dal Collega Roberto Chiatto di Prato riceviamo il contributo che segue e volentieri pubblichiamo per i visitatori di LIA Law In Action - 


Premessa.

Tra gli innumerevoli istituti previsti e disciplinati dal legislatore civilistico, il riscatto è forse uno dei più sconosciuti e dimenticati. Per comprendere cosa sia il riscatto e il diritto di esercitarlo, dobbiamo partire da una premessa sull'estinzione del contratto.

Il contratto si estingue, id est perde definitivamente i suoi effetti, generalmente con la risoluzione, chi indica lo scioglimento del contratto. La risoluzione può essere volontaria o legale. Quella volontaria a sua volta è negoziale o per inadempimento. All'interno della risoluzione negoziale, spicca la risoluzione unilaterale che prende il nome di recesso o revoca. Solitamente si tende a differenziare le due figure in quanto la revoca estingue un negozio unilaterale (si parla spesso di revoca della procura) mentre il recesso invece estingue il contratto

(art 1373 c.c.). altra distinzione è stata ravvisata nell'oggetto: la revoca estingue l'atto, e pertanto avrebbe efficacia ex tunc, sin dall'origine; il recesso estingue il rapporto e pertanto la sua efficacia è spesso ex nunc, lasciando fermo l'atto negoziale.

In questo quadro sintetico, si colloca il riscatto, spesso avvicinato da una parte della dottrina ad un recesso ex nunc. Secondo altri, il riscatto di distingue sia dalla revoca che dal recesso, ergendositertium genus di estinzione del contratto

Il legislatore non vede mai di buon occhio i vincoli perpetui o comunque troppo longevi. Quindi cerca sempre di limitare i rapporti obbligatori tendenzialmente illimitati e lo fa offrendo lo strumento del diritto potestativo di riscatto a favore del debitore del relativo vincolo: l'enfiteuta, costretto a pagare il canone enfiteutico; il vitaliziante, obbligato a versare la rendita perpetua; l'assicurato, che deve pagare periodicamente il premio.

 

Il riscatto nell'enfiteusi.

Il primo caso che si può portare all'attenzione lo si ritrova nella disciplina dell'enfiteusi. L'art 971 c.c. prevede un diritto di riscatto, definito affrancazione. L'enfiteuta così potrà esercitare un diritto potestativo con la conseguenza che il dominio diretto del proprietario andrà a cumularsi nella stessa persona dell'enfiteuta, già titolare del c.d. dominio utile, con consolidazione per confusione.

Ex art 972, comma 2, c.c., l'affrancazione può esercitarsi anche a fronte di una richiesta di devoluzione da parte del proprietario del fondo se l'enfiteuta non paga il canone o non adempie agli obblighi di miglioramento.

Si vede in tal caso come l'enfiteusi, diritto reali di godimento su beni altrui, è un contratto che in linea teorica dura in perpetuo  e il legislatore ha favorito l'estinzione del rapporto proprio mediante diritto di riscatto, tecnicamente affrancazione. Diritto concesso all'enfiteuta non solo in via autonoma e diretta ma rafforzato dalla possibilità di esercizio in via indiretta per bloccare la domanda di devoluzione ed estinguere il rapporto in favore dello stesso titolare del dominio utile.

 

Il riscatto nell'assicurazione.

 

Il secondo caso lo si ritrova nella disciplina dell'assicurazione, in particolare quella sulla vita. L'art 1925 c.c. consente all'assicurato di chiedere il riscatto della somma assicurata. Tale riscatto si manifesta come un diritto di recesso ex nunc, personale ed insurrogabile dai creditori dell'assicurato. Richiede una dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia e determina l'estinzione immediata del rapporto assicurativo con pagamento istantaneo del valore del riscatto.Riemerge anche qui la ratio legis, che garantisce la possibilità di porre fine a rapporti troppo longevi come quello che si determina a seguito di contratto assicurativo sulla vita che, data la natura previdenziale, contiene scadenze molto lunghe.

 

Il riscatto nella rendita perpetua.

 

Ancora a conferma dello sfavore per le obbligazioni eccessivamente prolungate, un altro contratto aleatorio (oltre alla assicurazione) contempla il diritto di riscatto. Nell rendita perpetua, il debitore che, in cambio della alienazione di un immobile o della cessione di un capitale, deve corrispondere in perpetuo una somma di denaro, può riscattare la rendita. Anche in tal caso la rendita si configura come un diritto potestativo di riscatto, con efficacia ex nunc, unilaterale e recettizio, che pone fine al rapporto contrattuale. E anche in tal caso, pagando la somma prevista dalla legge, il rapporto cessa nell'immediatezza.

 

Il (divieto di) riscatto nella rendita vitalizia.

 

Difficile comprendere in questa ottica, il divieto di riscatto che il legislatore ha posto invece nella rendita vitalizia all'art 1879 c.c. Probabilmente le ragioni vanno individuate nella difficoltà di parametrare esattamente la somma di denaro. Infatti, nel riscatto assicurativo, la somma che l'assicuratore deve versare all'assicurato che riscatta è ben precisa, calcolata anche ridotta in proporzione ai premi pagati e decurtata per la anticipazione della scadenza contrattuale. Così nel riscatto della rendita perpetua, la somma risulta dalla capitalizzazione della rendita annua sulla base dell'interesse legale. Invece nella rendita vitalizia sembra difficile ragguagliare la rendita ad una somma capitale. Taluna dottrina sembra tuttavia smentire la rubrica della norma e ritenere che non si intenda in realtà impedire il riscatto quanto impedire lo scioglimento unilaterale del rapporto mediante rimborso del capitale. La stonatura è in parte eliminabile dalla natura derogabile della norma che garantisce alle parti di prevedere che il debitore di liberarsi dal pagamento della rendita restituendo il corrispettivo ricevuto ma rinunciando alle annualità già pagate al creditore.

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