Libertà di stampa, dove finisce la libertà e inizia invece la diffamazione, è una linea divisoria così sottile e un tema molto attuale, alla luce di ciò che è accaduto al direttore Sallusti. Stessa accusa mossa da Francesco Rutelli (ai tempi sindaco di Roma) contro l'allora direttore de Il Giornale Mario Cervi e alcuni giornalisti, che però la Cassazione non ha confermato. La stampa infatti, per i giudici di via Cavour, ha il dovere di informare i cittadini, tanto più quando ad essere al centro dei fatti sono i politici, e soprattutto "in un momento in cui l'opinione pubblica e' particolarmente attenta ai privilegi veri o presunti della classe politica". Per la Corte non una casta di intoccabili, bensì un gruppo che deve pubblicamente rispondere delle proprie azioni. E di ciò siamo grati agli ermellini.

Qualche anno fa Rutelli, nel 2000 esattamente, era finito al centro di uno scandalo (neppure tra i peggiori, diciamocela tutta), insieme con altri personaggi potenti. Grazie alla sua posizione avrebbe saltato una lunga lista d'attesa per costruirsi un bel monumento nel cimitero del Verano (l'avevo precisato che non fosse tra i peggiori). Il Giornale, venuto a conoscenza dei fatti, aveva allora pubblicato una serie di articoli che non erano, ovviamente, piaciuti al diretto interessato, anche a causa dei titoli non proprio allusivi: "Rutelli si fa costruire un mausoleo al cimitero del Verano e ottiene la deroga per saltare la lista di attesa", "Roma: al Verano cimitero dei potenti', "Per Rutelli quattro giorni, mesi per gli altri", "Il pavone del Colosseo e la faina'. Rutelli a quel punto aveva portato in Tribunale giornalisti e direttore per diffamazione. Il Tribunale di Roma aveva dato ragione a Rutelli, così come la Corte d'Appello di Milano, nel 2011. Il Giornale però non ha incassato il colpo e si è rivolto alla Cassazione. Riuscendo ad ottenere un ribaltamento totale del giudizio.

La quinta sezione penale, con la sentenza 38437, ha infatti annullato senza rinvio la sentenza della Corte d'Appello di Milano dell'aprile 2011 "perché i fatti addebitati non costituiscono reato". E ancor più significativo ha ribadito l'importanza del diritto di critica sui privilegi della casta. "In un momento in cui l'opinione pubblica e' particolarmente attenta ai privilegi, veri o presunti, della classe politica, e' del tutto evidente che una notizia del genere si prestava ad essere oggetto di critica e di commenti ironici. Non si può negare l'interesse della pubblica opinione ad una siffatta notizia".

I giudici hanno anche rimarcato che i fatti riportati corrispondessero oltretutto a verità, "nemmeno falsa e' l'affermazione che l'autorizzazione sia avvenuta in deroga alla graduatoria perché una siffatta espressione era stata usata dalla delibera in questione, deroga che riguardava le persone, anche quelle ancora in vita, che avevano ottenuto particolari benemerenze, nel campo sociale e culturale, politico e militare". Per di più, fa notare la Cassazione, "lo stesso autore del testo aveva avvertito che la deroga non riguardava il solo Rutelli ma anche altre persone; le graduatorie inoltre esistevano anche se erano ferme al 1992".

La Cassazione ha anche precisato che dagli articoli si poteva dedurre che non fosse un personale attacco a Rutelli, bensì "una critica ad un sistema che coinvolgeva tutti i politici destinatari di presunti privilegi": "dalla lettura degli articoli si desume che il caso Rutelli era stato ritenuto emblematico di un sistema e di una procedura riprovevoli anche se erano validi sia per la maggioranza che per l'opposizione, come correttamente rilevato dal giornalista".

La Cassazione ha dato il giusto peso alla libertà di informazione affermando che "nel nostro sistema, che tutela a livello costituzionale la libera manifestazione del pensiero di qualsiasi cittadino e la libertà di stampa, la critica degli atti politici e in particolare delle deliberazioni degli organi rappresentativi, e dei comportamenti degli uomini politici deve essere la più ampia possibile perché essa garantisce il pieno dispiegarsi della dialettica democratica e consente ai cittadini di formarsi opinioni precise sui vari accadimenti".

Inoltre ha aggiunto che "la critica può anche essere molto aspra, irriverente e anche ironica a condizione che siano rispettati i canoni dell'interesse pubblico della notizia e/o vicenda criticata". Legittimando quindi "gli articoli giornalistici caratterizzati certamente da una critica, non importa se fondata o meno, aspra, irriverente e talvolta addirittura sprezzante, con riferimento alla pratica del ricorso al privilegio, ritenuta tipica, non importa se a torto o a ragione, dell'attuale classe politica".

Certamente questa sentenza aprirà le porte a tanti altri ricorsi (non quello di Sallusti) e aiuterà a rendere meno "di servizio" molta informazione.

Casta avvisata, casta mezza salvata. O anche no.

Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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