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Responsabilità per esposizione da amianto: grava sul datore la prova di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno.



Di Maurizio Tarantino

Cassazione Civile n. 1477 del 24 gennaio 2014.

In merito allaresponsabilità per esposizione da amianto, giova ricordare che i comportamentiomissivi, dai quali può discendere la responsabilità del datore di lavoro,possono consistere nella mancata osservanza di norme specifiche di legge,oppure dettate dalla prudenza e dalla esperienza, in relazione allaparticolarità del lavoro ed allo sviluppo tecnologico, sia nella organizzazionedel lavoro, sia nelle tecniche di prevenzione, secondo il dettato dell'art.2087 c.c., che costituisce norma di chiusura del sistema antinfortunistico,estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate dallenorme antinfortunistiche specifiche.

La responsabilitàdell'imprenditore ex art. 2087, cod.civ., quindi non è limitata alla violazionedi norme d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma vaestesa, invece, nell'attuale sistema italiano, supportato a livello costituzionale,alla cura del lavoratore attraverso l'adozione, da parte del datore di lavoro,nel rispetto del suo diritto di libertà d'impresa, di tutte quelle misure edelle cautele che, in funzione della diffusione e della conoscibilità, purvalutata in concreto, delle conoscenze, si rivelino idonee, secondo l'idquod plerumque accidit, a tutelare l'integrità psicofisica di colui chemette a disposizione della controparte la propria energia vitale.

Nel casoconcreto, la pericolosità dell'amianto, conclamata non da ipotetici indizi oevidenti ignoranze legali, ma da vieppiù diffusi allarmi manifestati dallascienza medica sui perversi effetti incidenti sul bene primario della salute(che la Costituzione e il codice garantiscono) in caso di situazioni non occasionateda congiunture sporadiche o transitorie, ma avvalorate da attività permanenti,contigue alle fonti di diffusione delle particelle d'asbesto, ha portato ariconoscere la responsabilità contrattuale dell'Ente nei confronti dei suoidipendenti. (In tal senso vedi Cass.Civ., sez. lavoro, sentenza 7.1.2009, n. 45e, ex plurimis, Cass. civ., sez. lavoro, sentenza 4 marzo 2005, n. 4723, Cass.Civ., sez. lavoro, sentenza 8 febbraio 2005, n. 2444, Cass. Civ., sez. lavoro,sentenza 22 marzo 2002, n. 4129 e Cass.Civ., sez. lavoro, sentenza 20 aprile1998, n. 4012; Cass.Civ., sez. lavoro, sentenza 23 maggio 2003 4078.

Orbene,premesso quanto innanzi esposto, nel caso de quo la Suprema Corte diCassazione con la sentenza n. 1477 del 24 gennaio 2014 haritenuto che sul datore di lavoro grava l'onere di provare di aver fattotutto il possibile per evitare il danno.

Nell vicenda in esame, il Tribunale di Bergamo ,all'esito della CTU, condannava la resistente società datrice di lavoro, dal1976 a 1979, al risarcimento del danno biologico e morale per la malattiacontratta a causa di “amianto” nei confronti del ricorrente con attribuzione diinvalidità pari al 5%.

La resistente, in appello sottolineava la nonprevedibilità del danno e l'assenza quindi di una violazione dell'art. 2087c.c., essendo gli impianti a norma secondo le conoscenze dell'epoca.

La Corte d'Appello di Brescia, rinnovata la CTU,respingeva l'appello principale ed in accoglimento all'appello incidentale,condannava la società al risarcimento del danno biologico differenziale emorale. Con tale decisione la Corte territoriale, ha ritenuto provata unacondotta colposa per omissione di misure di sicurezza sotto il profilo dellamancata riduzione della polverosità dell'ambiente di lavoro; nonché dal fattoche la resistente non aveva provato le dedotte circostanze legate all'esistenzadi una predisposizione individuale a contrarre la malattia, al fine di unainterruzione del nesso causale fra condotta ed evento.

Atal riguardo, i giudici della suprema Corte hanno sottolineano che nel caso dispecie trovava applicazione la regola contenuta nell'articolo 41 cod. pen., percui il rapporto causale tra evento dannoè governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni; invero,principio, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogniantecedente che abbia contribuito, anche in maniera diretta e remota, allaproduzione dell'evento, salvo la sopravvenienza di quel fattore sufficiente aprodurre l'evento. Quindi idoneo a far degradare le cause antecedenti asemplici occasioni. (In tal senso Cass. Civile n. 17959/2005 e 6722/2003).

Concludendo,gli Ermellini, conformemente alla sentenza impugnata, hanno ritenuto che qualora sia accertato che il danno è statocausato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, èonere del datore di lavoro provare di aver adottato tutte le misure generichedi prudenza necessarie alla tutela del tempo di insorgenza della malattia; nediscende che, in mancanza, si ritiene provata la condotta omissiva del datoredi lavoro.

Dott. MaurizioTarantino

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Data: 28/01/2014 11:20:00
Autore: Maurizio Tarantino