini dellaconcessione, la precarietà della costruzione va presunta dalla funzione assoltadal manufatto e non dalla struttura e dalla qualità dei materiali usati ecomunque, la precarietà dell'opera va esclusa quando si tratti di costruzionedestinata ad utilità prolungata.

Ne deriva che il manufatto de quo,progettato per proteggere un escavatore, risulta preordinato a soddisfareesigenze perduranti nel tempo, senza considerare che, anche sotto il profilostrutturale, l'opera, per la sua ampiezza, si configura come strutturanecessitante di titolo concessorio.

E', infine, inammissibile, il motivo dicensura proposto avverso l'occupazione di terreno con blocchetti manufatti varied accumuli di terra atteso che, come rilevato dall'appellante, non risultanoevidenziati, nel ricorso di I grado, motivi di diritto avverso l'ingiunzione diripristino.

In relazione a quanto esposto, l'appello vaaccolto, con conseguente reiezione del ricorso proposto in primo grado.

Nulla per le spese, non essendosi costituita lacontroparte intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sedegiurisdizionale, sezione quinta, definitivamente pronunciando sull'appello n.4081/00, meglio specificato in epigrafe, lo accoglie e; per l'effetto, annullala sentenza di primo grado; nulla per le spese, non essendosi costituita lacontroparte intimata.

Ordina che la presente decisione siaeseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio del 27giugno 2006.

LUCI EVEDUTE Distanze delle costruzioni dalle vedute

Cassazionecivile , sez. II, 30 gennaio 2008, n. 2209

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORONA Rafaele - Presidente -
Dott. COLARUSSO Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. SCHETTINO Olindo - Consigliere -
Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere -
Dott. FIORE Francesco Paolo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.A., G.A., elettivamente domiciliati in
ROMA VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo Studio dell'avvocato SERGIO
ARTMOTORS - FINSINIS SPINA, difesi dall'avvocato D'AMELIO ROBERTO,
giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
D.B.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANCONA 20,
presso lo studio dell'avvocato ARNALDO VERGATO, difeso dall'avvocato
VIANTE MARIO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 577/03 della Corte d'Appello di CATANIA,
depositata il 07/06/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/11/07 dal Consigliere Dott. Vincenzo COLARUSSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del
ricorso.



Fatto

Concitazione del 6.10.1998 P.A. e G.A., proprietari di un appartamento nelcondominio di (OMISSIS), convennero innanzi al Pretore di Mascalucia D.B.A.,proprietario di un appartamento limitrofo, esponendo che costui aveva messo inopera una parete di alluminio e vetro all'estremità laterale del balconeprospiciente quello di essi attori impedendo l'esercizio di veduta diretta edobliqua e che, in ogni caso, l'opera installata alterava il decoroarchitettonico del fabbricato. Chiedevano che il D.B. fosse condannato allarimozione del manufatto.
Il convenuto resistette alla domanda che - dopo la soppressione dell'Ufficio diPretura - venne rigettata dal Tribunale di Catania - Sezione Distaccata diMascalucia.
Il gravame proposto dai soccombenti è stato rigettato dalla Corte di Appello diCatania con sentenza del 7 giugno 2003 sulla base delle seguenticonsiderazioni:
a) il manufatto non ledeva il dritto di veduta non essendo compromessi nè lainspectio nè la prospectio;
b) che neppure il passaggio della luce e dell'aria risultava impedito, data lamodestia del manufatto e la sua trasparenza;
c) che il decoro architettonico del fabbricato non risultava alterato in quantola paretina era conforme, per materiale e colore, alla maggior parte degli infissie si integrava nel complesso edificato, la cui estetica complessiva era statagià alterata da altri fattori.
Avverso detta sentenza, notificata il 9.7.20043, P.A. e G.A. hanno propostoricorso per cassazione con quattro motivi. D.B.A. resiste con controricorso.

Diritto

1. Colprimo motivo si denunzia violazione dell'art.907 c.c.. Se la inspectio ela prospectio non erano limitate, non poteva essere esclusa la limitazione diaria e luce, come semplicisticamente aveva ritenuto la Corte di Appello, senzaconsiderare la vicinanza del manufatto del D.B. al balcone dei ricorrenti. Ilmotivo, alla luce dei principi che seguono, è infondato, 1.a. La"ratio" dell'art.907 c.c. si ravvisanell'esigenza di assicurare pienamente, al proprietario di un edificio che godadi una veduta, la "inspectio" e la "prospectio" checonnotano il relativo diritto, onde la nozione di "fabbricare", aifini del divieto previsto dalla disposizione citata, comprende l'edificazionenon solo di costruzioni di muratura, ma anche di ogni altra opera in qualsiasimateriale e di qualsiasi forma, purchè dotata di stabilità e consistenza e talecioè da ostacolare stabilmente l'esercizio della veduta (Cass.civ. Sez. 2 07.12.1994 n. 10500).
2.c. A tal fine l'accertamento e la valutazione della idoneità dellacostruzione ad ostacolare l'esercizio dell'"inspectio" e della"prospectio", con la modifica sostanziale della situazione digodimento in cui si esplica il potere riconosciuto al titolare di veduta,rientra nel tipico potere di apprezzamento discrezionale del fatto riservato algiudice di merito che, se sorretto da una motivazione congrua e adeguata non ècensurabile in sede di legittimità (Cass.16687/2003; Cass.5764/2004).
2.d. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha compiuto l'accertamento e lavalutazione della situazione di fatto quale risultava dalla documentazione inatti, ed ha conclusivamente affermato (ribadendo, peraltro, l'apprezzamentoformulato dal primo giudice) che la semplice fissazione, qual è nella specie,della paretina vetrata non realizza una "fabbrica" idonea ad inciderenegativamente sull'esercizio del diritto di veduta nè un ostacolo allafruizione di aria e luce nella zona di rispetto. E tale valutazione concreta ungiudizio di fatto che non è censurabile in questa sede di legittimità,apparendo congruamente ed adeguatamente motivata. La censura formulata alriguardo non enuclea alcun vizio logico della motivazione adottata dalla Corted'appello ma oppone alle affermazioni di quel giudice la difforme valutazionedei ricorrenti. La Corte ha anche sottolineato che il ricorrenti non avevanofornito prova adeguata che il manufatto installato dal D. B. provochimenomazione di arie e luce e tale valutazione è censurata dai ricorrenti conapodittiche affermazioni contrarie.
2. Col secondo mezzo si denunzia vizio di motivazione sempre in ordine allamenomazione della veduta dei ricorrenti sul rilievo che il manufatto del D.B. èposto a distanza inferiore a quella prescritta dall'art.907 c.c.. Il motivo non è fondato.
2.a. Avendo la Corte di appello a escluso che vi sia stata compromissione dellainspectio e della prospectio, nonchè dell'ingresso di aria e luce, resta privodi ogni rilievo l'elemento della distanza tra il manufatto del D.B. ed ilbalcone dei ricorrenti, se il primo - secondo l'apprezzamento insindacabile elogicamente motivato del giudice di merito - non è idoneo, per sua struttura,ad incidere negativamente sull'esercizio del diritto di veduta.
3. Col terzo motivo si denunzia violazione dell'art. 1120 c.c. con riguardoall'alterazione del decoro architettonico.
La violazione di legge è denunziata in maniera assolutamente generica e senzatener conto della valutazione in concreto fatta dalla Corte di Appello, e,pertanto, il motivo è inammissibile.
4. Col quarto motivo si denunzia violazione dell'art.91 c.p.c. sul rilievo che,non avendo la Corte di Appello riformato la sentenza di primo grado, non potevamodificarne la pronunzia di compensazione delle spese.
Il motivo è chiaramente infondato poichè tralascia di considerare che, sul capodella compensazione delle spese, il D.B., vittorioso nel merito (anche) inprimo grado, aveva proposto appello incidentale, che è stato accolto dallaCorte di Appello, la quale ha regolato le spese, ponendo quelle di entrambi igradi di giudizio a carico degli appellanti P.- G., secondo il principio dellasoccombenza, ond'è che nè il principio di cui all'art. 91 c.p.c. nè quello didevoluzione sono stati violati.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido allespese, liquidate come nel dispositivo.

P.Q.M

LaCorte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido allespese, che liquida in complessivi Euro 1.100,00 (millecento), di cui 1.000,00per onorario, oltre spese fisse, IVA, CAP ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2008



TribunaleBari, 17 marzo 2009

TRIBUNALE DI BARI- sezione di Acquaviva delle Fonti -Il Giudiceletti gli atti e i documenti di causa e sciogliendo la riservaformulata all'udienza del 27.1.2009; osservaCon ricorso per manutenzione del possesso depositato in data27.2.2007 i ricorrenti esponevano quanto segue:



"1. Che il sig. G. G. è comproprietario, unitamente allamoglie D. G. C., dell'unità immobiliare, sita al primo e secondo pianodell'edificio condominiale ubicato in Acquaviva delle Fonti alla Via VincenzoMastrorocco n. 95, angolo Via Monsignor Laera.

2. Che sottostante a detta unità immobiliare, precisamente alpiano rialzato, vi è altro immobile di proprietà dei coniugi G. V. R. e D. L.

3. Che l'immobile di proprietà di questi ultimi è dotato diun'area antistante la loro proprietà, posta ad angolo su Via Monsignora Laera eVia Vincenzo Mastrorocco, sulla quale costoro, nell'aprile 2006, hannorealizzato una tettoia, fissandola in parte sul pavimento mediante staffe eviti metalliche ed in parte sul muro di confine con altra proprietà.

4. Che detta tettoia, infissa sul pavimento, costituendocostruzione in senso tecnico, dista a meno di mt. 3,00 dalla soletta delbalcone di proprietà dei coniugi G.-D. G.

5. Che la realizzazione di tale manufatto ha, per un verso,ridotto il diritto di affaccio e di veduta dal balcone della proprietà deiricorrenti, per l'altro, ha deturpato sensibilmente il decoro architettonico el'aspetto armonico della facciata dell'intero stabile condominiale, creando ungrave deprezzamento dello stesso.

6. Che i coniugi G.-D. hanno, altresì, realizzato nell'ottobre del2006 nel cortile interno di loro esclusiva proprietà, sottostante l'unitàabitativa dei coniugi G.-D. G., altra tettoia sempre infissa sul pavimentomediante staffe e viti metalliche a distanza di pochi centimetri dalla solettadel balcone interno di proprietà dei ricorrenti.

7. Che quest'ultima tettoia si erge oltre un metro dal balcone diproprietà dei ricorrenti, impedendo a quest'ultimi di poter esercitare laservitù di veduta, di affaccio e di stillicidio, sul cortile interno, giàcostituite mercè atto di compravendita del 18/11/2004.

8. Che, pertanto, entrambi i manufatti realizzati dai resistentilimitano la veduta in appiombo sul fondo sottostante, di esclusiva proprietàdel coniugi G.-D.; violano la distanza legale dalle vedute preesistentidell'immobile di proprietà dei ricorrenti; aumentano i rischi di intrusione daparte di terzi, consentendo un comodo strumento per introdursi nella proprietàdei coniugi G.-D. G.

9. Che quest'ultimi intendono, pertanto, tutelare in viamanutentiva, il possesso vantato, invocando il rispetto della distanza legalefra il proprio immobile e le costruzioni recentemente realizzate dai coniugi G.V. R. e D. L.

10. Che l'immobile di proprietà dei ricorrenti, a causa di talimanufatti, ha subito un deprezzamento estetico ed economico, tutelabile, semprein via manutentiva, nonché un aumento sensibile di rischi per eventuali furti.

11. Che i tentativi esperiti dai ricorrenti onde addivenire, anchein virtù dei vincoli di parentela che li legano ai coniugi G.-D., ad unasoluzione bonaria, sono rimasti infruttuosi, essendosi infranti control'ostinato quanto ingiustificato rifiuto di entrambi i resistenti.

12. Che, pertanto, non può dubitarsi che gli atti perpetrati daiconiugi G.-D. costituiscono atti di molestia e di turbativa del legittimopossesso vantato da parte dei ricorrenti."

Concludevano, quindi, chiedendo al giudice di ordinare ai sig.riG. V. R. e D. L., recidenti in Acquaviva delle Fonti alla Via VincenzoMastrorocco n. 97, la cessazione delle molestie e delle turbative descritte,adottando gli opportuni provvedimenti affinché venisse ripristinato la situazionequo ante dello stato dei luoghi, con condanna degli stessi al risarcimento deidanni subiti dai ricorrenti

Si costitutiva in giudizio il sig. D. L. chiedendo il rigetto delricorso: adduceva che non era stato leso alcun diritto dei ricorrenti di averearia e luce né il loro diritto di veduta, che le opere denunciate non avevanole caratteristiche di costruzioni in senso tecnico (e come tali non eranosottoposte alla previsione dell'art. 907 c.c.), che le opere erano legittimorimedio predisposto a protezione della proprietà del resistente e, inparticolare quanto alla tettoia posta sull'area antistante l'edificio su viaMonsignor Laera ang. Via V. Mastrorocco, che la stessa non era appoggiata almuro ove si affaccia il balcone dei ricorrenti ma ad altro muro di suaproprietà delimitante la suddetta area.

Nel corso del procedimento i ricorrenti rinunciavano alla domandaproposta contro la G. V. R. ed la causa era istruita con CTU. Inoltre latettoia realizzata nel cortile interno di esclusiva proprietà del convenutoveniva eliminata con realizzazione, in altro punto del cortile, di un vanotecnico in muratura.

Va subito detto, in apertura di disamina, che la materia delcontendere relativa alla tettoia in lamiera e ferro realizzata dal resistentenel cortile interno è cessata a seguito della sua rimozione, avvenutaspontaneamente nel corso del presente procedimento possessorio. Peraltro tuttele questioni, pur diffusamente affrontate dalle parti nei propri atti, inordine al vano tecnico realizzato dal resistente nel cortile interno nonpossono essere oggetto di esame da parte di questo giudicante in quanto sitratta di manufatto in calce e mattoni che non era oggetto della domanda cosìcome originariamente proposta e che, per le sue caratteristiche tecniche e lasua diversa allocazione, non può neanche ritenersi abbia sostituito e preso ilposto dell'opera originariamente denunciata: si tratta in buon sostanza diun'opera del tutto nuova e diversa da quella oggetto di domanda che andavaimpugnata, sotto il profilo possessorio, con altro apposito ed autonomoricorso.

In punto di fatto è certo, in base alla documentazione in atti edall'esito della CTU per Ing. A. C.-S., che il resistente ha realizzato unatettoia posta nel giardino antistante il suo appartamento a piano rialzato sitonell'edificio condominiale posto in Acquaviva delle Fonti in angolo tra viaMons. Laera e via V. Mastrorocco civico n. 97, è una tettoia metallica diprotezione del parcheggio costituita con lamiera sorretta da struttura metallicatralicciata orizzontale che scarica il proprio peso a pavimento tramite quattropilastrini metallici anch'essi tralicciati vincolati a pavimento a mezzo dipiatti bullonati alla soletta cementizia di base e da angolari ad ellebullonati e cementati alla muratura perimetrale lato nord; la struttura haandamento inclinato o a spiovente da nord verso sud; la stessa, per quanto quiinteressa, si attesta sul lato nord -che è il lato lungo della struttura apianta rettangolare- su un muro esterno di altro edificio confinante mentre sullato ovest rasenta la ringhiera del balcone al primo piano dei ricorrenti edista dall'estradosso della soletta del detto balcone nel punto più lontano m.2,16 e nel punto più vicino m. 1,95 (v. CTP Ing. C., misure che sostanzialmentecoincidono con quelle indicate congiuntamente dagli avvocati nel verbale disopralluogo da loro effettuato in data 26.1.2009).

Non vi è dubbio che tale manufatto abbia il carattere dicostruzione, atteso che per costruzione non deve intendersi soltanto ilmanufatto in calce e mattoni ma qualsiasi opera che si elevi stabilmente dalsuolo ed ostacoli l'esercizio della veduta e che, per le caratteristichetecniche di realizzazione, la tettoia in esame è destinata evidentemente ad unainstallazione stabile e duratura con perdurante modifica dello stato dei luoghied ostacola la veduta così come era precedentemente esercitata (peraltro essa èstata oggetto di DIA in sanatoria presentata poco prima della introduzione delpresente giudizio).

Ciò posto, occorre ricordare che a mente dell'art. 907 c.c., normache regola la fattispecie de quo, il proprietario del fondo vicino non puòfabbricare a distanza minore di tre metri dalle vedute dirette legittimamenteesercitate (iure proprietatis o iure servitutis) dal confinante verso il suofondo; la norma precisa inoltre che tale distanza deve essere calcolata ex art.905 c.c. (comma 1), che la regola vale anche per le vedute che sianocontemporaneamente dirette e oblique (comma 2) e che deve essere rispettataanche se si vuole costruire in appoggio al muro in cui vi è la veduta "nelqual caso" la nuova costruzione "deve arrestarsi almeno tre metrisotto la soglia" (comma 3). In criteri di calcolo delle distanze di cuiall'art. 905 c.c. prevedono che se si tratta di veduta diretta la distanza vamisurata dalla faccia esteriore del muro in cui essa si apre e la lineaesteriore del nuovo manufatto, se si tratta di balcone o altri sporti dallalinea esteriore di tali opere e quella del nuovo manufatto.

In giurisprudenza è stato chiarito che, nel caso in cui la nuovacostruzione eretta sotto la veduta non sia realizzata in appoggio al muro incui essa è già stata aperta, non si applica la previsione di cui al terzo commadell'art. 907 c.c., che si riferisce in modo espresso inequivoco e tassativoalla sola ipotesi di costruzione realizzata in appoggio, ma quella di cui alprimo comma del medesimo art. 907 c.c. per cui tale nuova costruzione deverispettare dalla veduta la distanza di tre metri in linea orizzontale misurata anorma dell'art. 905 cod. civ. senza che abbia rilievo il fatto che la nuovafabbrica raggiunga o superi in altezza il livello della veduta stessa (attesoche la veduta non assicura i soli benefici dell'aria e della luce ma anche lafacoltà di "inspicere" e "prospicere" in"alienum" ossia di avere la completa e piena visione del fondoaltrui); è stato però anche precisato, interpretando il primo comma alla lucedel terzo, che la distanza di tre metri in linea orizzontale non va rispettatasempre e in ogni caso ma solo ove la nuova opera si spinga in verticale oltre itre metri al di sotto della soglia della veduta (v. Cass. 23.10.1991 n. 11217).

Applicando i suddetti principi al caso qui in esame emerge contutta chiarezza come la tettoia realizzata dal resistente non rispetti ladistanza di legge dal balcone dei ricorrenti: ed infatti essa non è costruita adistanza di almeno tre metri orizzontali dal balcone ma è rasente allo sporto,né si trova a più di tre metri al di sotto della sua soglia bensì a circa 2metri.

Neppure rileva disquisire se la veduta subisca o meno in concretoun pregiudizio o se vi sia stata una limitazione di aria e luce, atteso che ledistanze sono imposte dal codice in base ad una valutazione astratta dellegislatore e vanno comunque rispettate.

La domanda va, pertanto, accolta con ordine al D. di cessare ognimolestia a mezzo della rimozione del manufatto da lui realizzato da effettuarsientro 10 giorni dalla comunicazione del presente provvedimento.

Nulla deve dirsi sulla richiesta di risarcimento del dannoformulata dai ricorrenti che, per sua natura, sfugge alla fase inibitoriamentre la instaurazione della fase di merito, a seguito della recente novelladel 2005, è rimessa alla scelta delle parti.

Le spese del presente procedimento vanno poste a carico dellaparte soccombente e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

il Giudice unico del Tribunale di Bari -sezione distaccata diAcquaviva delle Fonti-, a definizione della fase sommaria, così provvede:

1) dichiara cessata la materia del contendere in ordine allatettoia realizzata dal resistente nel cortile interno;

2) ordina al resistente D. L. di cessare ogni molestia dellaveduta di cui sul fronte strada gode l'unità immobiliare al primo piano diproprietà dei coniugi G. G. e D. G. C., sita nell'edificio condominiale ubicatoin Acquaviva delle Fonti alla Via Vincenzo Mastrorocco n. 95 angolo ViaMonsignor Laera, a mezzo della rimozione della tettoia da lui realizzatanell'area antistante la sua unità immobiliare, posta nel medesimo condominio esottostante rispetto a quella dei ricorrenti, rimozione da effettuarsi apropria cura e spese entro 10 giorni dalla comunicazione del presenteprovvedimento;

3) autorizza sin d'ora i ricorrenti, in caso di inosservanza, adeseguire a proprie spese e salvo rivalsa il ripristino avvalendosi dimaestranze di propria fiducia e con il ministero dell'Ufficiale Giudiziario diquesta sezione distaccata nonchè l'ausilio, ove necessario, della ForzaPubblica;

4) condanna D. L. alla rifusione delle spese di lite in favore deiricorrenti che liquida in euro 491,58 per spese vive, euro 1067,00 per dirittied euro 1200,00 per onorari, oltre accessori di tariffa, tributari eprevidenziali.

Si comunichi.

Acquaviva delle Fonti, 17 marzo 2009

Giudice Sergio Cassano

CodiceCivile (1942) art. 907 comma 3

Aisensi dell'art. 907 c.c., il proprietario del fondo dominante gode di una zonadi rispetto di tre metri sia in linea orizzontale che verticale dalla veduta:l'installazione delle persiane con un raggio d'apertura inferiore a suddettadistanza, lascia completamente inalterati i limiti della “inspectio” e della“prospectio” sul fondo dell'attore, sicché il contenuto essenziale del dirittodi servitù non risulta ampliato, e non viene dunque aggravata la condizione delfondo servente.

TribunaleArezzo, 14 maggio 2009

Cassazionecivile , sez. II, 12 ottobre 2007, n. 21501

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VELLA Antonio - Presidente -
Dott. MENSITIERI Alfredo - Consigliere -
Dott. SCHETTINO Olindo - Consigliere -
Dott. MALZONE Ennio - rel. Consigliere -
Dott. SCHERILLO Giovanna - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.E.P., elettivamente domiciliata in ROMA
CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 77, presso lo studio dell'avvocato ANTONIO
GUGLIOTTA, difesa dall'avvocato RUGGERI ANGELA, giusta delega in
atti;
- ricorrente -
contro
C.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ENRICO FERMI
128, presso lo studio PAGANO-MUSCIANISI, difeso dagli avvocati PAGANO
PIETRO, LUIGI PAGANO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 452 del 2002 della Corte d'Appello di MESSINA,
depositata il 30/09/02;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
11/07/07 dal Consigliere Dott. Ennio MALZONE;
udito l'Avvocato GUGLIOTTA Antonio, con delega depositata in udienza
dell'Avvocato RUGGERI Angela, difensore della ricorrente che ha
chiesto accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato PAGANO Luigi, difensore del resistente che ha
chiesto rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
UCCELLA Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.



Fatto

Conricorso depositato il 13.7.2000 C.P.,proprietario e possessore di un fabbricatoin (OMISSIS) provvisto di ampia veranda con affaccio sul lungomare, esponendoche B.E.P. aveva realizzato, a ridosso del muro di piano terra, un manufattoper la vendita di alimenti e bevande, che giungeva in altezza sino allaringhiera della veranda del primo piano, impedendogli la veduta sul demaniomarittimo, chiedeva la reintegra in possesso della servitù di venduta mediantedemolizione o arretramento a distanza legale del manufatto. Costituitosi ilcontraddittorio,la resistente controdeduceva di avere eseguito l'opera aseguito di regolare concessione della Capitaneria di Porto e del Comune.
Con sentenza 17.8.2000 il Tribunale di Taormina, in composizione monocratica,rigettava il ricorso e compensava le spese.
La Corte di Appello di Messina con sentenza n. 452 del 2002, depositata il30.9.02, in riforma della sentenza impugnata dal C., rilevato che il manufattoera stato rimosso, dichiarava cessata la materia del contendere e, decidendosulle spese di lite, in virtù del principio della soccombenza virtuale,condannava l'appellata alle spese dei due gradi di giudizio.
Per la cassazione della decisione ricorre la B. esponendo due motivi, cuiresiste l'intimato con controricorso.

Diritto

Con ilprimo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsaapplicazione dell'art.907 c.c. e per difetto dimotivazione, per avere nonostante la carenza assoluta di prove sulla eventualeviolazione delle distanze, dichiarata cessata la materia del contendere eritenuto violate le norme sulle distanze fra costruzioni, malgrado il caratteredi precarietà del manufatto realizzato dalla B..
Si sostiene che se la ratio dell'art.907 c.c. è intesa apreservare l'esercizio delle vedute da ogni eventuale ostacolo con carattere distabilità anche vero che le opere realizzate debbono avere il carattere dellastabilità e della consistenza, in modo tale da ostacolare stabilmentel'esercizio della veduta (tra le altre, Cass.n. 12097 del 1995), ipotesi non ricorribile nel caso in questione, trattandosidi un gazebo "con struttura amovibile e precaria che viene rimossa conestrema facilità al termine della stagione balneare"; in ogni caso, non cisarebbe alcuna violazione della presunta servitù di veduta, per l'esistenza diuna pensilina posta a base della ringhiera della veranda dell'intimato, inquanto la medesima si proiettava di circa un metro verso il realizzato chiosco,in maniera da non consentire l'inspectio, presupposto necessario della servitùdi veduta; inoltre, nessuna servitù di veduta potrebbe acquistarsi su un benedemaniale se non in forza di un provvedimento amministrativo.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata perviolazione e falsa applicazione dell'art.100 c.p.c. e art.92 c.p.c., commi 2 e 3 e difettodi motivazione nel punto in cui ha dichiarato cessata la materia del contenderesul presupposto che il manufatto, secondo le risultanze della c.t.u., sarebbestato rimosso.
Si sostiene che la formula adottata presuppone che le parti abbiano dato atto delsopravvenuto mutamento della situazione sostanziale e avanzato conformiconclusioni, dovendosi escludere che il giudice, extra petita, possa dichiararecessata la materia del contendere: nel caso di specie il C. in comparsaconclusionale aveva affermato di non aderire alla richiesta di dichiarazione dicessazione della materia del contendere e aveva chiesto l'accoglimento deimotivi di gravame e la condanna dell'appellata alle spese di giudizio.
Il ricorso è infondato in entrambe le sue articolazioni.
Vale premettere che la ratio dell'art.907 c.c. mira a tutelare ildiritto di veduta iure servitutis e iure proprietaris e sia che si eserciti susuolo privato sia su spazi pubblici, tant'è che l'atto di concessione dellaP.A. implica la riserva di compatibilità con i diritti dei privati. Glielementi di prova a disposizione (ammissione della B., ripetute anche inricorso, caratteristiche della veranda del C. come rilevate anche dal c.t.u.,fotografie riproducenti la situazione di fatto a seguito dell'appoggio delmanufatto della B. al muro sottostante alla veranda del C.) hanno consentitoalla Corte di merito di ritenere che il manufatto realizzato dalla B. eraappoggiato al muro del C. e, in altezza, arrivava sino alla pensilina dicoronamento della veranda.
Vero è che, secondo la giurisprudenza corrente, per costruzione deve intendersil'opera destinata per la sua funzione a permanere nel tempo; tuttavia, ilcarattere di precarietà della medesima non esclude la sua idoneità a costituireturbativa del possesso della veduta come in precedenza esercitata dal titolaredel diritto (Cass.n. 2260 del 1993; n.12489/1995).
Primo compito del giudice nell'assumere la decisione è quello di rilevare lequestioni in fatto e in diritto di carattere pregiudiziale, come talirilevabili anche d'ufficio. Rientrano tra queste quei fatti che hanno fattovenir meno la ragione del contendere e, quindi l'interesse delle parti acontinuare la lite.
Ben vero la declaratoria della cessazione della materia del contenderecostituisce una fattispecie di estinzione del processo, creata dallagiurisprudenza la quale si verifica quando sopravvenga una situazione cheelimini l'interesse delle parti ad ottenere un provvedimento giurisdizionaleutile alla definizione della controversia.
Nel caso in esame, ad opporsi all'applicazione di tale formula di definizionedel processo è stato lo stesso attore - appellante, ma con l'inversione deiruoli nel giudizio di cassazione l'attore - attuale intimato ha fattoacquiescenza alla decisione adottata, mentre la convenuta - attualericorrente,dopo avere dichiarato di avere rimosso il chiosco in questione echiesto dichiararsi cessata la materia del contendere, pone a base del dedottomotivo di nullità un fatto di cui avrebbe dovuto dolersi la controparte.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamentoin favore della controparte delle spese del presente giudizio.

P.Q.M

Rigettail ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio dicassazione, che liquida in Euro 600,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltrespese generali ed oneri accessori.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2007.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2007

CodiceCivile (1942) art. 905
Codice Civile (1942) art. 907



Data: 18/02/2014 11:30:00
Autore: Raffaele Vairo