Con la sentenza n. 2647 depositata il 3 febbraio 2010, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che sono autorizzati a rimanere in Italia gli immigrati con figli piccoli anche in assenza di gravi motivi o ragioni di particolare urgenza
Con la sentenza n. 2647 depositata il 3 febbraio 2010, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che sono autorizzati a rimanere in Italia gli immigrati con figli piccoli anche in assenza di gravi motivi o ragioni di particolare urgenza. Anzi la presenza in Italia dell'immigrato genitore del minore può essere autorizzata sulla base di qualsiasi danno "effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave" che il minore potrebbe subire dall'allontanamento o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. In sostanza, il rapporto affettivo dell'immigrato con il suo bambino è un motivo sufficiente a far permanere l'immigrato in Italia. Secondo quanto si apprende dalla ricostruzione della vicenda che emerge dalla sentenza
dei giudici di legittimità, un cittadino marocchino che viveva e lavorava in Italia, aveva avuto un bambino e aveva chiesto una proroga dell'autorizzazione a rimanere nel nostro paese. In seguito al rigetto dell'istanza, l'uomo aveva impugnato la decisione di fronte al Tribunale di Milano. In primo grado il Tribunale milanese aveva accolto la domanda ma in secondo grado, la Corte d'Appello meneghina aveva stravolto l'esito del giudizio di primo grado, rigettando le richieste dell'immigrato a rimanere nel nostro paese. In seguito alla proposizione del ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado, la Corte, nell'accogliere il ricorso dell'uomo, ha emesso tale principio di diritto: "la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall'art- 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psicofisico, non postula necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto.
Trattasi di situazioni di per se non di lunga o indeterminabile durata, e non aventi tendenziale stabilità che pur non prestandosi ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, si concretano in eventi traumatici e non prevedibili della vita del fanciullo che necessariamente trascendono il normale e comprensibile disagio del rimpatrio suo e del suo familiare".

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